Dieci anni di Appius, il grande bianco della Cantina Produttori di San Michele Appiano: presentata l’edizione 2019, che incarna il sogno del winemaker Hans Terzer, giunto alla sua cinquantesima vendemmia.
Ritratti di Stefania Mafalda
Hans Terzer
“Per anni mi sono rifiutato di ascoltare tutti quelli che assaggiando le microvinificazioni mi chiedevano perché non le mettessi in bottiglia. Non sono fatto per le dosi omeopatiche. Finché un giorno mi sono detto che sarebbe stata l’ora di far vedere che qui riusciamo a fare ancora meglio che con il Sanct Valentin, che abbiamo anche una marcia in più, naturalmente con un numero limitato di bottiglie.”
Un Hans Terzer particolarmente in forma ha ripercorso le tappe della sua creatura enologica, un sogno realizzato di nome Appius che ha trovato spazio in una realtà importante come quella di San Michele Appiano (meglio ancora St Michael Eppan), cantina cooperativa altoatesina nata nel 1907 con una produzione di due milioni e mezzo di bottiglie all’anno e 320 soci viticoltori che operano su 385 ettari.
Terzer, personaggio di grande levatura e pioniere per quel che concerne il concetto di qualità per il vino dell’Alto Adige, è lo storico winemaker. Durante la prima masterclass con tutte e dieci le annate di Appius prodotte, condotta da lui stesso, ci ha raccontato nel dettaglio storia e trasformazione di un vino dal grande fascino: “Mi interrogavo se fare un super Chardonnay, un super Sauvignon o chissà cos’altro, però mi sono detto ‘prima di tutto vorrei che il vino fosse molto buono ogni anno, con una precisa costanza qualitativa, che rispecchiasse il nostro territorio ma soprattutto anche l’annata’. Per cui ho preso la decisione di fare un assemblaggio di quattro vitigni: Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Sauvignon. Ho lasciato fuori il Gewürztraminer che per l’Alto Adige è un vitigno importante ma dopo alcune prove mi sono reso conto che ‘truccava’ troppo e siccome amo la Borgogna non volevo che il vino fosse eccessivamente aromatico.”
Tremila bottiglie rappresentano la prima tiratura di un grande bianco destinato a non superare un numero limitato: “Rimarranno sempre nove o diecimila al massimo in futuro; se penso che abbiamo 385 ettari di vigneti, secondo me è più difficile produrre centoventimila bottiglie di Chardonnay Sanct Valentin che queste: qui devi solo avere la pazienza, la voglia e la passione di andare in giro con l’agronomo e i tuoi collaboratori per scegliere le partite migliori e lavorarle con grandissimo rispetto. E poi avere anche il coraggio di fare selezione: se su quattro barrique due non sono adatte per l’Appius, tornano nel Sanct Valentin (che è comunque un gran bel vino, n.d.r.)”.
Terzer continua con un aneddoto divertente: “Ho avuto diverse critiche perché quando è uscito Appius aveva anche troppo legno che negli anni è stato ridotto al minimo. La più bella è stata quando mi è arrivata una mail di un nostro estimatore che mi ha scritto che lui aveva sempre bevuto San Michele Appiano ma questo nuovo vino era troppo francese per cui non lo avrebbe più acquistato. Sulle prime me la sono presa, poi però ho pensato di essere sulla strada giusta, così gli ho risposto scrivendo che gli ero molto grato e speravo potesse cambiare idea. In realtà non l’ho più sentito.”
Anche l’etichetta (o meglio, le etichette) di Appius ha una storia da raccontare: “Nasce per puro caso, perché quelli dello studio grafico sono arrivati con dieci tavole grandi un metro per un metro e siccome mi piacevano tutte abbiamo deciso di differenziare anno per anno, cercando di fare in modo che rispecchiassero il carattere del vino. In effetti se guardiamo quella del 2014 è lineare ed elegante, per il 2015 e 2016 c’è più oro, più massa, proprio come nel bicchiere.”
A proposito di annate, la masterclass ha rivelato alcuni punti fermi: il primo conferma l’Appius come un progetto decisamente riuscito, il secondo che ognuno dei dieci vini degustati ha una sua precisa, importante personalità, il terzo che a questo vino va dato il tempo di maturare in bottiglia. Ancora, si tratta di un vino in cui l’alcol non scende mai sotto i 14 gradi, ma a questo proposito Terzer è molto chiaro e dichiara sorridendo: “Non vado in cerca di vini con poco o niente alcol. Piuttosto bevo acqua e non farò mai un Appius da 11 gradi”.
I vini
E allora ecco i vini che più ci hanno colpito, da quel 2010 probabilmente troppo ricco di legno appena nato ma che negli anni ha attutito quella nota in eccesso trasformandosi e rivelando ancora una grande freschezza e una bella struttura, a un 2011 insolito ma per chi scrive decisamente affascinante, nel quale il Sauvignon la fa (eccessivamente) da padrone essendo mancato il Pinot Bianco a causa della grandine: “Ho dovuto accontentarmi, non era quello che avevo in testa ma non ho potuto fare altro” confessa Terzer.
Ancora, il bistrattato 2014: splendida, elegantissima sorpresa, armonico e di notevole finezza. Poi il 2016 con quello che Terzer definisce “il settembre del secolo”, annata straordinaria per qualità e quantità delle uve, sontuoso e seducente. Bello anche se è ancora presto per goderselo come si deve, il 2018. La direzione è quella di una minor opulenza e un’eleganza che rispetta polpa e struttura di un vino comunque potente.
Nella cuvée del 2019, la decima annata, domina naturalmente lo Chardonnay al 60% e poi si trovano il Pinot Grigio al 15%, il Pinot bianco al 13% e il Sauvignon blanc al 12%. La vinificazione prevede fermentazione alcolica e malolattica - fatta eccezione in questo caso per il Sauvignon - e prosegue con l’affinamento in barrique e tonneaux. L’assemblaggio avviene dopo dodici mesi prima di una ulteriore sosta sui lieviti per tre anni in tini di acciaio inox, di cui due sulle fecce fini. Il naso è importante, deciso, con frutta esotica matura e a polpa bianca.
Ancora, fresche note di agrumi e sentori floreali con leggere sfumature balsamiche. In bocca, nella sua potenza, Appius è in notevole equilibrio tra acidità e morbidezza. Un vino già di grande soddisfazione, ma da attendere ancora per goderne appieno, magari nella nuova cantina dedicata che sarà pronta prossimamente accanto alla barricaia con una piccola stube riservata a una dozzina di ospiti. “Ci diamo da fare” ha ripetuto più volte Hans Terzer. E si vede.