Una realtà che va dall’accoglienza all’enologia, passando per i vitigni resistenti: ai piedi del Monte Grappa sorge Ca’ da Roman, candidata a diventare la più grande cantina d’Europa a sola produzione di vini da uve PIWI.
Ca' da Roman e i suoi vini
È nata la collaborazione tra Reporter Gourmet e BMW Italia per una serie di contenuti incentrati sulla sostenibilità ambientale: vi racconteremo l’approccio green di chef, produttori, viticoltori e artigiani che stanno rivoluzionando il mondo del food nel rispetto del territorio. Pronti a partire con noi per questo viaggio gourmet? Allacciate le cinture.
L’azienda
Ci ritroviamo accomodati a tavola al bistrot di Ca’ Apollonio, tra Romano d’Ezzelino e Bassano del Grappa, a mangiare un paio di piatti preparati da Alessio Longhini, giovane vecchia conoscenza e cuoco dalla mano felice. È qui, in un contesto di grande eleganza, che Massimo Vallotto, architetto e imprenditore, racconta la storia di questo posto e di come sia arrivato con la moglie Maria Pia Viaro a creare una realtà che va dall’accoglienza all’enologia, passando per i vitigni resistenti.
“Nasciamo da una piccola storia, in parte casuale e in parte covata. Casuale perché abbiamo un figlio che ha da sempre la passione per l’agricoltura. Si era inventato degli orti domestici, ma vedendo quanta passione e i risultati che stava ottenendo abbiamo pensato di trovargli un terreno più ampio dove potesse svilupparla e magari anche trovare la possibilità di far carriera. Servono molto studio e molta conoscenza per fare agricoltura, oggi. Ci è stata proposta questa proprietà che era ben oltre la dimensione necessaria, però io e mia moglie ce ne siamo innamorati: lei ha sempre avuto in mente l’idea dell’ospitalità, di un ristorante di un certo tipo. Così sono venute a combaciare un po’ di situazioni e da lì siamo partiti.”
È il 2015 quando la coppia acquista i terreni e la cinquecentesca Villa Apollonio, portata dalla coppia agli antichi fasti. Di un secolo prima Ca’ Da Roman, edificio vernacolare acquisito un paio d’anni dopo, attorno al quale si sviluppa la cantina in fase di ultimazione, candidata a diventare la più grande cantina d’Europa a sola produzione di vini da uve PIWI. Continua Vallotto: “Il vino è venuto dopo e altrettanto casualmente, perché si è resa disponibile un’altra proprietà di pari dimensione confinante. Nel frattempo eravamo venuti a conoscenza di questi vini da vitigni resistenti, i PIWI (dal tedesco Pilzwiderstandsfähige Rebsorten, n.d.r.) e l’idea ci ha affascinati perché sulla sostenibilità lavoriamo da anni, in particolare come architetto con 40 anni di case efficienti e bioclimatica in edilizia. Sono concetti che ho sempre cercato di mettere in atto.”
Ecco allora che qui si rifugge da un’agricoltura intensiva: “Che sia convenzionale oppure ogm, le incidenze per i terreni sono pesanti. La via alternativa è l’agricoltura rigenerativa. Qui abbiamo lavorato 3 anni con i sovesci, una scelta precisa perché in 6 mesi con la chimica avremmo portato i terreni alle condizioni ideali per quel che volevamo fare. Ma sarebbe stata una contraddizione. In questo modo con i sovesci abbiamo trovato l’equilibrio. Questi erano terreni in parte abbandonati e in parte coltivati a cereali in regime intensivo, i valori erano totalmente sballati.” Il resto della storia racconta di un incontro con un agronomo il quale suggerisce ai Vallotto di pensare alla possibilità di fare vino che ha portato a realizzare impianti con vitigni resistenti “zerochimica”.
