I suoi appezzamenti si arrampicano tra i 200 e i 1.400 metri di altitudine, dove il paesaggio cambia colore a ogni curva e il clima si fa imprevedibile. Ma Victoria resiste.
Foto di copertina: Estanis Nunez
La storia
La terra non si limita a nutrire, ma sa anche scrivere storie. Le scrive con la cenere, con la lava, con il silenzio assordante lasciato dopo le eruzioni e con la voce ferma di chi, invece di fuggire, resta. Luoghi dove ogni sorso di vino è una dichiarazione d’amore per un territorio provato, dove ogni vite è un atto di resistenza. A La Palma, nelle Isole Canarie, Victoria Torres non coltiva solo uva: coltiva memoria, dedizione e una tenace speranza che sa di zolfo, mare e montagna. Nel fruscio del vento tra i filari, ancora carico della polvere sottile del vulcano Tajogaite, Victoria lavora i suoi vigneti come si accarezzano i ricordi: con cura, senza fretta, consapevole che ogni pianta contiene più storie di quante se ne possano raccontare. I suoi appezzamenti si arrampicano tra i 200 e i 1.400 metri di altitudine, dove il paesaggio cambia colore a ogni curva e il clima si fa imprevedibile. Eppure, è proprio qui, tra le rughe della terra e il cielo aperto, che prende vita uno dei progetti vitivinicoli più intensi e autentici d’Europa. "Non c'è più un ricambio generazionale: i giovani hanno abbandonato tutti i campi", spiega costernata la viticoltrice a La Vanguardia, ma la sua è una resistenza esemplare.

Victoria non è cresciuta con il sogno di fare vino. Figlia di una storica cantina fondata nel 1889 – la Matías i Torres – aveva altre aspirazioni: l’arte, la fuga verso l’estero, magari una vita diversa, lontana dai campi. Ma il richiamo della terra ha una voce sottile che s’insinua piano, fino a diventare inevitabile. Quando suo padre cominciò ad invecchiare, lei tornò. Non fu una decisione calcolata, ma un passaggio naturale, come quando si rientra a casa e si scopre che quel posto ci stava aspettando da sempre. Cominciò lentamente, condividendo con lui i silenzi della vigna, le prime luci del giorno durante la vendemmia, le conversazioni tra le botti. E, a differenza di tante storie in cui l’ingresso femminile nel mondo del vino è ancora ostacolato, suo padre non le pose barriere. Le affidò decisioni concrete: il pagamento dell’uva, la scelta delle date per la raccolta. Le diede fiducia. Con discrezione ma con fermezza, Victoria divenne la nuova custode della cantina nel 2010, trasformandola in Bodega Victoria Torres Pecis.

Niente marketing, nessuna concessione al superfluo: nella cantina di Victoria il protagonista è il territorio, con la sua biodiversità e le sue esigenze. I suoi vini – non filtrati, senza additivi, fermentati con lieviti autoctoni – sono figli di un ascolto costante, di una sensibilità che preferisce osservare anziché forzare. Ogni annata è diversa, ogni parcella risponde con un proprio carattere. Il risultato è una viticoltura che non detta regole, ma si adatta, si muove a passo lento, segue il ritmo del vento e del suolo. Tra i suoi alleati ci sono varietà storiche delle Canarie come il Listán Blanco, il Negramoll, la Malvasía e il Listán Prieto. Uve che Victoria tratta con una cura attenta ma mai invasiva, rispettando l’equilibrio fragile che regge ogni ciclo vegetativo in un’isola sempre più segnata da shock climatici. "Non ho cambiato lo stile della cantina", precisa. "Le cose cambiano perché siamo persone diverse, con sensibilità diverse. Ma il fondamento rimane lo stesso: il rispetto. "La Palma è un'isola che conosce bene la parola “sopravvivenza”. Negli ultimi anni, incendi ed eruzioni hanno scolpito il suo profilo e trasformato le vite di chi la abita. Il vulcano Cumbre Vieja non ha toccato direttamente i vigneti di Victoria, ma la sua ombra ha lasciato una traccia profonda: giorni di cenere, zone di esclusione, vendemmie tra lapilli. "Prima raccoglievamo uva coperta di cenere", racconta, "ora lavoriamo comunque su un terreno che ne è impregnato."

Ma la vera eruzione, forse, è quella climatica. I cambiamenti sono sotto gli occhi di tutti: dove un tempo si vendemmiava a fine ottobre, oggi si comincia ad agosto. O anche prima. "L’anno scorso, a Las Machuqueras, ho dovuto ripiantare tutto – poi un’ondata di caldo ad aprile ha bruciato le nuove piante", spiega. Un’emergenza costante, che impone nuove strategie, nuovi pensieri, nuovi modi di stare nella vigna. Victoria non ha mai cercato di essere un’icona. Eppure, per molti, lo è diventata. La sua testimonianza pacata e il suo lavoro radicato l’hanno portata ad essere scelta come volto della resilienza nell’isola, protagonista dello spot natalizio firmato da Icíar Bollaín per Campofrío. Un riconoscimento che non ha cambiato la sostanza della sua quotidianità: mani nella terra, pensieri tra le foglie, vini che parlano senza bisogno di alzare la voce. "Non credo che potremmo avere una vita migliore da nessun’altra parte", afferma con serenità. E quel “posto migliore” ha un nome preciso: Las Machuqueras. Il vigneto che suo padre le ha lasciato, protetto dai muri a secco e aperto all’aria dell’oceano. Lì cresce l’uva che dà vita al suo vino più emblematico, il Listán Blanco. E forse, tra le colline di cenere e la luce mutevole di La Palma, c’è davvero qualcosa che somiglia alla felicità. Non quella comoda e senza scosse, ma quella che sa di terra, sacrificio e passione. Quella che profuma di vino vero.
