Maître e Sommelier

Paz Levinson: “Servono sommelier umili, fate parlare i vini”. Il credo di una stella della sala

di:
Elisa Erriu
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copertina paz levinson

Il percorso della Levinson, coronato da titoli come Miglior Sommelier delle Americhe nel 2015 e due volte Miglior Sommelier dell'Argentina, riflette l’immagine di una professione che ha ormai abbandonato la sua aura rigida e monocorde per abbracciare una visione più ampia, sfaccettata e profondamente umana.

La sommelier

Non basta aprire una bottiglia per sentire il vino parlare. Serve qualcuno che sappia ascoltarlo, decifrarne gli accenti, comprenderne la lingua. C'è chi dice che il sommelier sia un traduttore del vino, ma Paz Levinson è qualcosa di più: è una poetessa del gusto, un'interprete delle emozioni in forma liquida. Il suo cammino, che si snoda tra le pagine della letteratura e i calici delle migliori tavole del mondo, racconta di un mestiere in piena trasformazione, di un’arte che oggi più che mai somiglia a una chiamata, una responsabilità e, talvolta, un atto politico. Nata in Argentina, con un passato nei romanzi prima che nei vigneti, Levinson si è lasciata adottare dalla Francia più di tredici anni fa. Oggi è direttrice della sommellerie per il gruppo di Anne-Sophie Pic — una delle chef più stellate al mondo — e si muove tra eleganza e concretezza come pochi altri nel settore. Ma non chiamatela semplicemente “esperta di vino”. Sarebbe come definire un romanzo solo dal numero delle sue pagine.

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Il suo percorso, coronato da titoli come Miglior Sommelier dell'Argentina (AAS) nel 2010 e nel 2014 e Miglior Sommelier delle Americhe nel 2015, riflette l’immagine di una professione che ha ormai abbandonato la sua aura rigida e monocorde per abbracciare una visione più ampia, sfaccettata e profondamente umana. Oggi il sommelier è un mediatore culturale, un interprete di biodiversità, un narratore attento ai segnali mutevoli di un mondo che cambia — e a volte vacilla.“Quando sono arrivata in Francia, tredici anni fa, era impensabile che in un ristorante stellato si parlasse di altre bevande oltre al vino”, ha raccontato Paz in un'intervista a 7Canibales. Oggi invece, il sommelier moderno deve padroneggiare anche caffè, tè, sakè, infusi, cocktail, e persino le acque minerali. Il gusto si è fatto poliglotta, e chi lo accompagna deve sapere parlare ogni suo dialetto. Merito della globalizzazione, certo, ma anche dei social media, che hanno amplificato il raggio d'azione di una professione sempre più interconnessa. “Un sommelier di Buenos Aires può vedere in tempo reale cosa fa un collega a Tokyo o a Copenaghen. Questo ti ispira, ti costringe a migliorare.” La formazione non è più un’ancora gettata in un’aula: è un fiume continuo che scorre tra degustazioni, conferenze, confronti informali e, soprattutto, tanta pratica.

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In un'epoca in cui tutto si può ordinare con un clic, la parola “servizio” sembra destinata all’oblio. Eppure, secondo Levinson, è proprio lì che si gioca la partita più importante: “Siamo camerieri, sommelier. Essere consapevoli di questo è fondamentale. Siamo qui per dare qualcosa agli altri, per migliorare la loro esperienza, per cambiare la loro giornata. È fondamentale avere un atteggiamento di apprendimento costante e un genuino desiderio di servire gli altri, considerando che il servizio è spesso una parola sottovalutata nel settore. Essere un cameriere richiede umiltà e impegno nel migliorare l'esperienza. La formazione continua permette di insegnare il vino senza bisogno di un'aula, e sensibilità, attenzione e ascolto sono competenze tecniche che si sviluppano con l'esperienza in un ristorante. Quella sensibilità immediata che si sviluppa negli anni fa parte della conoscenza tecnica. Sapere quando parlare, ma soprattutto quando tacere, quando spiegare e quando lasciare che il vino parli da solo.” La tecnica si affina con l’esperienza, ma la sensibilità – quella che ti fa leggere lo stato d’animo di un cliente al primo sguardo – è ciò che distingue un professionista da un semplice esecutore. In questo, l’intelligenza artificiale ha ancora molta strada da fare. “Ci sono troppe variabili umane. Il nostro mestiere durerà ancora a lungo”, assicura con ottimismo. Dietro la carta dei vini di un grande ristorante si nasconde una dichiarazione d’intenti. “Nel nostro ristorante lavoriamo con produttori biologici, o almeno chiediamo che lo siano”, spiega Paz. Ogni bottiglia scelta è un gesto che racconta una visione del mondo: più sostenibile, più giusta, più consapevole. Il sommelier, con la sua selezione, si trasforma in un attivista discreto ma potente, capace di incidere nel quotidiano attraverso il filtro del gusto.

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Bob Lightowler

Non a caso, la nuova generazione di clienti arriva al ristorante preparata, spesso con le idee ben chiare. Per il sommelier, è una sfida che richiede aggiornamento costante: “Bisogna formarsi, leggere, partecipare, ascoltare, confrontarsi.” Non basta più seguire un corso prestigioso: serve un ecosistema di scambio, una comunità. Perché il sapere, come il vino, migliora se condiviso. Quando le si chiede cosa rappresenti oggi l’Argentina nel panorama enologico, Paz non ha dubbi: il nuovo Malbec. Non più muscoloso e opulento, ma essenziale, austero, capace di raccontare il territorio con sincerità. Accanto a lui, emergono bianchi macerati, Criolla bianchi, rosati gastronomici. Una rivoluzione silenziosa ma profonda, che si avvale di viticoltori viaggiatori, consapevoli, desiderosi di esprimere identità più che stile. E non è solo l’Argentina a vibrare di novità. Levinson cita con entusiasmo gli spumanti inglesi, i vini d’altura cinesi, l’Hokkaido giapponese, le zone meno note della Patagonia come Trevelin, Chubut e Jujuy. Tutti territori che si raccontano attraverso il vino con voce propria, autentica. Il sommelier non è un oracolo né un venditore. È un artigiano dell’esperienza, un umanista che lavora con il liquido e con l’invisibile. Ed è anche, come sottolinea Levinson, “qualcuno che può trovare un cliente per ogni vino. Possiamo creare esperienze uniche con gli chef, e questo va difeso.” E, alla fine, il vino serve a questo: a raccontare chi siamo, da dove veniamo, cosa sogniamo. E per farlo, ha bisogno di qualcuno come Paz Levinson — capace non solo di servirlo, ma di restituirgli una voce.

Wine Reporter

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