Vinitaly 2022
L’attesa per questo Vinitaly era tanta. La cinquantaquattresima edizione dopo due episodi saltati a causa di quel disastro che della meravigliosa Verona ci ha fatto mancare perfino le stanze d’albergo vendute a prezzi esorbitanti, la viabilità impazzita e tutto quello che una fiera praticamente dentro la città comporta, si è dimostrata una di quelle che pur rivelando i limiti noti, ha sancito il suo status di punto di riferimento come manifestazione del mondo del vino. Tenendo presente un contesto globale ancora per nulla stabile, tra gli strascichi della pandemia e la situazione di guerra in Ucraina, i numeri parlano comunque chiaro: più o meno 4.400 aziende espositrici, 88.000 ingressi di cui il 28% internazionali, 25.000 buyer di 139 paesi differenti.Raccogliendo pareri e opinioni, senza la pretesa di stabilire un dato statistico, si può dire che la percezione sia quella di un Vinitaly con una maggiore qualità complessiva in termini di pubblico, decisamente più professionale e meno incline a qualche deriva belluina a cui si era fatta l’abitudine nei pomeriggi intorno all’orario di uscita. Merito probabilmente di barriere all’ingresso fatte di maglie più strette e maggiore attenzione. Del resto, Vinitaly per gli espositori è una manifestazione costosa che va prima valutata con criterio e poi preparata con cura proprio per capitalizzare un investimento importante: qui però si entra nel campo di strategie che non sempre e non soltanto guardano al lato economico della questione, ma si spingono su aspetti più “soft” a livello di immagine e comunicazione. Bentornata quindi alla più importante fiera del vino italiana. Nel corso delle nostre giornate, percorrendo gli abituali chilometri tra un padiglione e l’altro, abbiamo raccolto impressioni, idee e pensieri da qualche produttore presente, aziende più o meno grandi e più o meno note, ma tutte – a nostro giudizio – con qualcosa da raccontare.
Argiano
Dal 2013 proprietà dell’imprenditore brasiliano Andrè Esteves, Argiano è una realtà toscana di grande prestigio. Bernardino Sani è l’amministratore delegato, Francesco Monari invece è direttore tecnico e agronomo. Nella storia della cantina è passato anche uno dei padri dell’enologia italiana come Giacomo Tachis, il quale ha dato vita al Supertuscan ‘Solengo’. Chiedendo quale sia la vera peculiarità di Argiano, il direttore commerciale Riccardo Bogi ci risponde: “Dopo aver restaurato la villa del 1500, stiamo completando i giardini e una galleria d’arte privata. Riassumerei il tutto nel concetto di un nuovo Rinascimento, la riscoperta di tutto quello di cui ci eravamo dimenticati a livello agronomico e a livello di valore storico, quello che avevamo e non utilizzavamo più come potenziale. Stiamo raccogliendo i frutti del duro lavoro negli ultimi anni e sebbene abbiamo la fila fuori non ci fermiamo. E ancora il lavoro sul Rosso di Montalcino, l’essenza del Sangiovese nel pieno delle energie. Il vino della bevibilità, decisamente non un semplice fratello minore del Brunello.” Dal 2019 Argiano ha eliminato tutte le plastiche monouso, diventando la prima azienda di Montalcino plastic free.
Bellussi
Nel cuore della DOCG Conegliano-Valdobbiadene, area storica per la produzione del Prosecco Superiore e tra le colline diventate patrimonio dell’umanità per Unesco, Bellussi è un’azienda che ha scelto una strada alternativa per promuovere un prodotto tanto noto quanto spesso confuso nella sua autentica identità. Al di là della zona vocata per eccellenza, Enrico Martellozzo ha unito la sua passione per la musica lirica e per l’arte a quella per il vino. Terza generazione nel mondo del vino, con l’idea di rilanciare questo marchio importante, Martellozzo nel 1995 ha pensato di legare Belcanto, una delle linee aziendali, a un premio importante come il concorso internazionale Toti dal Monte. “Abbiamo pensato di fare comunicazione in un contesto che ci piace, siamo sponsor sostenitori del Teatro La Fenice e quindici anni fa abbiamo esteso l’idea e ci siamo uniti con Biennale Arte e Architettura di Venezia, con i nostri prodotti presenti in tutti i contesti più prestigiosi delle manifestazioni. Così facendo abbiamo un grande riscontro qualitativo e il marchio ne viene arricchito.”