“Il Prosecco, no. Ma non c’è solo quello. È andata che dopo la partecipazione a un convegno e abbiamo fondato PIWI Veneto insieme ai pionieri di questo settore. Ed è stato un trovarsi tra persone che parlavano la stessa lingua. Perché queste varietà danno grandi possibilità e ci sono già stati i primi riconoscimenti. Infine, il tema della sostenibilità per noi è centrale, senza tralasciare però la qualità, perché il vino dev’essere sempre un piacere. A questo proposito di recente ci siamo costituiti in rete d’impresa con altre sette Aziende agricole che operano tra Friuli, Veneto e Trentino, dal mare Adriatico alle Dolomiti. Alla base di tutto tre valori fondamentali come sostenibilità totale e reale, vini di grande personalità e la grande competenza del nostro enologo Nicola Biasi.”
I vini
La produzione a regime sarà tra le cinquanta e le sessantamila bottiglie all’anno, con etichette che portano nomi particolari come il DōFaSol, blend di Bronner e Johanniter, il Gisla che viene definito ‘easy orange’, da una macerazione breve di Souvignier Gris e il Masnada Ezzelina, IGT Rosso che comprende Cabernet Eidos e Regent. Abbiamo poi avuto modo di assaggiare in anteprima un metodo classico arrivato a 20 mesi sui lieviti che promette davvero molto bene. Emblematico e riuscito anche il 3|6|9, il cui nome arriva dal cronoprogramma aziendale, 3 anni di sovesci, 6 di impianti e 9 di permacultura.
Da uve Souvignier Gris che fa solo acciaio, prodotto la prima annata in 369 bottiglie: “Non sono andate in commercio, le abbiamo distribuite a esperti e amici. I commenti sono stati piuttosto lusinghieri e così siamo andati avanti. Avevamo comunque condotto uno studio pedoclimatico accurato, siamo ai piedi del massiccio del Grappa e c’è uno scambio termico importante. Pur essendo una zona che ha anche fattori di umidità c’è una ventilazione costante, dalla pianura arrivano le correnti più miti e dal monte scendono quelle più fresche. I terreni sono prevalentemente argillosi, del resto si trovano sull’alveo del Brenta che è una zona alluvionale, ma sono anche ricchi di sostanze nutrienti.”
Un vino fuori dagli schemi: al naso si sentono pesca bianca, mela verde e delicate, piacevoli note erbacee. Se l’acidità è ancora spiccata, in bocca si percepisce una nota minerale che regala sapidità e carattere. Un’idea riuscita.
Trovi qui la mappa delle ricariche elettriche BMW presenti in Italia
Indirizzo
Ca' da Roman
Una realtà che va dall’accoglienza all’enologia, passando per i vitigni resistenti: ai piedi del Monte Grappa sorge Ca’ da Roman, candidata a diventare la più grande cantina d’Europa a sola produzione di vini da uve PIWI.
Ca' da Roman e i suoi vini
L’azienda
Ci ritroviamo accomodati a tavola al bistrot di Ca’ Apollonio, tra Romano d’Ezzelino e Bassano del Grappa, a mangiare un paio di piatti preparati da Alessio Longhini, giovane vecchia conoscenza e cuoco dalla mano felice. È qui, in un contesto di grande eleganza, che Massimo Vallotto, architetto e imprenditore, racconta la storia di questo posto e di come sia arrivato con la moglie Maria Pia Viaro a creare una realtà che va dall’accoglienza all’enologia, passando per i vitigni resistenti.
“Nasciamo da una piccola storia, in parte casuale e in parte covata. Casuale perché abbiamo un figlio che ha da sempre la passione per l’agricoltura. Si era inventato degli orti domestici, ma vedendo quanta passione e i risultati che stava ottenendo abbiamo pensato di trovargli un terreno più ampio dove potesse svilupparla e magari anche trovare la possibilità di far carriera. Servono molto studio e molta conoscenza per fare agricoltura, oggi. Ci è stata proposta questa proprietà che era ben oltre la dimensione necessaria, però io e mia moglie ce ne siamo innamorati: lei ha sempre avuto in mente l’idea dell’ospitalità, di un ristorante di un certo tipo. Così sono venute a combaciare un po’ di situazioni e da lì siamo partiti.”
