Il True Laurel di San Francisco è il bar più sostenibile del Nord America secondo i 50 Best: lo deve a un cocktail di buone pratiche che non riguardano solo le materie prime e il loro uso, ma anche la gestione virtuosa delle risorse umane. “Perché la sostenibilità siamo noi”.
Foto di copertina: Wes Rowe Photography
Il locale
L’alloro della baia di San Francisco è l’unica varietà dell’aromatica presente negli Stati Uniti occidentali ed è originario della zona. Lo chef David Barzelay e il bartender Nicolas Torres gli hanno dedicato sei anni fa il loro cocktail bar in città, dopo il successo del cocktail restaurant Lazy Bear. Ora arriva il premio dei 50 Best quale bar più sostenibile del Nord America, e non solo in termini ambientali.
La formula di True Laurel, raccontata proprio dal network internazionale, è un cocktail di buone pratiche innanzitutto umane. Qui non si tratta solo di usare gli ingredienti in modo etico, ma anche di impegnarsi per il futuro attraverso la comunità dei collaboratori, in modo da guadagnare longevità. “Perché parte della sostenibilità siamo noi”, dice Torres. “È il nostro benessere e come ce la caviamo, soddisfiamo i nostri ospiti e paghiamo il nostro staff”.
Il bartender del resto arriva da importanti esperienze nel campo del non-profit: “Hanno influenzato profondamente il bar. Osservando la natura circostante, ho appreso la storia del paese e come venivano usati i raccolti. Sono fermamente convinto che per essere davvero locali, occorra imparare cosa cresce in zona e come utilizzarlo”. Nello specifico, per fare un esempio, si tratta di valorizzare la frutta “difettosa” che non può essere venduta, coltivata senza acqua dai contadini della baia e della valle, in modo da ridurre l’impronta di carbonio.
All’impresa contribuiscono gli ingredienti spontanei come l’acetosella gialla, specie considerata invasiva, che porta acidità e aromi verdi in una variazione del Boulevardier chiamata The Sunny Side of the Street, dove il brandy è infusionato ai topinambur arrosto. “Stiamo sperimentando diversi tipi di acidificanti in questo momento, perché spedire agrumi da una parte all’altra del globo è folle e costosissimo. Nell’acetosella selvatica ho trovato un acidificante fantastico, che cresce ovunque e non mancherà mai”.
Il bar e la cucina lavorano in sinergia, ad esempio quando si tratta di resuscitare gli scarti. Succede con il ceviche di ananas, le cui bucce vengono lasciate fermentare grazie ai lieviti indigeni (tepache) in attesa della tequila e dell’erba della risaia, introdotta dai rifugiati vietnamiti. Soprattutto esiste un welfare aziendale, fatto di orari amichevoli, possibilità di crescita, viaggi e formazione a spese dell’azienda. I benefits sanitari sono garantiti a partire dalle 30 ore di lavoro settimanali, non 40 come di prassi in altre realtà simili.
Vengono offerti giorni di riposo a tutti durante le vacanze invernali, chiudendo direttamente il cocktail bar per delle pause, e il dress code -a parte il grembiule- praticamente non esiste, in modo che ognuno possa lavorare come si sente più a suo agio. Il personale è inoltre incoraggiato a partecipare alle visite alle distillerie con copertura spese da parte del cocktail bar, che ne sostiene e incoraggia i viaggi internazionali. Il cerchio è chiuso dalla beneficenza, visto che parte dei profitti dell’esercizio va a organizzazioni come Two Eighty Project e Sogorea Te’ Land Trust, che promuovono la biodiversità e le culture indigene.