Nel cuore del Chianti, il Castello di Meleto unisce storia millenaria e innovazione vitivinicola. Dalla prima esperienza di crowdfunding nel vino nel 1968 a un modello sostenibile e tecnologico, l’azienda oggi custodisce 130 ettari di vigne suddivisi in sei aree, ciascuna con una propria anima, dando voce autentica al Sangiovese e al territorio.
Incastonato tra le colline dorate del Chianti, il Castello di Meleto domina da secoli il paesaggio di Gaiole, uno dei borghi più alti e suggestivi della denominazione. Le sue origini affondano nel Medioevo, quando i monaci benedettini iniziano a coltivare la vite tra queste terre generose. Ancora oggi chi lo osserva da lontano ha l’impressione che il tempo si sia fermato, in quanto il maniero si erge integro, silenzioso e custode di memorie antiche, proprio come quelle del XIII secolo, periodo in cui il suo nome appare per la prima volta nei documenti ufficiali.

Il primo esperimento di crowfunding nel mondo del vino
Proprio tra queste mura cariche di storia, è andata in scena una delle rivoluzioni più sorprendenti del vino italiano. Era il 1968 quando Gianni Mazzocchi, visionario editore e fondatore di riviste come Quattroruote e Quattrosoldi, lancia un appello inedito ai suoi lettori: salvare un pezzo d’Italia che rischiava di cadere nell’oblio. L’“Operazione Vigneti” fu molto più di una raccolta fondi: ecco allora il primo esperimento di crowdfunding nel mondo vitivinicolo nazionale che riesce a coinvolgere centinaia di piccoli investitori mossi non solo dal desiderio di sostenere un patrimonio, ma anche da una nuova idea di partecipazione.

Nasce così Viticola Toscana – oggi Castello di Meleto Società Agricola – una realtà che oggi custodisce il castello e oltre 1100 ettari di terreno, tra vigneti, oliveti e boschi. Ciò che rende però davvero unica questa impresa è lo spirito che la anima: un connubio raro tra memoria e futuro, tra l’identità agricola delle origini e una visione imprenditoriale piuttosto moderna e inclusiva. Negli ultimi anni, sotto la guida di una squadra giovane e appassionata (età media 37 anni), ed in particolare con la direzione di Francesco Montalbano, il Castello di Meleto è diventato un modello di sostenibilità ambientale, sociale ed economica a tutto tondo.
La viticoltura secondo il Castello di Meleto
C’è un filo sottile, allora, che lega da secoli il destino del Castello di Meleto a quello della vite. A solcarne i confini è il torrente Massellone, un tempo chiamato Clante, nome che, secondo alcune teorie, avrebbe dato origine alla parola stessa Chianti. Ed è proprio da queste radici, tanto profonde quanto misteriose, che nasce un paesaggio unico, dove le vigne si arrampicano fino ai 600 metri di altitudine, con una media che oscilla tra i 350 e i 450 metri: un’altimetria che regala forti escursioni termiche, sempre più ricercate in tale situazione di cambiamenti climatici al fine di esaltare gli aromi dell’uva e preservarne la freschezza.

Qui, la terra è complessa e viva. Argilla, sabbia e limo si intrecciano in proporzioni mutevoli, mentre il galestro e l’alberese (le due pietre madri del Chianti Classico) affiorano tra i filari, raccontando la geologia e l’anima minerale del vino che vi nasce. Con i suoi 130 ettari vitati, Castello di Meleto detiene una delle superfici viticole più estese di Gaiole, un’eredità importante che ha richiesto coraggio, consapevolezza e visione per essere trasformata in un’opportunità di crescita. Le vigne si dividono in quattro aree, ciascuna con una propria voce: diverse per suolo, altitudine e microclima, danno vita a espressioni autentiche e cangianti del territorio chiantigiane. Guidata dall’agronomo Ruggero Mazzilli, la tenuta ha intrapreso un cammino fatto di rispetto e di ritorno all’essenziale. Nessun eccesso, nessuna forzatura, solo ricerca dell’equilibrio, anche attraverso una concimazione che si affida al compost ottenuto dai residui vegetali della stessa vigna. Si piantano leguminose quando serve azoto, si introducono graminacee per dare struttura, si pianta senape come barriera naturale contro l’oidio: insomma, si previene anziché rincorrere, si osserva molto e si attende quanto necessario.