È il 2015 quando la coppia acquista i terreni e la cinquecentesca Villa Apollonio, portata dalla coppia agli antichi fasti. Di un secolo prima Ca’ Da Roman, edificio vernacolare acquisito un paio d’anni dopo, attorno al quale si sviluppa la cantina in fase di ultimazione, candidata a diventare la più grande cantina d’Europa a sola produzione di vini da uve PIWI. Continua Vallotto: “Il vino è venuto dopo e altrettanto casualmente, perché si è resa disponibile un’altra proprietà di pari dimensione confinante. Nel frattempo eravamo venuti a conoscenza di questi vini da vitigni resistenti, i PIWI (dal tedesco Pilzwiderstandsfähige Rebsorten, n.d.r.) e l’idea ci ha affascinati perché sulla sostenibilità lavoriamo da anni, in particolare come architetto con 40 anni di case efficienti e bioclimatica in edilizia. Sono concetti che ho sempre cercato di mettere in atto.”
Ecco allora che qui si rifugge da un’agricoltura intensiva: “Che sia convenzionale oppure ogm, le incidenze per i terreni sono pesanti. La via alternativa è l’agricoltura rigenerativa. Qui abbiamo lavorato 3 anni con i sovesci, una scelta precisa perché in 6 mesi con la chimica avremmo portato i terreni alle condizioni ideali per quel che volevamo fare. Ma sarebbe stata una contraddizione. In questo modo con i sovesci abbiamo trovato l’equilibrio. Questi erano terreni in parte abbandonati e in parte coltivati a cereali in regime intensivo, i valori erano totalmente sballati.” Il resto della storia racconta di un incontro con un agronomo il quale suggerisce ai Vallotto di pensare alla possibilità di fare vino che ha portato a realizzare impianti con vitigni resistenti “zerochimica”.
“Il Prosecco, no. Ma non c’è solo quello. È andata che dopo la partecipazione a un convegno e abbiamo fondato PIWI Veneto insieme ai pionieri di questo settore. Ed è stato un trovarsi tra persone che parlavano la stessa lingua. Perché queste varietà danno grandi possibilità e ci sono già stati i primi riconoscimenti. Infine, il tema della sostenibilità per noi è centrale, senza tralasciare però la qualità, perché il vino dev’essere sempre un piacere. A questo proposito di recente ci siamo costituiti in rete d’impresa con altre sette Aziende agricole che operano tra Friuli, Veneto e Trentino, dal mare Adriatico alle Dolomiti. Alla base di tutto tre valori fondamentali come sostenibilità totale e reale, vini di grande personalità e la grande competenza del nostro enologo Nicola Biasi.”
I vini
La produzione a regime sarà tra le cinquanta e le sessantamila bottiglie all’anno, con etichette che portano nomi particolari come il DōFaSol, blend di Bronner e Johanniter, il Gisla che viene definito ‘easy orange’, da una macerazione breve di Souvignier Gris e il Masnada Ezzelina, IGT Rosso che comprende Cabernet Eidos e Regent. Abbiamo poi avuto modo di assaggiare in anteprima un metodo classico arrivato a 20 mesi sui lieviti che promette davvero molto bene. Emblematico e riuscito anche il 3|6|9, il cui nome arriva dal cronoprogramma aziendale, 3 anni di sovesci, 6 di impianti e 9 di permacultura.
Da uve Souvignier Gris che fa solo acciaio, prodotto la prima annata in 369 bottiglie: “Non sono andate in commercio, le abbiamo distribuite a esperti e amici. I commenti sono stati piuttosto lusinghieri e così siamo andati avanti. Avevamo comunque condotto uno studio pedoclimatico accurato, siamo ai piedi del massiccio del Grappa e c’è uno scambio termico importante. Pur essendo una zona che ha anche fattori di umidità c’è una ventilazione costante, dalla pianura arrivano le correnti più miti e dal monte scendono quelle più fresche. I terreni sono prevalentemente argillosi, del resto si trovano sull’alveo del Brenta che è una zona alluvionale, ma sono anche ricchi di sostanze nutrienti.”
Un vino fuori dagli schemi: al naso si sentono pesca bianca, mela verde e delicate, piacevoli note erbacee. Se l’acidità è ancora spiccata, in bocca si percepisce una nota minerale che regala sapidità e carattere. Un’idea riuscita.
Indirizzo
Ca' da Roman