Tra lava, radici centenarie e nuovi orizzonti del vino, l’Etna si conferma crocevia di culture, terroir e sfide globali. Un’edizione da record, ma anche uno sguardo lucido sul futuro della denominazione.
Etna Days 2025: Il Respiro del Vulcano, Specchio di un Territorio in Ascesa
I numeri dell’ultima edizione
Giunti alla loro quarta edizione, gli Etna Days 2025 hanno posto il suo areale al centro della considerazione internazionale dal 18 al 20 settembre scorso. Oltre 90 cantine, 500 etichette in degustazione e più di 70 tra giornalisti, formatori, importatori e vari professionisti provenienti da Stati Uniti, Europa e Italia hanno fatto da cornice alla straordinaria peculiarità di un mosaico enologico unico: vigne centenarie, spesso a piede franco, terrazzamenti in pietra lavica, altitudini che superano i mille metri, microclimi in continua variazione. Il presidente Francesco Cambria ha sottolineato inoltre come questa attrazione magnetica che l’Etna esercita su chiunque venga lì, non deve essere solo una celebrazione del vino, ma un autentico osservatorio mondiale sulle dinamiche economiche e culturali mostrando una comunità che ha voglia di raccontarsi al contempo con orgoglio e umiltà.



Il terroir dell’Etna
Sulle pendici della montagna che per secoli è stata denominata Mons Gebel (una parola latina e l’altra araba con lo stesso significato di “monte” e che per i siciliani divenne Mungibeddu, italianizzato in Mongibello), dove la terra respira ancora l’eco del fuoco, nasce quindi uno dei territori vitivinicoli più straordinari e riconoscibili al mondo. Il suolo scuro e pulsante di energia. Le origini dei suoli etnei non si misurano in milioni di anni come in altre aree vinicole ma sono legate alle eruzioni. Qui bisogna immaginare vigne arrampicate su vari coni spenti, alcuni terrazzati, altri con pendenze oltre il 40%, cioè praticamente dei muri.


Non a caso, il motivo principale per il quale le principali civiltà antiche del Mediterraneo si sono insediate proprio nelle terre laviche, sta nella fertilità. I vulcani attivi in particolare rinnovano la dote di minerali dei suoli circostanti. Lo fanno semplicemente attraverso le ceneri che entrano nel terreno come una sorta di aerosol, rilasciando lentamente il loro potere nutritivo anche dove ci sono già coltivazioni.
Inoltre, laddove si è creta una colata lavica, una sciara, dopo un centinaio di anni la lava si disgrega. Lì, infatti, è possibile fare qualsiasi tipo di agricoltura.

Le vigne, spesso a piede franco immuni alla filossera con radici che affondano nei secoli, si distribuiscono tra le 133 “contrade” (in siciliano “singolo vigneto” che corrisponde al CRU francese e al MGA italiano, sebbene alcune mancano ancora della menzione o della definizione corretta dei confini), ognuna con il proprio carattere, la propria voce, il proprio microclima, al fine di raccontare la complessità e la ricchezza di questo paesaggio vulcanico. In molti si chiedono se sia davvero possibile riconoscere questi singoli vigneti durante un assaggio alla cieca. La verità è che è ancora troppo presto per dirlo con certezza. È vero che in alcune contrade storiche si possono già individuare con una certa facilità alcune caratteristiche distintive, ma siamo ancora lontani da una mappatura organolettica completa.

Il sistema di allevamento che più rappresenta l’Etna è senza dubbio l’alberello: introdotto in epoca greca e perfezionato nei secoli, esso rappresenta la risposta più efficace a un territorio complesso, caratterizzato da suoli vulcanici poveri di sostanza organica, da forti pendenze e da un microclima che alterna periodi di siccità a improvvise piogge.

