L'Evento
Fermento a Villa Favorita. Viaggio tra i vini rifermentati in bottiglia di Vinnatur
Mentre a Cerea Gravner la toccava piano sugli studi di enologia, privilegiando la filosofia, sicuramente la sua, e il piccolo ma agguerrito battaglione FIVI a Vinitaly alzava la voce sull’attenzione al territorio e alla sua conservazione – forza ragazzi - c’era un popolo bello e un po’ fighetto che sfilava tra le mura palladiane della Villa La Favorita, anche quest’anno scenario della festa Vinnatur, la creatura naturale di Angiolino Maule.

Io e Graziano Nani arrivati come due bravi studentelli in treno alla stazione di Monticello, ci siamo trasformati in sicari senza scrupoli quando – dopo 55 minuti di attesa – è arrivata la navetta, un van da 12 posti che, come per magia, i posti li ha raddoppiati. Per non perdersi un’altra ora di degustazione, non ci siamo fatti nessun problema a infilarci nei posti davanti, lasciando a terra anziani, donne incinte e dividendo famiglie.

La Villa è sempre un belvedere. Ancora di più il giardino retrostante. Con il nostro panino al salame crudo e ricotta di capra ci siamo accomodati sul prato a ordire il piano diabolico godere al massimo della giornata che ci aspettava. Dopo consultazioni a bocca piena, abbiamo concordato un doppio percorso. Quello dei rifermentati in bottiglia e a seguire quello dei vulcanici. Quando ci siamo alzati dovevate vedere quanto eravamo vinnaturisti.

Durante gli assaggi di questi vini freschi e dissetanti, facilmente accostabili alla birra in alcuni casi, abbiamo costruito la nostra idea di parametri che in un rifermentato in bottiglia non possono mancare. Un vitigno con le spalle abbastanza larghe per resistere a un naturale stato di riduzione per un tempo prolungato, potere sgrassante, una piacevole freschezza, tannini lievi se presenti e una minima cremosità. Non da ultimo l’altissima difficoltà ad essere sputati. E scusate se lo sottolineo ma questa caratteristica denota l’eroicità della nostra scelta.

Il primo assaggio è stato subito una bella sorpresa. Sgas è un rifermentato di Garganega e Durella della cantina Il Cavallino di Maule. Il pied de cuve viene fatto con il mosto di Garganega. La bottiglia inizialmente non c’era poi il proprietario l’ha estratta da sotto il banchetto. Esemplare senza etichetta era una delle poche che aveva portato. La maggior parte non erano ancora pronte dato che la temperatura aveva cominciato ad alzarsi solo negli ultimi giorni. Lo sbuffo di spuma all’apertura ha decretato che le nostre belle facce erano meritevoli di un tentativo: la fermentazione era avvenuta eccome. Cremoso, agrumato, acido e croccante. Un buon inizio. Il secondo, purtroppo, non può essere canonizzato. Le narici hanno evidenziato un paio di sandali di cuoio fradici, mentre il palato un formaggio erborinato di capra. Forse il bovale sardo non è così adatto a starsene troppo sulle sue.

Il trebbiano Tiberi ci riporta un po’ di entusiasmo, perché rispetta le (nostre) regole, con l’aggiunta di un po’ di mela e burro, di una tarte tatin in sostanza.

Segue la prima vera sorpresa della mattinata: Cantina Furlani. Sul banchetto le bottiglie di questa cantina sembrano dei pantone pastello che vanno dal verde acqua al magenta. Tra i 6 rifermentati presenti alto gradimento per il Nativo 2017, un blend di lagarina bianca, verderbara, chardonnay e pinot nero, e per il cocktail di mela verde e pompelmo che sprigionava. Secondo applauso per Alpino 2016 in cui la lagarina e la verderbara si affiliavano con la nosiola. Un vino sgrassante ma anche tutto da succhiare, come una alpenliebe.

Con il sorrisetto di chi pensa di aver fatto il suo dovere ci siamo guardati. Gli occhi dicevano “fame”, l’istinto diceva “avevate promesso”. Ci siamo ritrovati davanti al banchetto di Tunia con un Trebbiano 100%, all’anagrafe Sottofondo. Ci siamo riguardati, questa volta niente sorrisetto ma palpebre dilatate e labbra a culo di tacchino. Solo ad annusarlo questo vino aveva rapito entrambi. Scusa Sandro Sangiorgi di quel vino capovolto che declama l’infallibilità del gusto rispetto all’olfatto, non volerci male, ma ci è bastata veramente una piccola capatina di naso. Poi solo bocca lo giuriamo. E che bocca: complessità e grassezza senza perdere neanche uno dei (nostri) comandamenti sui rifermentati. Segnare please.

l pomeriggio era destinato ai vulcanici. La prima azienda del nostro elenco, Ribelà, ci ha fatto aprire con un rifermentato, il Ribolie, malvasia e trebbiano, un vino spumeggiante e citrico. Il Ribelà bianco, assemblaggio di malvasia, bombino e trebbiano, era un bianco scattante e vivo, poroso come una roccia vulcanica, dal gusto pungente. Il macerato Pentima, che di macerazione fa tre giorni, 90% malvasia, 10% trebbiano è un esemplare grandioso di mineralità e freschezza, il segnale vivo che smarca la macerazione da accuse di appiattire il vino. Su questo argomento Daniele, il proprietario di Ribelà, sosteneva che 3 giorni di maturazione sono più che sufficienti, “perché se bastano tre giorni a fare un vino così”, meglio non rischiare aggiungiamo noi. A quel punto abbiamo abbandonato i vulcanici e siamo andati a fare la prova del nove. Terpin Jakot 2011, 30 giorni di macerazione. Il risultato è un bouquet di agrumi, con spruzzi di miele e resina. Impressionante. Prima di tornarcene sul prato a vinnatureggiare, siamo ripassati da Tunia ad assaggiare tutti i loro vini. Anche il sangiovese, chianti style, tagliato con canaiolo e colorino, e il cabernet sauvignon sono due gioiellini. Abbiamo continuato a sorridere.