Una giovanissima “principessa di sala” che contribuisce a far grande il Laite e la sua accoglienza: Elena Brovedani ci racconta la sua storia insieme a tante curiosità sul mondo del vino, dalla gestione della cantina alla scelta dei calici.
A Sappada non ci si capita per caso. È parte dell’immenso fascino di questo paese di montagna, delle sue borgate antiche che profumano di legno e di quell’aria sottile che crea una pace interiore capace di portarti in un mondo altro. Scappare quassù da una qualunque città è un esercizio che chiunque una volta dovrebbe fare, semplicemente per rendersi conto di come il concetto di fretta qui si possa abbandonare senza paura. Borgata Hoffe è di una bellezza particolare, così come questa piccola casa di montagna che nasconde un ristorante che ogni serio appassionato di alta cucina e di buon bere dovrebbe conoscere.
Nasconde perché, come racconta Elena Brovedani, “non abbiamo affisso la placca con la stella Michelin non per mancanza di rispetto, ma per far sì che chiunque possa entrare da noi ed essere accolto senza quel timore reverenziale che spesso frena le persone che non conoscono questo tipo di realtà”. Il ristorante in questione è il Laite, Elena invece è figlia d’arte, di un papà meraviglioso, probabilmente l’uomo di sala più dolce, competente ed empatico (tutte e tre queste caratteristiche radunate sono del tutto rare) che chi scrive abbia mai conosciuto. Capace di orchestrare finali di serata in cui i commensali delle due piccole, stupende stube foderate di legno antico, si ritrovavano tutti a parlare insieme come amici di lunga data.
Roberto Brovedani se n’è andato troppo presto, ma Elena e Fabrizia, la mamma, cuoca di impareggiabile talento e dal sorriso che contagia, sono rimaste a far grande il Laite e la sua accoglienza. “Tutto inizia con mia madre che viene a Sappada per fare una stagione: mio padre aveva un albergo e aveva anche già a che fare col vino. Lei è finita in cucina per caso, perché era quello il ruolo che mancava (ride). Insieme aprono il Keisn e nel 2001 il Laite, riconfermando la stella Michelin presa nel 1997”.
E il 1997 è proprio l’anno di nascita di Elena: “Da piccola vedevo i miei lavorare molto, con grandi soddisfazioni ma anche tutta la parte nascoste ai clienti, la stanchezza e tutti gli altri aspetti meno piacevoli. Non avrei mai pensato di fare questo lavoro ma man mano, crescendo e assaggiando po’ di tutto, ho imparato ad apprezzare davvero il mondo della ristorazione. Ogni giorno papà mi accompagnava tra i clienti per chiacchierare con loro e ascoltare i suoi racconti. Diventata più grande mi faceva assaggiare i vini, chiedendomi ‘secondo te con che piatto della mamma può andare questo?’. Poi uscivamo spesso tutti insieme a cena”.
Non solo, perché in famiglia si muovono parecchio anche nei periodi di chiusura: “Papà ha sempre fatto un grande lavoro di ricerca in aree vinicole diventate importanti di Italia e Francia con grande lungimiranza. Ed è un lavoro che cerco di fare anch’io scovando piccole realtà ancora sconosciute e zone poco note per far crescere la curiosità dell’ospite che di noi si fida, così lo fai partecipe di quello che ho assaggiato durante le vacanze, giocando molto sull’interazione”.
Elena frequenta il corso per diventare sommelier, la passione per l’accoglienza si fa sempre più presente e la strada è segnata. “Per seguire bene la sala devi saperne anche di vino, non solo per sentito dire ma conoscere bene tutto, sia quello che impari al corso ma anche fuori, da nord e sud, perché ogni regione ha sfaccettature diverse.” Fa esperienza in locali importanti, come alla Madonnina del Pescatore a Senigallia: “Non mi stancherò mai di dire che Mariella Organi, per la sua eleganza e il suo modo di fare, insieme a Paolo, il maître storico, mi hanno sempre ammaliata. Un fascino che non trovi dappertutto.” A proposito di luoghi importanti, Elena passa un periodo anche da Gennaro Esposito alla Torre del Saracino, periodo che definisce ‘bello su tutti i fronti’.
Tornata a casa a Sappada prende in mano la gestione della sala e lo fa con quello spirito amorevole e spontaneo che si traduce in un concetto di accoglienza realmente peculiare: “Mi piace conoscere le persone sedute a tavola, si creano amicizie, un rapporto umano profondo, tanto che ci si scambiano i numeri. Molti clienti me lo dicono proprio che si sentono a loro agio. Perché qui devono stare bene tutti, dallo sciatore che vuole mangiare un piatto al gourmet. È bello il fatto che io e mamma ci siamo sempre battute per tenere anche la carta e dare l’opportunità di provare anche a chi non è abituato, magari consigliando i piatti più immediati e che piacciono a tutti, come ad esempio i ravioli ripieni di camoscio, perché è grande la soddisfazione di vedere che la gente torna e chiede anche il menu degustazione.”
E in merito alla passione viscerale per il vino, grazie anche a una cantina che nel corso degli anni si è popolata di grandi meraviglie enologiche, c’è l’attenzione al dettaglio, come nella scelta del bicchiere adatto: “Decidere che calice usare è molto importante, anche se può giocare la soggettività, perché per certi versi il calice è come un abito che si indossa in base al carattere, che può esaltare o correggere dei dettagli. Ci si può giocare, se un vino ha bisogno di essere enfatizzato nella sua timidezza scelgo un calice ampio. Se invece ha un carattere importante, magari invadente, posso usarne uno più stretto per renderlo meno audace".
"Nel caso dello Champagne Thiénot Brut vendemmia 2017, una piccola maison indipendente a conduzione familiare, ho scelto il Calice Spumante Glas di Definition di Spiegelau (sviluppato da Royale per il mercato interno, ha poi avuto molto successo, tanto da essere messo a catalogo mondo dell’azienda e diventarne uno dei pezzi più venduti, ndr): per me è il massimo per conservare e mantenere le bollicine. Parliamo di un Pinot Nero per la maggior parte, ha un 35% di Chardonnay e un restante 20% di Pinot Meunier. Si fosse trattato di uno Champagne più strutturato avrei scelto un bicchiere più ampio, ma questo è un vino molto fine, con un residuo zuccherino piuttosto basso, con una bella nota di frutta, pesca in particolare. È delicato e non invadente, l’ideale per me come aperitivo o anche per un fine pasto.”
Magari, aggiungiamo noi, dopo una passeggiata in quota, l’altra grande passione di Elena, che ci saluta ricordando come la montagna abbia bisogno di tanta sensibilità e rispetto. Sentimenti che ogni giorno lei stessa pratica nel suo meraviglioso mestiere.