I Personaggi
Più professionali dei professionisti, più analitici di un analizzatore, appassionati e competenti, talvolta dotati di ottime capacità narrative. Abbiamo fatto l’identikit di otto amatori di comprovata esperienza, paraprofessionisti del settore. Il loro è un sorso libero che rinfranca, in un ambiente assetato di indipendenza. Ecco i primi quattro.Dario Bagni, tecnico industriale, Correggio
Come ha iniziato a bere vino: Ho ereditato la passione da mio padre.
Come si è formato: Mi sono appassionato e ho cominciato a viaggiare per cantine, poi ho conosciuto enologi che mi hanno trasmesso alcuni concetti importanti su vinificazione e degustazione.
Il più grande vino del mondo: Non saprei rispondere, se non ripetendo le classifiche dei vari guru del settore. Per me è quello che regala un’emozione che dura nel tempo.
La bottiglia della vita: Meursault Les Tessons, Silex di Dagenau, Cristal rosé di Louis Roederer.
La bottiglia sognata: una verticale di Bâtard-Montrachet.
La scoperta: l’intera gamma di Podere Magia e gli spumanti dell'Oltrepò Pavese.
Un abbinamento sorprendente: Malvasia aromatica di Candia Podere Magia con gnocco fritto e salumi.
La cantina personale: circa 300 etichette fra Champagne, Chianti, Barolo e soprattutto grandi vini della Loira.
Chi legge: Riviste specializzate, la mia preferita era Porthos; come autore citerei il professor Attilio Scienza.
Un sommelier da ristorante: Mauro Mattei.
Andrea Battilani, manager, Milano
Come ha iniziato a bere vino: A casa c’è sempre stato. La folgorazione fu una bottiglia di Brunello a 17 anni.
Come si è formato: Viaggiando molto e leggendo riviste soprattutto francesi, inglesi, americane. Nessun corso di nessun tipo.
Il più grande vino del mondo: Pinot nero di Borgogna.
La bottiglia della vita: tante, l'ultima Vosne-Romanée Les Jachées 2016 Domaine Bizot.
La bottiglia sognata: Musigny Domaine Leroy, qualsiasi annata.
La scoperta: Savagnin Les Saugettes 2012 Kenjiro.
Un abbinamento sorprendente: non credo negli abbinamenti, do la precedenza al vino.
La cantina personale: qualche centinaio di bottiglie, più le vuote che le piene.
Chi legge: quasi nessuno, parlo con gli appassionati.
Un sommelier da ristorante: quello che mi fa portate le bottiglie.
Francesco Saverio Casimirri, medico, Bologna
Come ha iniziato a bere vino: Astemio fino all’età di circa 40 anni, ero il cruccio di mio padre, il quale possedeva una cantina fornitissima di Borgogna e Bordeaux che io, ragazzino, non apprezzavo. Intorno ai 40 anni ho per curiosità acquistato e letto un volumetto di Luca Maroni, La piacevolezza del vino, che mi ha miracolosamente convertito.
Come si è formato: Ho frequentato i numerosi corsi che Go Wine organizzava a Bologna alla fine degli anni ‘90, ho spesso fatto visite in cantina per chiacchierare con i produttori e ho cercato di frequentare e apprendere quanto possibile da chi aveva e ha più esperienza di me. In questi anni mi sono divertito (e mi diverto) a organizzare degustazioni con amici scelti, utilizzando i miei vini, così da poter condividere idee e conoscenze.
Il più grande vino del mondo: Devo avere un cuore particolarmente grande perché ho diversi vini del cuore, ma dovendo scegliere opterei per Montée de Tonnerre di François Raveneau e Chassagne Montrachet di Madame Leroy.
La bottiglia della vita: Château Margaux 1985.
La bottiglia sognata: Nessuna in particolare, bensì tutte quelle che non ho ancora assaggiato.
La scoperta: Nosiola Largiller Cantina Toblino.
Un abbinamento sorprendente: non ne ricordo.
La cantina personale: oltre 1000 referenze, per il 60% italiane, per il restante 40% suddivise fra Germania e Francia.
Chi legge: Attualmente sto approfondendo la Borgogna con i testi di Armando Castagno e Camillo Favaro.
Un sommelier da ristorante: Non so.
Davide Fasolo, lavoratore autonomo, Vicenza
Come ha iniziato a bere vino: Prima di berlo ho iniziato a sentirne parlare. Vengo da una famiglia di modestissime possibilità, il caso ha voluto che quando ero piccolo frequentassimo un amico d’infanzia di mio papà reso tetraplegico da un incidente, che aveva trovato uno sfogo nel cibo e nel vino. Morale della favola ho iniziato a sentire nominare Veronelli e alla fine degli anni ’70, quando avevo 10 anni, ho visto a casa sua le prime bottiglie di Bordeaux e La Tâche in una teca… Poi i miei genitori hanno diradato la frequentazione e io ho messo in standby la cosa, fino a poco dopo i 20 anni, quando grazie a una differente consapevolezza e autonomia finanziaria ho potuto iniziare a seguire quella che poi è diventata una passione travolgente
Come si è formato: Sono autodidatta. All’inizio ci sono stati tanti libri, visite in cantina, visite in vigna, bottiglie di tutti i tipi, incontri e confronti con persone più preparate; poi ho iniziato a organizzare io le prime serate. Nel 2002 ho avuto voglia di frequentare un corso AIS per verificare la mia preparazione, ho portato a termine i 3 livelli pur con qualche insofferenza reciproca nei confronti di alcuni docenti, ma è stata una parentesi utile.