Per difendere le viti, il Castello ha scelto l’intelligenza della tecnologia: sette centraline e ventuno sensori dialogano tra i filari, scrutando l’aria, misurando l’umidità, percependo l’ombra di un’infezione prima ancora che prenda forma. È un sistema sofisticato e silenzioso, che permette interventi minimi e localizzati, senza mai disturbare l’ordine naturale delle cose: è qui, e non altrove, che viene sperimentato per la prima volta in Italia su così grandi distanze. Grazie a questo approccio integrato e visionario, Castello di Meleto è oggi anche parte del Bio Distretto del Chianti, un’alleanza virtuosa tra aziende che credono effettivamente in un’agricoltura sempre meno impattante.

La “zonazione” della Tenuta
Sei aree, come sei capitoli di uno stesso racconto, disegnano la geografia sensoriale dell’azienda, ognuna con un carattere distinto, ognuna custode di un’espressione autentica del Sangiovese e di altre varietà che lo accompagnano.
Meleto è il cuore più vicino al castello. Qui la vite cresce riparata dal soffio del vento, coccolata dal calore e da suoli argillosi ricchi di scheletro, capaci di trattenere umidità e restituirla nei momenti giusti. È una zona generosa, dove il Sangiovese convive armoniosamente con Merlot, Vermentino e Trebbiano.
San Piero in Avenano respira accanto alla romanica Pieve di Spaltenna. È l’area più aperta, più esposta al respiro del vento, che in estate si fa prezioso alleato: raffredda, protegge, conserva. Qui il terreno è sassoso, ricco di scheletro, e la vite si esprime con grazia. Oltre al Sangiovese, il Vermentino trova in questa zona la sua dimora ideale, affiancato da piccoli appezzamenti di Malvasia Nera e Merlot. Camboi, un antico vigneto riservato esclusivamente alla Malvasia Nera del Chianti, dà vita a un vino piuttosto raro, nato da viti che hanno superato i trent’anni d’età.

Poggiarso è la vetta silenziosa, la più alta e la più austera. Qui, a quasi 530 metri sul livello del mare, il clima si fa severo, le notti sono fresche anche d’estate e le escursioni termiche plasmano vini di intensità e purezza straordinarie. La produzione è ridotta, ma la qualità è assoluta. Le vigne si aggrappano a suoli di argilla mista a galestro e alberese, e regalano vini profondi, come il Chianti Classico Gran Selezione Vigna Poggiarso, che porta nel calice l’anima più verticale e minerale di Meleto.
Casi si apre dolcemente sotto il borgo di Vertine, avvolta da boschi che la proteggono e la rinfrescano. È una valle gentile, dove il Sangiovese trova condizioni ideali per svilupparsi anche nei periodi di maggiore siccità. Tra i filari si sperimenta anche la potatura ad alberello, e qui nasce Parabuio, un cru interamente dedicato al Merlot: l’unica voce internazionale in un coro profondamente toscano. Un vino sensuale, ombroso, elegante, che raccoglie la luce filtrata del bosco e la trasforma in velluto.

Trebbio è l’essenza del Chianti Classico secondo Meleto. Da questi filari nasce l’omonima Gran Selezione, potente ed elegante, vibrante di personalità. I suoli variano dal nord-est, dove la sabbia rossa addolcisce l’argilla, fino al sud, dove l’alberese affiora con la sua struttura calcarea. Le esposizioni sud ed est, e un’altitudine tra i 380 e i 420 metri, offrono al Sangiovese la cornice ideale per esprimere complessità e profondità. Accanto a lui, Ciliegiolo e Colorino (varietà ritornate per fortuna in auge) riaffiorano come memoria viva di un tempo in cui la biodiversità era parte integrante del vino. Il Trebbio affascina per la sua eleganza, ma è con il tempo che rivela tutta la sua forza e personalità.
Cerreta, infine, è il volto giovane e promettente del castello. Le vigne, impiantate tra il 2016 e il 2022, si trovano a ovest di Gaiole, lungo il corso del torrente Piana. Esposizioni est e nord-est, altitudini comprese tra i 370 e i 450 metri, e suoli modellati dal disfacimento del Monte Morello: qui il Sangiovese cresce su una terra densa di storia geologica, fatta di alberese, galestro e più raramente arenarie calcaree. La forte presenza di calcare regala ai vini finezza e precisione, quasi come se la pietra insegnasse al vino l’arte della misura e della profondità.

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