Sul versante nord, il più popolato dai produttori, i profili collinari si fanno più morbidi e il clima, sebbene fresco, beneficia della protezione naturale offerta dalle catene dei Peloritani e dei Nebrodi. Qui domina il Nerello Mascalese, che interpreta con eleganza l’identità territoriale. Speziato e ricco di tannino, quando vinificato correttamente, è in grado di evolvere egregiamente nel tempo. A est, i vigneti si affacciano sul Mar Ionio: le piogge sono più frequenti, i pendii più ripidi e i terrazzamenti di pietra ospitano filari che si arrampicano fino a 900 metri di altitudine. È la terra prediletta del Carricante, uva bianca che sa esprimere tensione e verticalità. Il versante sud-est, punteggiato da antichi coni eruttivi ormai silenti, gode di esposizioni ideali e di un microclima che favorisce l’equilibrio naturale dei vini, dove alcol e acidità si rincorrono con armonia.


Qui coesistono Nerello Mascalese e Carricante, in una perfetta danza di maturità e freschezza. Infine, a sud-ovest, il paesaggio si fa più selvaggio e continentale. Lontano dal mare, il clima è più secco, le escursioni termiche più marcate e il sole batte intenso sui vigneti, spesso spinti oltre i 1.000 metri. In questa zona estrema, Carricante e Nerello Cappuccio danno spesso vita a vini vibranti, scolpiti dal vento e dalla luce.
Il presente e il futuro della DOC
Ad oggi l’Etna DOC, come ricorda il suo direttore Maurizio Lunetta, rivendica circa 1.347 ettari vitati (dato vendemmia 2024), distribuiti sui versanti del vulcano da Nord a Sud Ovest, con oltre 200 produttori associati al Consorzio di Tutela e circa 6 milioni di bottiglie. Già, un comprensorio sulla cresta dell’onda, dove il futuro appare tracciato, in quanto area fertile e produttiva, simbolo di resilienza e innovazione, dove l’uomo continua a dialogare con una montagna viva e mutevole, trasformando la sua energia in cultura del vino.

La denominazione, istituita nel 1968, è stata la prima in Sicilia e tra le prime in Italia a ottenere il riconoscimento ufficiale della qualità e della tipicità dei suoi vini e, da allora, la crescita è stata, in tutta onestà, continua. Le performance negli Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Svizzera, Canada sono lodevoli, così come la recente affermazione anche in Cina, Giappone e Corea del Sud non è affatto da trascurare. Si è assistito però a una frammentazione crescente: tanti piccoli produttori, spesso con appezzamenti minuscoli, decidono di vinificare e imbottigliare autonomamente. Il risultato? Una selva di etichette che affolla il mercato, ma senza garantire sempre una coerenza qualitativa, né la forza necessaria per imporsi nella distribuzione. È qui che nasce il cortocircuito: tutti parlano dell’Etna, ma alla fine lo si trova ancora troppo poco nei calici di tutto il mondo.

Sussistono quindi tanti cambiamenti e l’evoluzione sul vulcano attivo più alto d’Europa continua con la futura DOCG che si posizionerà ancora più in alto. La forza del vino e del territorio etneo risiede in ciò che è stato costruito negli ultimi anni: un percorso che va consolidato sempre di più. Tuttavia, è importante prestare attenzione, poiché ci si aspetta una crescita qualitativa maggiore, all’interno di una denominazione che fatica ancora a trovare una visione condivisa, ma che ha tutte le potenzialità per eccellere. Se questo avverrà, potrà diventare plausibile anche l’introduzione di limitazioni alla commercializzazione di uscite premature e inefficaci, come talvolta accade con alcuni vini bianchi. Del resto, anche i rossi pongono sfide altrettanto insidiose. Il Nerello Mascalese richiede, infatti, una gestione attenta fino all’ossessione: basta una vendemmia sbagliata, un’estrazione troppo spinta per trasformare la finezza in spigolosità; i tannini diventano ruvidi e l’uso disinvolto del legno può distruggere velocemente il carattere del frutto.

A questi Etna Days, molti assaggi hanno rivelato infatti risultati altalenanti, a conferma che, in questa zona, l’eccellenza non è mai scontata, ma frutto di rigore e mano esperta. Dunque, le fondamenta su cui costruire un gran bel futuro ci sono e sono comunque solide, anche perché una nuova ondata di produttori sta recuperando antichi terrazzamenti e restituendo centralità alla ricchezza ambientale del territorio. A completare il quadro, infine, l’enoturismo continua a espandersi, rendendo a tutti gli effetti l’Etna una meta sempre più ambita e viva.
