Non si vede, non si sente. Eppure, l’ingrediente animale può intervenire nella vinificazione, sotto forma di gelatine o altre sostanze, funzionali alla chiarificazione. La certificazione è però un rebus, che non scalda il mercato dei vegetariani. Secondo le voci critiche della sommellerie, più denaro, politica e marketing che qualità del prodotto, specie in tempi di torbidezze naturali.
La notizia
Vesciche natatorie di pesce, tendini e cartilagini animali: ingredienti che pochi si aspetterebbero di trovare sull’etichetta di una bottiglia di vino, ma che spesso, per quanto invisibili, sono intervenuti nella sua preparazione. Sicuramente un grosso problema per il pubblico dei vegani, renitente a qualsiasi contatto alimentare con il regno animale. Per quanto il gusto ne risenta limitatamente: che si tratti di colla di pesce, gelatina, albumina o caseina, il fine è generalmente la massima limpidezza attraverso la cattura delle fecce.
Oggi è possibile ottenere risultati equivalenti avvalendosi di prodotti vegani come bentonite, carbone attivo, acido salicilico o proteine vegetali. Ma se qualcuno esulta, altri storcono il naso. Per esempio i vignaioli naturali, che abbracciano un approccio non interventista e non si crucciano più di tanto di depositi e velature. La certificazione inoltre mostra i suoi cortocircuiti burocratici e concettuali, per esempio quando si tratta di cera di api per sigillare i tappi, ingrediente apparentemente proibito, che in realtà può essere a sua volta certificato vegano. Il sommelier André Drechsel, che lavora nel ristorante vegetariano Tian a Vienna, ha le idee chiare.
“In questi procedimenti si tratta sempre più di denaro e di politica che di prodotti. Sebbene i nostri vini siano tutti vegani, gli ospiti pongono domande particolarmente concrete”, ha dichiarato a Rolling Pin. Per esempio cosa accada agli insetti involontariamente raccolti durante la vendemmia, che possono essere evitati attraverso l’uso di reti e griglie, ma non completamente; oppure la natura dei corni magici impiegati dai viticoltori biodinamici nei campi. “Come sempre rispondo, chiunque ha involontariamente ingoiato un moscerino o calpestato un lombrico, ma ciononostante continua a essere vegetariano o vegano”, protesta. Tuttavia i vegani dogmatici, seguaci dei dettami di PETA, non osteggiano solo il consumo di carne, ma anche le pratiche agricole che comportino il sacrificio strumentale di piccole creature, come in questo caso.
Di fatto la chiarificazione priva il vino di sostanze opache, che però convogliano gusto e consistenza e fanno parte del suo profilo organolettico a tutti gli effetti naturale. Al punto che un’altra sommelier, Nancy Grossmann del vegetariano Rutz a Berlino, ritiene la questione ininfluente. A suo giudizio è pur vero che la maggior parte dei vini di qualità sono vegani, ma gli ospiti generalmente non se ne preoccupano. “Nessuno li chiede, neanche chi adotta -e cerca al ristorante- una cucina a base prettamente vegetale. Non vedo mercato per questi prodotti, piuttosto una forma di marketing”. Lo conferma il fatto che l’eventuale certificazione non venga praticamente mai citata dai produttori, mentre sono i loro rappresentanti a ostentarla.