Mondo Vino

La Capa, l’enoteca che dice no ai ricarichi folli: “Vendere un vino il doppio è assurdo”

di:
Silvia Morstabilini
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"Fin dall'inizio abbiamo stabilito un criterio vincente: prezzo base con il 25% di sovrappiù. Normalmente si compra una bottiglia a 100 euro e la si vende a 200. Noi la vendiamo a 125".

La notizia

Nel panorama sempre più affollato e diseguale della ristorazione madrilena, La Capa emerge come un’eccezione rara e necessaria. A pochi passi dalla fermata Marqués de Vadillo, nel quartiere popolare di Carabanchel, si nasconde un luogo che sembra uscito da un’altra epoca, e che invece incarna perfettamente il presente. Un progetto costruito su tre pilastri: rispetto, innovazione e prezzi onesti. Il locale, situato in via Condes de Barcelona 8, a prima vista potrebbe sembrare uno dei tanti bar storici di periferia, con pavimenti in graniglia, pareti rivestite in  legno anni Settanta e un arredamento che mescola sedie da bistrot parigino a tavoli recuperati con cura. Un’atmosfera sospesa nel tempo, che potrebbe essere perfetta per una scena di Scorsese ambientata in una New York d’altri tempi. Ma siamo a Madrid, in un quartiere che cambia, che resiste, e che ha ancora voglia di comunità.

Un quartiere in trasformazione e tre soci con una visione

“Carabanchel sta cambiando in fretta”, racconta Arturo Romera, uno dei tre soci fondatori insieme a Antonio Tapia e Martin Philippe See, a El Paìs. “Ci sono nuove famiglie, nuove abitudini, ma anche vecchi abitanti del quartiere che continuano a venire a cena da noi. Qualcuno si sente spiazzato, ma alla fine ci si parla, si costruiscono ponti”.

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Romera, Tapia e See hanno esperienze solide nella ristorazione e un’idea precisa: creare un luogo di accoglienza, senza barriere né sovrapprezzi inutili. In cucina c’è See, che si occupa anche del servizio; Tapia gestisce la sala, l’amministrazione e la logistica, mentre Romera, oltre a stare al banco o a consigliare i vini, condivide con See il concept dei piatti. Un team affiatato, dove ciascuno è al servizio del progetto e della clientela.

Contro la speculazione gastronomica

In un momento storico in cui i bar chiudono a ritmo impressionante — ben 2.165 solo lo scorso anno a Madrid, secondo i dati dell’INE — e dove quelli che aprono al loro posto spesso distruggono locali pieni di storia per far posto a spazi freddi e impersonali, La Capa ha scelto di andare in direzione ostinata e contraria. Non solo ha salvato l’anima del locale originario, ma l’ha anche rivestita di senso: qui il recupero è anche culturale. Questo spirito si riflette non solo nell’ambiente, ma in tutto ciò che viene servito e vissuto al suo interno. “Volevamo un luogo dove godere della sobremesa, quel tempo lento dopo il pasto che oggi sembra diventato un miraggio”, raccontano. Un tempo per parlare, assaggiare, condividere. Il tutto a prezzi che non spaventano.

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Cucina semplice, pensata per tutti

Il menù è breve, stagionale, in costante evoluzione. Ma ci sono tre piatti che restano sempre: l’insalata russa vegetariana, le uova fritte con kokotxas al pil-pil, e la cotoletta di pollo con peperoni confit. Tre piatti che, nella loro apparente semplicità, raccontano un pensiero preciso: il comfort food, se eseguito con precisione, è un atto politico. Democratico, inclusivo, accessibile. “Vogliamo piatti che piacciano a tutti, senza sacrificare la qualità. La cotoletta, per esempio, è come una pizza o un hamburger: la capiscono tutti, la vogliono tutti”, dice Romera. L’insalata russa, invece, è un piccolo manifesto gastronomico: vegetariana, cremosa, con una grattugiata di agrumi che cambia a seconda della stagione. “Usiamo solo ingredienti di produttori che stimiamo. I nostri agrumi, ad esempio, vengono da Todolí, un fornitore straordinario di Valencia.”

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Una carta dei vini rivoluzionaria

Ma forse il vero tratto distintivo di La Capa è la sua carta dei vini. Romera, Tapia e See sono appassionati di vino, e soprattutto convinti che non debba essere un lusso per pochi. “La regola è semplice: ad esempio, su un totale di 100, prendiamo il prezzo di costo e ci aggiungiamo 25 euro. Tutto qui”, dice Romera. Un gesto radicale, se si considera che il ricarico standard in molti locali può arrivare anche al triplo del prezzo di acquisto. Così, una bottiglia da 100 euro non viene venduta a 200 o più, ma a 125. E questo vale per tutto, dai vini più ricercati a quelli da bere in compagnia. Un Richard Leroy, mitico produttore della Loira, può così accompagnare una cotoletta in un quartiere operaio di Madrid, senza sensi di colpa. La selezione riflette un gusto personale e una filosofia chiara: accanto a etichette prestigiose ci sono anche piccoli produttori coraggiosi, come Bárbara Requejo a Gredos o Manuel Cantalapiedra a La Seca.

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Un modello possibile, da difendere

In un’epoca di rincari, format senz’anima e storytelling forzati, La Capa dimostra che un’altra ristorazione è possibile. Una ristorazione giusta, umana, profondamente radicata nel territorio ma con lo sguardo aperto sul mondo. Un luogo dove sedersi al tavolo è ancora un gesto autentico, e dove una buona bottiglia di vino non ha bisogno di una carta platino.

Wine Reporter

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