Le considerazioni di Robert Camuto sono inequivocabili: per mantenere il vino al centro della cultura e del mercato, l’industria deve evolversi, puntando su accessibilità, innovazione e sostenibilità.
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La notizia
L’esperto di Wine Spectator, Robert Camuto, riflette sui cambiamenti legati al mondo del vino, sul calo dei consumi e della produzione. La nuova generazione non è avvezza a bere come si faceva una volta, sarà a causa dell’inflazione, dell’avvento dei cocktail, oppure della diffusione del neo-proibizionismo.

Le condizioni climatiche stanno rendendo la vita difficile a chi si approccia alla viticoltura: gelate primaverili, piogge torrenziali, siccità, ondate di caldo mai viste prima e la proliferazione di malattie letali alle piante e conseguentemente ai vigneti.

“Per invertire la rotta bisognerebbe innanzitutto analizzare un punto alla volta. Cosa manca? La maggior parte delle volte l’accessibilità, determinate etichette, sia importanti che modeste, sono al di fuori della portata dei consumatori. Recentemente, durante un viaggio a NYC, ho scoperto che il costo medio di un calice in un ristorante di Manhattan varia dai 20 ai 25 dollari”.

E continua: “La soluzione? Ho una proposta, o meglio un consiglio. Ogni anno, i consorzi europei stanziano milioni in sussidi promozionali agricoli, e non sempre questi soldi vengono ben spesi. Quindi perché non investire qualcosa in più per offrire ai giovani bevitori prodotti di buona qualità a prezzi ragionevoli? Basterebbe sovvenzionare programmi dedicati ed eventi organizzati che riducano notevolmente le uscite”.

“Ribadisco che l’industria deve trovare modi alternativi per incoraggiare i viticoltori, soprattutto le realtà in erba: ci sono delle barriere economiche da abbattere che bloccano potenziali nuovi talenti. Inoltre, è ora che vengano scelti biotipi e cloni che si adattino alla situazione attuale, magari degli ibridi resistenti: le varietà selezionate dieci anni fa non si sono evolute e non stanno al passo con in tempi, essendo soggette a parassiti e muffe. I produttori sono costretti a trattare le viti con solfato di rame, che se accumulato fino ad alte concentrazioni può essere tossico, e a sprecare carburante, fino a ridurre la fertilità del suolo e inquinare la Terra. In ogni caso le risposte vanno cercate nel passato, ma anche nel futuro e nelle nuove tecnologie. La cosa positiva è che la sperimentazione è partita in Europa, ma servono altri investimenti, oltre che salari dignitosi per chi si impegna quotidianamente e lavora sodo”.