Umberto Cesari
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Gianmaria Cesari della Umberto Cesari ha un’idea precisa di questo Vinitaly: “L’ho definita la fiera della consapevolezza, perché ci sta dando la consapevolezza che il mondo è diverso. C’erano tante riserve, tra chi sosteneva che sarebbe stata meglio di prima chi una catastrofe; invece, si è rivelata una via di mezzo tra quello che era e quello che speriamo tornerà a essere. Meno visite ma più mirate, meno persone, però con una qualità molto più alta. Finalizzata, meno dispersiva, più selettiva. Mancano molti clienti dai paesi che ancora hanno la psicosi del covid. Però a me la cosa che più sta piacendo è che riesco a rivedere persone dopo due anni che le dovevo guardare davanti a uno schermo.” Di fronte a una sua bottiglia riflette ancora: “Guardo questo vino e il suo habitat naturale è la convivialità, ci è stata preclusa negli ultimi tempi, spero si ritorni alla normalità.” Quanto al futuro, per Cesari è roseo ma ancora incerto:” Ma tra segnali che ho io, a parte gli aumenti continui delle materie prime e gli elementi di instabilità del contesto internazionale, la cosa bella è lo spirito di tornare a stare insieme.”
Consorzio per la tutela dell’Asti Spumante e del Moscato d’Asti Doc
Stefano Ricagno rappresenta come vicepresidente senior il Consorzio per la tutela dell’Asti Spumante e del Moscato d’Asti Doc. Ci racconta di “una realtà che rappresenta la storia della spumantistica italiana e quella del Piemonte, partita nel 1850 quando Carlo Gancia, tornato dai suoi ‘studi’ nella Champagne, ha cominciato a lavorare con l’uva Moscato e a creare con la stessa il primo spumante. Il Consorzio nasce nel 1932 e da lì in poi siamo arrivati a un territorio che conta 9700 ettari di produzione, 102 milioni di bottiglie nel 2021 tra spumante e Moscato D’Asti, venduti in molti mercati in tutto il mondo. Vino con una grande capacità di adattamento alle tipologie dei gusti di mercato e consumatori, oggi L’Asti spumante è riconosciuto come la bollicina romantica più importante nel mondo e se è noto come vino dolce, abbiamo sviluppato una grande capacità di interpretarlo in maniera differente e soprattutto realizzandolo sia come metodo classico sia come Martinotti. In particolare, se si parla di Moscato d’Asti, gli abbinamenti non toccano soltanto i classici pasticcini, ma si può pensare a idee di food-pairing particolarmente innovative e fuori dagli schemi”.
Famiglia Cotarella
Quello della famiglia Cotarella è un piccolo universo che è andato oltre il vino rimanendone comunque saldamente ancorata. Parlando con Enrica, ci racconta: “il vino chiaramente rimane l’anima, ma da quando siamo entrate in azienda con le mie sorelle Dominga e Marta c’è da sempre stata la voglia di metterci del nostro. Chiaramente veniamo da due padri, mio zio Riccardo e il babbo Renzo, i quali da sempre ricoprono un ruolo importante all’interno del mondo enologico. Volevamo farci spazio e dire ‘ci siamo anche noi’. Così ci siamo addentrate in altri ambiti sempre più o meno legati al mondo del vino, dalla formazione con la nostra accademia di sala Intrecci a un altro tema importante come il sociale: dal 2018 abbiamo Tellus, una fattoria didattica dove lavoriamo con bambini dotati di abilità diverse. Il prolungamento di tutto questo è il progetto di Fondazione Cotarella: nel dicembre 2021 abbiamo infatti dato vita a un progetto che si occuperà nello specifico di ragazzi e ragazze con problemi legati ai disturbi del comportamento alimentare come fase post ospedaliera, per reinserirli nella quotidianità trasformando il cibo da nemico a compagno di viaggio. Ritornando al mondo del vino, nel 2017 è nata una microrealtà a Montalcino, sei ettari di cui poco più della metà coltivati a Sangiovese grosso”. Con Riccardo Cotarella, figura fondamentale dell’enologia italiana che sostiene di aver ‘attraversato l’era del risorgimento del vino italiano’ abbiamo fatto una lunga chiacchierata che avremo modo di raccontare.
