Mondo Vino

Eroi del vino: la viticoltura verticale di Heydi Bonanini nelle Cinque Terre

di:
Alessandra Meldolesi
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La Storia

Lo spazio è sempre mancato, che fossero ombrelloni da piantare o filari di vigne su per le terrazze, alzando il naso di pochi gradi dietro il volo di un gabbiano. Perché qui i costoni erano tutti vitati: un patchwork di inclinazioni volubili steso sull’orografia della montagna. Difficile immaginarlo oggigiorno, quando la penombra del bosco preme come un macigno sui muretti a secco, mentre qualche modulo sparuto residua qua e là. “Un tempo qui intorno c’erano 1200 ettari vitati, oggi sono meno di 100”, stima Heydi Bonanini, asserragliato in quella che ormai somiglia a una verde trincea di resistenza.



Non bisogna andare troppo indietro nel tempo, in verità. Fino a qualche decennio fa le Cinque Terre erano borghi isolati e fuori dal tempo, e forse per questo si sono preservate fino al recente boom del turismo internazionale. Il primo binario della ferrovia risale alla fine del ‘900, la strada litoranea che collega Levanto a Monterosso e Riomaggiore a La Spezia agli anni ’60. “Ma il commercio del vino già c’era. Rappresentava la fonte di reddito principale di gran parte delle famiglie. Lo compravano i commercianti delle città limitrofe, che lo trasportavano via mare, perché nemmeno i muli passavano. Poi è successo che con la fine dell’isolamento la gente ha iniziato a vergognarsi delle mani sporche di terra e del dialetto. Sono arrivati vini da ogni parte d’Italia, che costavano meno perché frutto della meccanizzazione, e quella che era un’agricoltura di sussistenza, faticosissima, che se andava bene ti dava da mangiare, è stata spazzata via. Si è passati all’autoconsumo e ancor prima dell’avvento del turismo la generazione che mi ha preceduto ha abbandonato la campagna”. Oggi però qualcuno ritorna: nel 2000 le aziende vitivinicole delle Cinque Terre erano 4, di recente già 19. Resta il problema della parcellizzazione in proprietà piccolissime, che spesso non sono accudite come si dovrebbe per legge, ma nemmeno vengono vendute o affittate, generando problemi per chi lavora ai confini. Anche trovare un ubi consistam è diventato un problema, a causa della conversione dei fondi in monolocali per turisti.


Ma il turismo ha funto anche da volano. Se Walter De Battè ha riscattato le Cinque Terre, interrogandosi sul motivo per cui un paesaggio così unico non desse sorsi indimenticabili, il suo resta un vino autoriale prima che del territorio: il vino di un solista visionario. Heydi Bonanini ha scelto di fare un passo indietro, con tutto quel che comporta dove la vigna scende a picco sul mare. A Riomaggiore è una vertigine sul blu verticale, dritta come il sorso che ne cola nel bicchiere. “I miei nonni facevano vino e avevano la botticella dello sciacchetrà, come tutti in zona. Quando sono partito, però, nel terreno di mia nonna le vigne non c’erano più. Ne ho comprate di molto vecchie, anche ultracentenarie, dai vicini di casa. Ho iniziato nel 2004, ma già 7 o 8 anni prima, mentre facevo il camionista, avevo cominciato a recuperare il territorio, pulire e ricostruire i muretti a secco”.


Ho imparato in Piemonte con Elio Altare, perché quella del Barolo mi sembrava una storia familiare: fino a 40 anni fa vendevano i vini a damigiane, poi è diventata una delle zone più ricche d’Italia. Ma ho appreso tanto anche dai vecchi, perché ho avuto la fortuna di fare volontariato con l’ultima generazione di quelli che avevano avuto le vigne. Mi hanno insegnato un po’ tutto: a innestare, a fare le barbatelle delle piante selvatiche e i muretti a secco. E tutti i vini della tradizione”. Heydi infatti non fa solo uno dei migliori Cinque Terre in circolazione e uno Sciacchetrà strepitoso: il suo è un progetto totale, di respiro quasi antropologico, volto alla salvaguardia degli usi e dei vitigni dimenticati. Una specie di tradizione del nuovo, che trova nella cantinetta di Riomaggiore il proprio avveniristico conservatorio.


De Battè è stato il primo a staccarsi dalla cantina sociale per portare avanti il suo pensiero. Ma io cerco anzitutto di geolocalizzare: nel bicchiere devo sentire la salinità del mare, l’asprezza della roccia, la macchia mediterranea. È un territorio piccolo ma vario: solo nelle Cinque Terre lavoro su tre suoli, con climi e uvaggi che cambiano. E le vigne sul mare le vinifico diversamente da quelle alte”. Sono situate a Riomaggiore e Monterosso, per un totale di 5 ettari, più 3500 metri quadrati sull’isola di Palmaria e 2500 a Montaretto. Ma i numeri di alcune produzioni, per quanto imperdibili, restano davvero risicati: per esempio il Vin dei Vecci, ripassato sulle vinacce appassite, in versione bianca e nera; il Rinascita, pregiato sciacchetrà nero; quello in anfora, meno alcolico e più zuccherino del tradizionale affinato in botticelle di pero, e il Perseghin, disponibile al momento solo per autoconsumo. Viene ricavato dai fondi di botte completi di lieviti, addizionati di foglie di pesco per un effetto burro e salvia, commenta Andrea Grignaffini.


E non c’è solo la nostalgia: per quanto parte della vendemmia si svolga suggestivamente dal mare e l’uva dello sciacchetrà venga tuttora sofficemente pigiata con i piedi dal figlio di Heydi, Jacopo, come si è sempre fatto per evitare rotture di vinaccioli e mosti amari, Possa è anche innovazione. “È vero che la tecnologia ha contribuito a distruggere le Cinque Terre, a causa della meccanizzazione, ma noi cerchiamo di sfruttarla al meglio. Non si tratta solo della comunicazione, ma ad esempio di sensori che in tempo reale, sul cellulare, ci consentono di conoscere umidità del suolo, dell’aria e della foglia, velocità del vento e irradiazione, in modo da poter trattare meno possibile. Parlo di zolfo e pochissimo rame, ma anche propoli, battuto di alghe durante le bombe di calore o zeolite, che secca il terreno impedendo lo sviluppo di funghi. Una viticoltura sinergica e naturale”.


Heydi però ha sempre allo studio nuovi progetti. Innanzitutto un Cinque Terre secco in anfora, poi la sperimentazione di monovitigni da uve minori o dimenticate, perché qui un tempo non c’erano solo bosco e albarola. “Il vermentino poi non lo sento nostro: porta un frutto che non ci appartiene, laddove ci aspetteremmo minerali, fiori e agrumi. Di varietà in vigna ne conto 19, dal rossese bianco al moscato rosso e bianco, dalla galletta al canaiolo e al bonamico”. Nel mirino ci sono fratepelato e bruciapagliai, pollera e albarola rossa. Arrivate probabilmente via mare chissà quando e chissà come.

Indirizzo

Azienda Agricola Possa

Via Telemaco Signorini, 91, 19017 Riomaggiore

Tel. +39 348 316 2470

Mail info@possa.it

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