Vini, Birre e Drink Week End Wine

Il vino che riposa nelle grotte sotto i Castelli di Romeo e Giulietta: 1920 di Bellaguardia, un Metodo Classico di Pinot Bianco in purezza

di:
Marco Colognese
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Copertina Bellaguardia 2

Bellaguardia 1920

L’azienda


Il Veneto è una regione che in quanto a territori vinicoli vocati presenta una varietà importante di opzioni. Tra le prime che ci potrebbero venire in mente probabilmente non c’è la Lessinia, sul cui lembo più estremo si trovano i vigneti di Bellaguardia. Già però un secolo fa, alla Fiera Agricola Campionaria ideata dal principe Alberto Giovanelli, le sorelle Strobele, proprietarie della costa del monte di Montecchio, esposero il loro vino di questo territorio: noto come “lo champagne dei castelli”, ricevette premi e riconoscimenti.


Bellaguardia è una cantina di dimensioni contenute, produce circa quarantamila bottiglie da dodici ettari di vigneti, metà dei quali sono esposti a sud su pendenze molto accentuate, allevati su banchine o gradoni con la pergola trentina per far sì che la parete fogliare sia ricettiva al massimo della luce solare e allo stesso tempo riesca a mantenere in leggera penombra l’uva che altrimenti rischierebbe di scottarsi. I restanti sei ettari sono allevati a guyot in leggera pendenza e con esposizione sud-ovest e sud-est. Il clima per la vite è perfetto, con un’alternanza di notti fresche e ventilate grazie alle correnti che scendono lungo la vallata dell’Agno dalle pendici delle piccole Dolomiti, a poche decine di chilometri da qui.



Va da sé”, ci racconta Isidoro Maccagnan che dell’azienda è socio e propulsore commerciale, “che solo una parte delle uve che produciamo viene utilizzata per i nostri metodi classici, perché il resto viene venduto”. Operativi in Bellaguardia sul fronte agricolo ed enologico sono Marco Caltran, figlio del fondatore Mario, e Alberto, figlio di Isidoro Maccagnan. Caltran racconta di come suo padre, impegnato in tutt’altro mestiere, avesse avuto l’idea di produrre del buon vino per il suo consumo casalingo: “Era molto ben abituato in tema di qualità, in questo modo nel garage di casa sono arrivate una piccola pressa e quattro vasche”.


Questo accadeva ormai più di trent’anni fa. Del resto, il terreno collinare sul quale si trovano i vigneti era un atollo marino innalzatosi fino a diventare un vulcano e, come ricorda Caltran, “se ci spostiamo solo di un paio di chilometri la terra cambia completamente”. C’è però una peculiarità, al di là dell’assoluta qualità dei suoi vini, che rende Bellaguardia un mondo a parte, perché le bottiglie riposano in un luogo del tutto unico, ai piedi del castello di Giulietta a Montecchio Maggiore, dal quale si gode di una stupenda vista a trecentosessanta gradi.



Si tratta delle Priare, affascinanti grotte che risalgono all’era degli antichi castelli fortificati di epoca romana: spazi amplissimi, caverne non naturali ma scavate per ricavare la pietra tenera (o pietra di Vicenza), pregiato materiale da costruzione utilizzato nel XVI secolo da Andrea Palladio per le sue magnifiche opere architettoniche.



È proprio qui, a una temperatura che si mantiene costantemente e naturalmente tra i 10 e i 12 C° e con una profondità che arriva fino a 25 metri sotto il livello del suolo, che vanno a maturazione i metodi classici di Bellaguardia. Sette etichette in tutto tra cuvée, produzioni in purezza e riserve (destinate a cambiar nome in una linea che si chiamerà ‘Archivio’). Vini che si ricavano da uve Durella, Pinot bianco e pochissimo Pinot nero. La Durella, in particolare, assume in questa zona caratteristiche piuttosto particolari, perché, come spiega Caltran, proviene da terreni calcarei limoso-argillosi e questo implica maggiori complessità e ampiezza; la stessa Durella, nel veronese origina da suolo basaltico che cede pochissimo all’uva.


Da Bellaguardia in vigna si cerca di intervenire il meno possibile, senza utilizzare concimazioni né diserbi, come racconta Caltran “in modo tale che la terra è obbligata a ‘mangiare’ i minerali presenti. Così, a mio giudizio, si ottiene un prodotto unico”. Allo stesso modo in cantina “siamo il meno interventisti possibile, raccogliamo e raffreddiamo subito, fermentiamo a bassa temperatura, un travaso e poi in primavera si fa la rifermentazione in bottiglia. Poi il vino va in grotta, a maturare a lungo.” Caltran dà una definizione molto precisa della filosofia di Bellaguardia.


A noi piace la massima pulizia in bocca, vogliamo sentire nel vino l’uva e il territorio da cui proviene e soprattutto vorremmo che chi lo beve desideri riempire un altro calice.” Parlando delle tre etichette che prevedono vitigni in purezza, Maccagnan sostiene che sia piuttosto complicato fare millesimati senza alcuna aggiunta di zuccheri: “Si tratta di una sfida non indifferente, ma noi andiamo avanti per la nostra strada.”


Il vino


Ultimo nato, dalla vendemmia 2016, in attesa di una nuova riserva che è ancora in cantiere, è il 1920, Pinot Bianco al 100% dedicato al centenario di quello che fu lo ‘champagne dei castelli’. Di fatto non è così usuale incontrare questo vitigno utilizzato puro in un metodo classico. Da vigne di quarant’anni, proviene dal vigneto Belvedere, 200 metri di altezza, sul versante sud della collina dei castelli. Le uve sono raccolte a mano, vengono sottoposte a una spremitura soffice con una resa del 50% del mosto, la fermentazione avviene in acciaio inox e la sosta su lieviti selezionati è di almeno 30 mesi.


Caratterizzato da un’estrema freschezza, presenta al naso intensi sentori di fiori bianchi. In bocca si apre con note di notevole eleganza, con mineralità e sapidità piuttosto spiccate che si accompagnano ad aromi di mela, pera, pesca e agrumi con un delicato finale ammandorlato. Un aperitivo (ma non solo) dalla grande personalità.

Indirizzo


Bellaguardia Società Agricola s.s

Via Ziggiotti 36075 Montecchio Maggiore (VI)

Tel: 348 0000460 - 347 6800188

Sito Web

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