Guido F Fendi
Guido Formilli Fendi, prima di dedicarsi al vino, è stato un manager importante. Romano, ex direttore generale del Gruppo Fendi, è profondamente appassionato della Maremma e ha coinvolto la famiglia, la moglie Chicca e i figli Giulia e Giovanni nell’iniziativa della cantina: “L’azienda nasce un po’ per caso, innanzitutto per questa mia passione, cosa che risale a quand’ero più giovane. Successivamente ho avuto la possibilità di acquistare una piccola azienda agricola dov’era presente una vigna che produceva vino già molto buono. Piano piano l’abbiamo fatta crescere questa vigna. Abbiamo utilizzato il periodo della pandemia per mettere a punto i prodotti e le strutture dell’azienda, abbiamo acquistato nuovi vigneti, partecipato a diversi concorsi e accumulato premi su premi, così non si può dire che abbiamo perso tempo”. Andrea Pala, miglior giovane enologo d’Italia nel 2021, è l’enologo sardo che segue i vigneti con una regola precisa: “Approcciarsi al territorio e confrontarsi con chi vive la vigna, per esprimere vini che possano rappresentare la terra dalla quale arrivano. Qui facciamo due vermentini: io arrivo dalla Gallura e ho voluto proporre il mio stile ma nel rispetto di quest’area, con due vini simili ma diversi, uno più facile da bere e l’altro più diretto dove cerchiamo di esprimere al massimo il territorio.”
Fontezoppa
Mosè Ambrosi ci racconta con passione la sua azienda nel cuore delle Marche, invitandoci a scoprire quella che secondo lui è una zona ancora troppo poco nota e frequentata per quello che può riservare in termini di bellezza e prodotti: “Fontezoppa nasce con l’idea ben precisa di portare alla luce vitigni antichi e dimenticati come la Vernaccia Nera, o l’Incrocio Bruni. Siamo in questa regione segreta. La chiamo segreta perché ci conoscono in pochi: produciamo al mare alcune tipologie bianche e in montagna a Serrapetrona la Vernaccia Nera da cui otteniamo diverse tipologie. La nostra idea è quella di fare vini di qualità, biologici, con un basso contenuto di solfiti e cercando di dare il massimo risalto al vitigno. Al mare uno degli ingredienti più importanti è il vento che viene respirato dalle nostre vigne. In montagna invece il particolare microclima: siamo a 600 metri ai piedi dei Monti Sibillini, ma anche lì arriva l’aria del mare. A Serrapetrona poi, si sente tantissimo la spezia. Poi cerchiamo di migliorare la qualità, perché è con quella che facciamo la differenza, con dei vini che si possano bere ma non siano mai scontati. Quello che vorremmo, in fondo, è cercare di emozionare con un calice di vino.”
IL Pollenza
Il conte Aldo Brachetti Peretti, dopo un’importante carriera in altri settori di prestigio, intraprende alla fine degli anni Settanta del secolo scorso la strada della tradizione familiare del nonno Tebaldo, proprietario terriero con alle spalle una tradizione vitivinicola consolidata. La bellissima proprietà de Il Pollenza si trova sulle colline nelle campagne maceratesi, tra il mare Adriatico e i Monti Sibillini L’elegante edificio principale, circondato da vigneti geometricamente perfetti ricorda nelle sue forme uno Chateau bordolese e il vino più rappresentativo che porta il nome della cantina è proprio un uvaggio di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e una piccola percentuale di Petit Verdot. La frase simbolo del conte è “eccellenti risultati si raggiungono solo superando grandi difficoltà”: essa è strettamente legata al motto di famiglia “per angusta ad augusta”, ad indicare il grande impegno che richiede la realizzazione di vini di alto lignaggio, obiettivo irrinuciabile da raggiungere anche con collaborazioni d’alto rango enologico. È del 1997 infatti l’ingresso in azienda di Giacomo Tachis come consulente: la sua esperienza durerà dieci anni, quando gli subentrerà un enologo altrettanto valente come Carlo Ferrini.
