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Un’altra Alba: la sfida di Andrea Larossa

di:
Alessandra Meldolesi
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Un’altra Alba è possibile. Ci scommette Andrea Larossa, che nel suo ambizioso ristorante lavora alla creazione di un distretto gastronomico attorno al miracolo di Piazza Duomo.

La Storia

La Storia di Andrea Larossa


Che le ambizioni siano tante, lo si capisce sulla soglia: la porticina rossa chiusa, la targa, il campanello e il cameriere sussiegoso, pronto a scortare gli ospiti al piano inferiore, dove ha sede il ristorante. Sono i riti di un gastronomico puro, che trovano la loro conferma a tavola. Andrea Larossa vi serve un pasto scintillante, insolito in una zona ad alto tasso di conservatorismo. L’alternativa a Piazza Duomo, iperuranica grazie a una clientela internazionale, è infatti qualche piola consacrata alle specialità di Langa. Nessuno aveva mai tentato, finora, l’assalto allo stesso cielo di Enrico Crippa, praticando una cucina gastronomica eppure del tutto differente.

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Trentasei anni, nato a Verbania, Larossa si è avvicinato alla cucina durante il militare nei vigili del fuoco, decidendo di farne un mestiere per alberghi e trattorie, prima di trascorrere 8 fatidici mesi a Milano con Carlo Cracco, “un vero maestro”, e Matteo Baronetto, “un eclettico e un creativo, esemplare anche nella gestione”. A seguire subito Piemonte alla Locanda del pilone di Cannavacciuolo e alla Madernassa, con l’idea di fermarsi in zona per aprire qualcosa di proprio. Un sogno diventato realtà nel 2014 con la complicità della compagna Patrizia Cappellaro, che oggi dirige la sala e la cantina, amministrando 250 etichette che dal nucleo piemontese si stanno espandendo per il mondo.

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La cucina è del territorio, negli ingredienti e nelle ispirazioni, ma movimentata da cospicui retaggi degli anni 0, nel senso dell’ironia, della polisensorialità, dei giochi di testura e di specifici stilemi. C’è qualcosa di eccitante, ludico e leggermente stravagante in ogni piatto che arriva sopra tavole ben apparecchiate, fra pareti in mattoni vivi e pavimenti in resina che non indulgono al basso profilo. E i gusti sono sempre netti e decisi.

I Piatti

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I degustazione sono due: La mia tradizione ed Esperienza alla cieca, menu a sorpresa con tanti fuori carta, rispettivamente al prezzo di 65 e 100 euro. Sono battezzati da una mitragliata di appetizer, conformemente alla tradizione degli antipasti piemontesi: l’ovetto di fonduta di stravecchio friulano con crumble al cacao amaro e composta di pere; le chips di riso con paprica, curry, nero di seppia e al naturale; la rivisitazione dell’acciuga al verde con spugna di prezzemolo, crema di aglio di Resia e polvere di acciughe; il lollipop alla pizzaiola; il biscottone di frolla salata con farcia di coniglio grigio di Carmagnola e guanciale umbro; il piccolo panzerotto con Parmigiano e pomodorino confit in superficie. Nel cestino grissini alla farina integrale, treccia di semola, panino al burro francese e alle olive, con i semi del nocciolo liofilizzati.

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Fra gli antipasti risalta la lingua cotta per 30 ore a bassa temperatura, praticamente in pomata, poi glassata con fondo di vitello alla riduzione acidula di Arneis. È accompagnata da 3 salse: al cassis, alle castagne e alla melassa di cipolla, con il residuo solido carbonizzato, per l’acidità, la dolcezza e l’amaro. Una felice rilettura del classico bollito piemontese, dove l’incontro fra vino e piccoli frutti nelle intenzioni dello chef ricrea una sensazione di kir sotto sembianze di pasticceria.

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Gli agnolotti alle tre carni, conditi con un classico fondo di vitello al burro, sono serviti in stile Achatz sul cuscino, ripieno di aria di Alba come una salsa gassosa, in omaggio alla Ferrero: “Uso fave di cacao, tè di Cherasco, raspi di uva essiccata e nocciole per ricreare il profumo di legno bruciato che si spande ovunque quando avviene la tostatura”. Contrariamente al solito, la pasta 30 tuorli è spessa e callosa, le dimensioni extra large. “Forse perché ho genitori del sud, che mi hanno svezzato al croccante. La pasta dei tajarin la preparo addirittura con 50 tuorli”.

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Ma c’è anche l’agnolotto ripieno di brodo di guancia di vitello, congelato a forma di pallina, servito sul cucchiaio con una grattata di tartufo bianco e una scaglia di Parmigiano, food design che riesce nella missione impossibile di conciliare tubero e acqua, grazie allo schermo per nulla osmotico della pasta callosa e del formaggio grasso e proteico; mentre il liquido scroscia via in un’esplosione di carnosità. E ancora il risotto, con il carnaroli cotto all’acqua, lo stravecchio friulano e la liquirizia.

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Per secondo plana il piccione cotto in casseruola, con la scaloppa di foie gras in stile Rossini, il suo fondo e condimenti di sambuco e rosa canina, per l’acidità e il tannino sulla succulenza, senza guarnizione; oppure il rombo spadellato all’unilaterale nel burro di cacao, per la lucentezza e il gusto neutro, servito con gel di melone invernale, polvere di capperi liofilizzati e riso selvatico canadese.

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Diverte infine il nevoso, dessert che ironizza sulla coppa frutti di bosco e panna di certa ristorazione senza pretese, complessificandola tecnicamente e nelle testure. Quindi dal basso verso l’alto coulis di lamponi, frutti freschi e liofilizzati, cereali al cioccolato bianco, spuma di latte al lemon grass e neve di cioccolato bianco alla maltodestrina. Prima dell’altrettanto ludico bombolone alla Nutella, che sostituisce la piccola pasticceria.

 

Indirizzo

Ristorante Larossa

Via Don Giacomo Alberione 10/D - 12051 Alba (CN)

Tel. +39 0173060639

Mail: info@ristorantelarossa.it

Il sito web del ristorante

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