Affinato per oltre 10 anni in storiche grotte ai piedi del castello di Giulietta, il metodo classico di Bellaguardia regala grandi soddisfazioni.
L'azienda
Avere qualcosa da raccontare per un vino, naturalmente quando è molto buono oppure anche qualcosa di più, è spesso determinante. Così come possedere il fascino dell’inaspettato e dell’inconsueto, come in questo caso. Bellaguardia è una piccola azienda del vicentino e i suoi vigneti si trovano dislocati tra colline paesaggisticamente bellissime nonché, naturalmente, vocate alla coltivazione dell’uva, Durella in particolare.
Siamo a Montecchio Maggiore, proprio sotto il maestoso castello di Giulietta: da qui la vista spazia a trecentosessanta gradi sul verde a sud e sulle montagne della Lessinia a nord. Già oltre cent’anni fa le sorelle Strobele, proprietarie della costa del monte di Montecchio, qui producevano il loro vino noto come “lo champagne dei castelli”, esponendolo e facendosi premiare alla Fiera Agricola Campionaria ideata dal principe Alberto Giovanelli.
Proprio sotto il castello si trovano le Priare, ampie grotte che risalgono all’era degli antichi edifici fortificati di epoca romana: queste enormi caverne furono scavate per ricavarne una pietra tenera, nota anche come pietra di Vicenza, materiale da costruzione particolarmente pregiato utilizzato nel XVI secolo da Andrea Palladio per le sue splendide opere architettoniche. Esattamente al loro interno, con una profondità che arriva fino a 25 metri sotto il livello del suolo a una temperatura che si mantiene naturalmente costante e tra i 10 e i 12 C°, maturano le bottiglie di metodo classico di Bellaguardia.
Si tratta di vini che arrivano da uve Durella, Pinot bianco e pochissimo Pinot nero. La Durella in particolare, ci spiega uno dei soci Marco Caltran, il quale opera in campo e in cantina con Alberto Maccagnan, assume in quest’area caratteristiche peculiari perché proviene da terreni calcarei limoso-argillosi, con vini di maggiore complessità e ampiezza; la stessa Durella, nel veronese, trae origine da suolo basaltico che all’uva cede pochissimo. I vigneti aziendali occupano dodici ettari di terreni in collina, quella che migliaia di anni fa era un atollo marino innalzatosi fino a diventare un vulcano.
La metà sono esposti a sud, presentano pendenze molto accentuate e sono allevati su banchine o gradoni con pergola trentina in modo che la parete fogliare riceva al massimo la luce solare e allo stesso possa mantenere in leggera penombra l’uva evitando le scottature. I restanti sei ettari sono allevati a guyot in pendenza più leggera e con esposizione sud-ovest e sud-est. Il clima è perfetto, perché al caldo del giorno si alternano notti fresche e ventilate grazie alle correnti che dalle vicine pendici delle piccole Dolomiti scendono lungo la vallata dell’Agno. In campo, così come in cantina, la pratica è quella di intervenire il meno possibile.
Non vengono utilizzati né concimazioni né diserbi, in modo che la terra sia obbligata a ‘mangiare’ i minerali presenti, come spiega Caltran, per ottenere le uve migliori. Dopo la raccolta manuale, le uve vengono subito raffreddate e lavorate con delicatezza con una spremitura soffice, le fermentazioni avvengono a bassa temperatura, segue un travaso; in primavera si dà il via alla rifermentazione in bottiglia, poi il vino viene portato in grotta a maturare. La sboccatura viene praticata ancora a mano, bottiglia per bottiglia. Le soste sui lieviti sono sempre molto lunghe, comunque non inferiori ai trenta mesi per arrivare a oltre i dieci anni, per una produzione annua intorno alle quarantamila bottiglie per sette etichette.
I vini
Il filo conduttore dei vini di Bellaguardia è una notevole pulizia che si integra perfettamente a un’incisiva, spiccata personalità e induce a terminare il calice per riempirlo di nuovo in men che non si dica. L’ultima etichetta ad arrivare sul mercato, in tiratura ridottissima, è frutto dell’idea di fare un grande metodo classico italiano attraverso una linea di ‘riserve’ che prende il nome di Archivio, come ci racconta Isidoro Maccagnan, anche lui socio, che insieme alla moglie Roberta cura le relazioni commerciali: “la nostra logica è quella di far capire che si possono produrre grandi bollicine in grado di sfidare il tempo anche sul nostro territorio.”
Questo extra brut Archivio 1302, la cui etichetta riporta l’incisione, proprio all’interno delle grotte, con la data che si presume segni l’inizio degli scavi della pietra, dimostra che si può fare e pure parecchio bene. La prima annata prodotta è la 2008: dai vigneti dei cru alle pendici dei monti Lessini, è arrivata sul mercato dopo oltre 120 mesi su lieviti selezionati e un ulteriore affinamento di oltre due anni successivo alla sboccatura. Da Pinot Banco, Chardonnay, Pinot Nero, Durella, ha un bellissimo colore dorato. Al naso è fragrante, complesso, con note di pasticceria, tra vaniglia e burro d’alpeggio insieme a frutta esotica matura e un cenno di agrumi canditi. In bocca conferma una seducente complessità, è fresco e succoso, con un’elegante sferzata di sapidità. Lungo, elegantissimo.
Contatti
Cantina Bellaguardia
Via Ziggiotti, 9/b, 36075 Montecchio Maggiore-Alte Ceccato VI
Telefono: 348 000 0460