La Notizia
“E da bere cosa portiamo, il vino della casa?” Un tempo la domanda era il tormentone delle trattorie, pronto a depositarsi sulle righe unte dei taccuini sopra le tovaglie a quadretti. Erano caraffe senza nome, né pretese né lode, fatte per accompagnare piatti umili e spesso sinceri, perlopiù territoriali. Da un po’ di tempo a questa parte, tuttavia, il vino della casa può avere una, due, perfino tre stelle Michelin. All’estero sono tanti i celebrity chef che dopo l’orto sono voluti scendere in vigna, dal trio di Disfrutar a José Avillez. Ma la lista continua ad allungarsi anche da noi: da Lucio Pompili a Maurizio Menichetti, dai fratelli Cerea fino a Niko Romito, senza contare chi seleziona ed etichetta.L’ultimo in ordine di tempo è Carlo Cracco, che da tempo bazzica le campagne romagnole con la moglie Rosa. La sua prima bottiglia è un blend di uve bianche autoctone marchiato Vistamare, azienda agricola estesa su 14 ettari a Santarcangelo, comprensiva di frutteto e uliveto. L’intenzione iniziale era quella di guardarsi intorno in Toscana, poi è capitata l’occasione di rilevare la tenuta, che già produceva vino per autoconsumo o per gli amici da vecchie vigne di trebbiano. Vitigno che presto sarà vinificato in purezza, come pure il sangiovese.
L’enologo Luca D’Attoma della Cantina Duemani ha previsto la conversione alla biodinamica e un affinamento in anfora. La produzione sarà riservata ai ristoranti del gruppo: il gourmet in galleria, gli altri milanesi, Portofino. Ma non è un mero sfizio: si tratta di ampliare gli orizzonti in chiave sinergica, ma anche di diversificazione del business.
Vistamare
“Quella di Carlo Cracco mi pare una scelta coerente e vincente per il rafforzamento del brand”, commenta Andrea Guolo, giornalista esperto nelle dinamiche economiche del settore. “Coerente perché entra in un già ampio paniere di prodotti brandizzati firmati dallo chef; e lo fa con il vino, che certamente porta prestigio e buoni margini di profitto".
"Sarà vincente, credo, perché permette allo chef di inserirsi in diversi canali, partendo dai suoi ristoranti e dall'online per arrivare alle enoteche, facendo leva sull'appeal del suo nome, senza dimenticare quello che ritengo essere il più promettente dei canali, ovvero la vendita diretta per gli enoturisti (del resto la sua azienda è situata in una zona strategica per il turismo estivo, la Riviera romagnola). Dubito però, per Cracco e per altri chef che fossero intenzionati a entrare nel business del vino, che il successo possa andare oltre una certa soglia.
Nella ristorazione, difficilmente altri ristoranti saranno disposti a inserirlo, in quanto non è loro interesse fare pubblicità a concorrenti reali o potenziali (a meno che il vino non diventi un vero e proprio fenomeno, perché a quel punto conta solo il sell out...). L'inserimento in GDO poi è problematico, perché rischierebbe di impoverire il prodotto agli occhi del consumatore e questo non è certo nell'interesse dello chef. Infine, non dimentichiamo che Cracco è un fenomeno soprattutto nazionale, grazie alle sue partecipazioni televisive, quindi all'estero parte svantaggiato rispetto a marchi già consolidati nel tempo.
Ad ogni modo penso che lo chef abbia fatto molto bene a investire nella terra e nella sua azienda agricola, considerando il business che ne potrà derivare nell'immediato e anche la rivalutazione prevista nel tempo”.
Foto: Crediti Carlo Cracco
Azienda Agricola Vistamare
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