È clamoroso il voltafaccia di Patrick Cappiello, sommelier e winemaker statunitense, che in un cliccatissimo reel ha abiurato su Instagram la sua fede nel vino naturale. “I dogmi e il bullismo si tramandano. Ma sono solo approcci religiosi”, ha dichiarato.
L'opinione
“Non solo cattivi, ma imbevibili”: così Patrick Cappiello, dopo una degustazione privata, ha definito sui social i millesimi invecchiati del suo Monte Rio, come spiega il sito Robb Report. Pubblicizzando la necessità di filtrarlo e addizionarlo di solfiti. Per il celebre sommelier, un voltafaccia clamoroso.

Cappiello è entrato nel magico mondo del vino e del food ad appena 15 anni, come lavapiatti e cameriere, ormai 4 decadi orsono. Ha raggiunto il successo a New York, dove è stato promosso sommelier al Tribeca Grill, da Veritas e Gilt, raggiungendo le due stelle. Finché nel 2013 non ha aperto il suo Pearl & Ash, la cui carta era bipartita fra classici e vini “non interventisti”, e due anni dopo Rebelle, che ha conquistato la stella Michelin. Pluripremiato come sommelier dell’anno, è ancora coinvolto nel Walnut Street Café di Philadelphia, di cui è socio dall’apertura nel 2017, ma di fatto il suo core business è ormai altrove.

Dopo la chiusura dei locali di New York, ha infatti svolto un apprendistato con Pax Mahle e Pax Wines a Sebastopoli, Sonoma, nell’intenzione di passare alla vinificazione. E di fatto presso quella cantina produce oggi il Monte Rio, su cui esercita pieno controllo dal 2020, oltre a essere socio di Skull Wines. Sebbene intimorito dalle prevedibili reazioni dei sacerdoti del verbo naturale, per i quali ogni intervento renderebbe il vino artificioso, Cappiello ha infine trovato il coraggio per il clamoroso coming out.

“Lo faccio perché il dogma del vino naturale è andato così a fondo”, ha dichiarato. Di fatto una certa nicchia di mercato richiede vini che siano “zero-zero”, ovvero privi di qualsiasi aggiunta, e i sommelier controllano scrupolosamente ogni cartone; la priorità, per un imprenditore, è tuttavia quella di rivolgersi a un pubblico più ampio, consapevole di quanto sia importante avere prodotti stabili e affidabili, da servire magari al calice al ristorante. “L’ho sempre pensato, ma non mi sono mai aperto in proposito. Da qualche anno sto microfiltrando, credo di averlo fatto per la prima volta nel 2021 su un bianco. L’ho fatto e ancora ricordo quanto mi sono sentito sporco, come se stessi facendo qualcosa di sbagliato”.

Cappiello prosegue parlando di un ambiente intimidatorio fino al limite del bullismo, quando si tratta di vini naturali. “Penso che questo si tramandi. È come crescere in una famiglia cristiana, sono approcci religiosi. Ma la religione è corrotta, perché coloro che pensano di saperne di più, si frappongono fra le persone e le loro esperienze. Mi piace dire che faccio vino in modo naturale, non che sono un vignaiolo naturale. In primo luogo perché manca una definizione condivisa, e poi perché è un club di cui forse non voglio far parte”.