Il più grande vino del mondo: Cavolo, domanda impegnativa…vorrei rispondere con una frase fatta a effetto, di quelle colte, ma sarò pragmatico e secondo me non c’è nulla di superiore a un grandissimo Bordeaux maturo (e per maturo intendo da 30 anni in su), lì c’è l’apoteosi… Se però andiamo sul sentimentale e parliamo di cuore, non posso non tornare sempre alle Riserve di Giuseppe Quintarelli degli anni ’70 ed ’80: lì sta il cuore anche legato alle origini.
La bottiglia della vita: Faccio fatica perché ho realmente bevuto moltissimi vini di pregio, se devo tirarne fuori qualcuno mi sento di doverli almeno suddividere tra giovani e maturi… Sui giovani sicuramente Romanée Conti 2009 e 2010 per i rossi e il Montrachet 2008 sempre del Domaine si posizionano al vertice, vicinissimo il loro La Tâche 2005. Se invece parliamo di vini più maturi, sicuramente Château Latour 1982 e Château Margaux 1990 sono lì, al loro ridosso una valanga di vini eccezionali che trovo ingiusto lasciare fuori per quello che hanno significato. Faccio un’eccezione per un italiano ovvero Case Basse Riserva 1990 di Soldera, mi permetto pure un appunto per un bianco straordinario che non vedo mai citato, il Riesling Clos Sainte Hune 1990 Trimbach, Alsazia. Fronte dolci poi non posso omettere un mio amore assoluto, Yquem 1976… E in un angolino un Vin Santo della zona di Brisighella di un centinaio di anni… Ah dimenticavo, bevo poche bolle, non è un grandissimo amore, ma il mio Champagne perfetto resterà Bollinger R.D. 1985 bevuto una sera del 2012.
La bottiglia sognata: Vorrei assaggiare fronte rossi un Hermitage Cuvée Cathelin di Chave e il Richebourg di Madame Leroy; fronte bianchi Asteroide, vino di Didier Dagueneau (però suo e non della gestione successiva) e il Vouvray Moelleux Goutte d’Or di Foreau. Se poi potessi imbattermi in una bottiglia perfetta, uno dei primi Sorì San Lorenzo di Gaja. Stavo scordando: assolutamente un Quinta do Noval Nacional 1931.
La scoperta: Sulla scoperta si fatica, oggi tutto viaggia velocissimo e si sa tutto di tutti. Un bianco che può far veramente riflettere è lo Châteauneuf du Pape di Charvin, prima annata 2016; sempre in zona mettiamoci una bottiglia dall’ottimo rapporto qualità/prezzo, ovvero il Côtes du Rhône A Séraphin di Clos du Mont-Olivét, straordinario entro i 15€. In Italia invece sottolineo un vino che a me piace moltissimo: il produttore ormai è stranoto, Roccolo Grassi a Mezzane di Sotto in Valpolicella, ma il suo Recioto di Valpolicella non lo nomina nessuno ed è una bomba.
Un abbinamento sorprendente: Sotto questo profilo sono anarchico, ho detestato i poligoni AIS. Un vino genera emozione e secondo me l’abbinamento deve tenere conto anche del tratto evocativo che pochi sanno cogliere. Ci si incarta su regole scritte senza spesso veramente conoscere le sfumature di un’annata o di un particolare momento produttivo. Ma restando sul classico da quando ho iniziato a mangiare ostriche con Riesling alsaziano, mi sono reso conto di quanto meglio si stia dopo. Sempre in Alsazia la tarte flambée e il Pinot Gris sono un matrimonio insuperabile.
La cantina personale: Oggi la mia cantina è così composta: 55 % Francia, 42% Italia, 3% resto del globo; a spanne 2% bolle, 70% rossi; regione più rappresentata in Italia la Toscana, in Francia la Borgogna, ma se ragioniamo di soli rossi Bordeaux la pareggia; la denominazione italiana più presente è Barolo; i produttori italiani che ricorrono sono Quintarelli, Giacomo Conterno, Gaja e Soldera. Tendenzialmente compro ancora oggi di tutto, ma viaggio prevalentemente per cantine in Francia (4-6 volte anno) e molto meno di quanto vorrei in Italia.
Chi legge: Soprattutto pubblicazioni straniere. Sono un abbonato storico di RVF e Bourgogne Aujourd’hui, compro molti libri tematici che leggo a sprazzi, sbircio la Robinson, non amo molto la critica italiana, ma ho avuto modo di stimare Cernilli per coerenza e capacità, mi piace il tratto scanzonato e passionale di Francesco Falcone. Essendo sostanzialmente edonistico e appassionato a largo spettro di molte aree e impostazioni, alla lunga mi annoiano i critici monotematici. Rimpiango il Porthos dei primi 10/15 numeri, non amo le pubblicazioni dove le schede non sono firmate.
Un sommelier da ristorante: Non posso risponderti, perché tendenzialmente frequento locali dove posso portare le mie bottiglie, che con i ricarichi della ristorazione italiana non potrei mai bere. Inoltre non frequento la ristorazione “stellata”, salvo rari casi, ma prediligo cucine territoriali e locali dall’impostazione rilassata.