Santa Margherita
Quella del Gruppo Santa Margherita è una grande realtà del mondo del vino. A Vinitaly abbiamo incontrato l’amministratore delegato Beniamino Garofalo, al quale abbiamo chiesto come veda oggi il contesto generale: “Il mercato del vino ha avuto grossi cambiamenti, ma anche nelle tragedie che abbiamo vissuto e stiamo vivendo ci sono anche fattori positivi, perché oggi il mondo del vino incomincia a capire che il centro è rappresentato dal consumatore; stiamo quindi trasformando le nostre aziende da aziende puramente business to business anche verso il business to consumer. È chiaro che negli ultimi due anni le aziende più flessibili hanno avuto dei vantaggi, così come quelle con un approccio multicanale e internazionalizzate. Internazionalizzare è diverso da esportare, significa possedere la conoscenza dei mercati, dei consumatori e dei nuovi trend. Questo con il rispetto di tutte le tipologie di trade e soprattutto di quello che ha avuto maggiori sofferenze come i ristoratori, i nostri veri ambassador.” Sul fronte dei consumatori: “Ci sono i winelovers, più tecnici che apprezzano un certo tipo di vini, ma è importante capire le nuove tendenze soprattutto tra i giovani che saranno i consumatori del futuro per avvicinare i millennial al vino, anche oggi vanno molto anche gli spirits anche a tutto pasto e a volte una bottiglia di vino costa molto di più di un drink. I giovani cercano vini versatili, di qualità, di facile beva ma soprattutto vini che hanno una storia, un’eredità e dei valori. Quindi è fondamentale lavorare su vari target di consumo per coltivare i consumatori del futuro ed è quello che sta facendo il mio gruppo.”
Cantina Telaro
La cantina Telaro di Roccamonfina nasce nel 1987 con un nome particolare come “Lavoro e Salute Vini Telaro”. L’idea era quella di sottolineare una particolare l’attenzione nei confronti dell’ambiente, così come verso i consumatori e chi della terra si prendeva cura. In Campania, al confine con Lazio e Abruzzo, la sua estensione è di circa 100 ettari nei comuni di Galluccio, Conca della Campania e Rocca D’Evandro e si trova in parte nell’ambito del Parco regionale di Roccamonfina e Foce del Garigliano, territorio che anticamente prendeva il nome di “Terra di Lavoro”. Terra adatta alla coltivazione di vitigni abbandonati da anni come il Pallagrello e ripresi con l’Università di Portici anche grazie all’amicizia del fondatore con il grande Luigi Veronelli. Tra i progetti in corso l’etichetta con il nome di Eli Zambrotta, primo vino in Italia nato dalla collaborazione di due enologi come Pasquale Telaro e Andrea Pala, Eliana (Eli) è la donna che nel 1943 trovò tra i vigneti della famiglia Telaro il soldato italo-americano Zambrotta. Si prese cura di lui e prima che tornasse a casa gli regalò una foto dei vigneti dove si erano incontrati. Eliana è anche la nipote del soldato, chiamata così in onore dell’italiana che salvò il nonno e che per anni ha conservato la foto dei vigneti poi condivisa con i Telaro.
Zonin 1821
Di Zonin 1821 abbiamo incontrato Francesco Giattino, Horeca & E-commerce Director per l’Italia. Di questa azienda importante, nata un paio di secoli fa, Giattino racconta: “Nel mondo del vino italiano è sempre stata un precursore, perché fin dagli anni 60 ha iniziato a esplorare il mondo vitivinicolo. L’ha fatto nel vero senso della parola, quindi si è cominciato a vedere quali erano le eccellenze e dove c’erano degli spazi di produzione, dal Veneto al Friuli fino all’America in Virginia, fatto incredibile per allora, poi la Toscana partendo dal Chianti e successivamente altre realtà, piccole tenute dalla Sicilia, alla Puglia alla Maremma, fino all’Oltrepò Pavese e al Piemonte. Un’azienda che ha guardato al mondo tanto da un punto di vista produttivo quanto da quello commerciale.” Quando gli chiediamo di come veda il mercato, lui lo descrive “in continua evoluzione, anche lasciando stare la pandemia che ne ha cambiato le dinamiche. È velocissimo, cambia sempre e le tendenze vanno lette in anticipo. Siamo anche molto forti negli USA, dove ogni 6 mesi c’è un trend diverso. Ancora, ci sono canali che prima non erano presidiati e che stanno crescendo come i winelover, perché in effetti la pandemia ha aumentato i cultori del vino. Ecco perché, da agricoltori diventati imprenditori, siamo in continua evoluzione per interpretare il mercato, soprattutto guardando a quell’incognita che sono i giovani. La nostra speranza è riuscire a fare cultura ma non noiosa, più innovativa per interpretare il mercato in maniera differente.”