Contro il cliché del vino argentino tutto legno e senza sfumature (“solo Malbec, tango e asado”), il grande sommelier invita i produttori a coltivare la potenza sovversiva dell’identità e i colleghi a non scendere mai a compromessi, per entrare proficuamente in sinergia sul mercato globale.
Il sommelier
Per due volte presidente dell’Associazione Argentina dei Sommelier, laureato alla Escuela Argentina de Vinos e alla Court of Master Sommeliers, docente e comunicatore versatile, Matias Prezioso è una delle voci più autorevoli del nuovo mondo del vino, dotato di una visione sempre calzante e originale.
Per esempio in una recente intervista a Siete Canibales ha dichiarato di non essere d’accordo con quanti sostengono che la comunicazione del vino vada “abbassata”. “I grandi sommelier e conoscitori del vino che ho incontrato, sanno comunicare la complessità con parole comuni, ma questo non significa semplificare. Il vino è fatto di soggettività e in determinati concetti bisogna andare a fondo. Sono discorsi che si ripetono da molti anni. Non sono del tutto in disaccordo, ma credo che il modo di comunicare il vino quindici anni fa fosse molto diverso da quello di oggi. Allora c’erano quindici cantine che agivano in un certo modo, mentre era necessario farlo diversamente. D’altro canto coloro che comunicavano il vino non erano sommelier dalle solide conoscenze tecniche. La maturità della produzione del vino argentino ha fatto sì che tutti dovessero professionalizzarsi. Oggi si sono delineate differenze sottili, che richiedono di approfondire la comunicazione. Sennò è solo bere Malbec con tango e asado”.
Direttore commerciale di Wine Idea, nel 2019 Prezioso ha fondato Vinescence, azienda che vuole aiutare i produttori nell’export. “Penso che il vino sia diverso dalle altre imprese. Si può considerare dal lato del prodotto o dal lato del mercato, ma se considero la finezza e l’emozione, penso che non entri del tutto nelle logiche del capitalismo. Per quanto debba vendere, esercita una specie di resistenza, il discorso del marketing non può essere più importante del prodotto in sé. In questo senso conserva un certo romanticismo, quando gratti deve esserci qualcosa, non il vuoto. Se si considerano i produttori che emozionano realmente, spesso non hanno sito web né Instagram, ed è qualcosa di potente”.
I vini capaci di emozionare, insiste Prezioso, non possono essere globalizzati, legati come sono alla terra e al produttore. E se la produzione argentina è cresciuta vertiginosamente negli ultimi quindici anni, di fatto l’import è in stallo, cosa positiva per il mercato interno, ma negativa per la mancanza di confronto e l’appiattimento, cosicché chiunque può spacciare per novità l’uscita di un orange magari difettato. Inoltre gran parte della produzione resta ancorata al cliché della struttura e del legno. Al produttore va fatta piuttosto capire l’importanza dell’identità, che consente un business durevole. Cominciando dai vitigni autoctoni, che hanno fatto grandi zone come Galizia, Sicilia, Georgia e Itata in Cile.
Il Malbec, per esempio, è la bandiera del vino argentino, eppure il mondo lo ignora: gli manca la freschezza che oggi cerca il mercato. Probabilmente soffre la mancanza di “unicorni”, come Prezioso chiama i produttori catapultati nel successo dal passaparola fra critici, dalla scarsa produzione o da un’innovazione riuscita. Serve disperatamente qualcuno che faccia salire la fascia di prezzo dagli attuali 12-20 dollari a 25-30, e oltre. Ma per aiutare i produttori a sganciarsi, il sommelier deve essere uno spirito libero, critico e indipendente.