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Gabriela Ospina, la miglior sommelier della Florida: “Il vino va bevuto, non studiato”

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina gabriela ospina 2

Appena incoronata da Michelin come la migliore sommelier della Florida, Gabriela Ospina del ristorante Boia De coglie l’occasione per lanciare un messaggio anticonformista a tutti coloro che amano il vino. La sua prima regola è essere friendly, contro ogni esoterismo.

Tutte le foto nell'articolo di Boia De

Foto di Copertina di Gabriela Ospina


La sommelier

Quanto sussiego. Nel vino, si sa, c’è chi capisce e chi no. E prima di acquisire il sudato diritto di parola, mille calici vanno vorticati aguzzando le narici. Non ci sta Gabriela Ospina, appena premiata (e intervistata qui) da Michelin quale migliore sommelier della Florida. Per lei nel magico mondo del vino non esistono regole inflessibili né protocolli di degustazione, modi giusti o sbagliati di bere.

boia de bottiglie
 

A fine giornata il vino deve essere bevuto, non studiato”, sdrammatizza. “Non c’è un valore morale nei solfiti. Non c’è niente di intrinsecamente giusto o sbagliato nella volatile. Ci sono doppi litri di pinot grigio di Walgreens che ricordo con affetto, a causa delle persone con cui li ho bevuti. Le bottiglie di DRC hanno un prezzo a 6 cifre e sono fatte in biodinamica. La bellezza è negli occhi di chi guarda”.

boia de bicchieri
 

Per Gabriela la sommellerie non è stata una folgorazione: il vino era lì, sul margine del suo campo visivo, mentre ricopriva i ruoli più vari nei locali dove ha iniziato a lavorare. “Ma quando la quarantena è finita, ci sono stati anni che sono passati senza che me ne rendessi conto. E una volta che la polvere si è posata, ho avuto finalmente modo di chiedermi su cosa volessi investire il mio tempo. È un settore molto romanzato, ma l’umanità che gli sta dietro è il motivo per cui ho continuato a farne parte ogni giorno: le storie che stavo raccontando, le relazioni che stavo intrecciando, la piccola comunità di cui mi trovavo a far parte. Il vino era la risposta che teneva tutto insieme”.

boia de locale 1 1
 

All’inizio, racconta, nel suo approccio ha prevalso l’indole accademica, poi pian piano si è rilassata. “Ora sembra tutto molto meno serio. Ricerco ciò che amo, taglia corto. Nello specifico si sta concentrando sul genere palhete e ramato, uve a bacca grigia macerate sulle bucce, bianche e rosse fermentate insieme, per far vibrare un altro confine, quello fra orange, rosati e rossi leggeri.

boia de locale 1
 

Quando poi si passa agli abbinamenti, esce fuori la sua “testa acida”: sul ceviche, un vino bianco proveniente dalle sponde del Mediterraneo, da uve coltivate in altitudine; sulle ali di pollo piccanti, un pink fizz italiano. E per quanto riguarda la carta del suo Boia De, stellato a Miami, il prerequisito è essere “friendly”: “Con ogni nuovo ingresso cerco di rendere giustizia agli sforzi dei miei chef e di fare tutto quello che posso, per assicurare che gli ospiti si godano la migliore esperienza. Mai dire mai, ma ci sono alcune caselle che mi piace barrare: purezza del frutto, vitigni autoctoni, viticoltura sostenibile e tecniche non invasive. Involontariamente tenderò verso ciò che non conosco. Più è esoterico, meglio è".

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