Mondo Vino

Umberto Cesari, nell’anno orribile per il settore vinicolo non perde fatturato ma incrementa: ecco la strategia di un successo

di:
Marco Colognese
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La Notizia

“La terra non ti renderà mai ricco ma ti continuerà a garantire una goccia ogni anno” è una delle sagge frasi di suo padre che Gianmaria Cesari ama citare e lo fa raccontando di un 2020 molto particolare: “Chiaro che da un punto di vista agronomico non siamo stati toccati dal Covid e le nostre piante nel tempo si sono dimostrate resilienti alla siccità e ai cambiamenti climatici. Dal lato commerciale, è ovvio noi lavoriamo principalmente con l’Ho.Re.Ca. e sappiamo tutti quello che è successo e sta succedendo. Sarà un brutto ricordo, verrà catalogato come un anno certamente non positivo, ma noi nel 2020 abbiamo prodotto alcune delle uve con le caratteristiche e i valori più soddisfacenti degli ultimi dieci anni. Perciò voglio pensare a quella del 2020 come a una grandissima vendemmia, non tanto in quantità quanto in qualità. Le prime fermentazioni e le prime svinature ci dicono che sarà un grande anno.” Non solo, perché questo imprenditore schietto e pragmatico, a capo di un’azienda nata cinquantasette anni fa grazie a Umberto Cesari - figlio del titolare di una celebre osteria bolognese - e alla sua passione, ha saputo gestire con la sua squadra un’azienda con 355 ettari vitati distribuiti su otto poderi e una produzione di circa tre milioni e mezzo di bottiglie in modo da mantenere le sue posizioni anche nel periodo della pandemia. “Doveva essere un anno di crescita, è stato un anno di contenimento”.


In ogni caso il piano degli investimenti della Umberto Cesari, approvato per il periodo 2021-2023, è superiore del 10% rispetto agli stanziamenti precedenti per attività di cantina, viticoltura biologica, ricerca e sostenibilità; entro l’anno in corso prenderanno vita ancora progetti di coltivazioni, nuovi vini e nuove iniziative esperienziali, oltre alla presentazione del progetto di rebranding e comunicazione Business to Consumer. Con prodotti trainanti come Liano e Sangiovese Riserva, rispetto al 2019 il fatturato è salito dello 0,5%, grazie anche a una crescita del 20% nella grande distribuzione che ha compensato il calo del mercato della ristorazione. Distribuiti nel mondo in 60 paesi, i vini dell’azienda vedono i loro migliori risultati sul mercato del Nord America. Marketing strategico e Vendite, infine, sono stati rispettivamente presidiati da manager di spicco come Marcella Logli e Carlo Cappuccio. Un’azienda brillante, insomma, anche sotto il profilo dell’accoglienza in cantina, dove grazie a una sommelier che è anche maestra enogastronoma come Daniela Iogna la degustazione non è mai banale perché viene accompagnata da una piccola ma accurata selezione di piatti non scontati e pensati ad hoc.


Tutto questo però per Gianmaria Cesari non è che un punto di partenza, perché lui ha un’idea precisa del suo territorio che se non rappresenta un cruccio di certo è una spina nel fianco: “Dobbiamo supplire a una mancanza di riconoscibilità regionale che esiste solida al di là dell’Appennino, così come in Veneto.” Quando gli si chiede che cosa manca, la risposta è netta: “Tantissimo, è mancata tanta capacità di comunicazione e credo sia questo il nostro problema. Perché la Romagna (si parlerà sempre di questa parte della regione, n.d.r.) ha dei terreni strepitosi, delle uve fantastiche e in alcuni casi già da anni i risultati sono straordinari. Però non li conosce nessuno, quindi per me la cosa più bella è quando mi capita di far assaggiare i nostri vini- ma anche di altre realtà della regione -a qualche appassionato e notare lo stupore assoluto negli occhi di chi degusta e non avrebbe mai pensato che in Romagna avrebbe avuto la possibilità di bere vini con questo profilo. Sono anche dell’idea che chi è causa del suo mal debba piangere se stesso, quindi per quanto possiamo andare in cerca di problemi esogeni i primi responsabili siamo noi produttori. Poi, è ovvio, la fortuna di questo territorio è venuta da prodotti di consumo quotidiano che sono diventati case history famose nel mondo e ben vengano.


Però il problema sta in una differenza comune ad altre zone vinicole importanti, si pensi al Prosecco, tra pianura e colline. Infatti: “Sulla viticoltura di collina bisognava fare molto meglio in termini di promozione, perché se pensiamo a lavoro e prodotto si è fatto molto. C’è quindi una netta distinzione e la via Emilia rappresenta lo spartiacque tra due filosofie molto diverse. La parte a nord, pianeggiante, con la sua tendenza chiamiamola estensiva e invece la parte a sud, collinare, con meno acqua, meno ceppi per ettaro e la possibilità di ottenere vini di grande longevità e struttura, con un grande corpo, di carattere ed eleganza estremi.” La strategia della Umberto Cesari, che ne è azienda ambasciatrice nel mondo, è legata indissolubilmente al Sangiovese, ma “è ovvio che non ci dimentichiamo dell’Albana, poi stiamo facendo micro-vinificazioni sul Trebbiano romagnolo e anche con il Pignoletto, altra uva destinata a crescere. Per noi il Sangiovese è importante, ma allo stesso tempo mio padre ha creduto molto nell’Albana, tanto da essere stato uno dei fautori della DOCG che è riuscito a ottenere insieme alla regione nel 1985. L’idea di fondo era quella di fare un vino da dessert che fosse però meno ridondante rispetto a tanti passiti. L’Albana ha una caratteristica organolettica che dà incredibili risultati nella versione passita, perché riesce a preservare note di colore non troppo intense ma soprattutto un gusto molto più piacevole. Ecco, i puristi del vino da dessert lo trovano troppo poco dolce, perché ne assaggiano un goccio, ma il consumatore lo apprezza perché al contrario è interessato a un vino da bere. E ci sono esempi di Albana di Romagna passito (qui producono la notevole etichetta Colle del Re, n.d.r.) che se la giocano con i più grandi vini da dessert del mondo, non solo d’Italia. Di recente abbiamo aperto una nostra bottiglia del 1996 e quelle sono le nostre grandi soddisfazioni, soprattutto quando si pensa che questa è una regione che di vini fatti a gennaio e consumati entro dicembre.


Assaggiando il Colle del Re con venticinque anni sulle spalle, si capisce che già così tanti anni fa la visione era quella.” Ma anche dal Tauleto arrivano risultati che inorgogliscono Cesari: “Abbiamo organizzato delle verticali e aperto Tauleto 1998. Insomma, quando apri una bottiglia così, aspetti un paio d’ore, la bevi e pensi che è un vino di Romagna, sono belle soddisfazioni.” Perché, continua Gianmaria, c’è anche un tema legato agli uomini e alle donne che partecipano alla vita dell’azienda: “Alla fine lavoriamo tanto, investiamo tanto, ci sono persone che stanno con noi da tanti anni, che sanno come andare a tagliare lasciando due gemme per tralcio. Potremmo avere le macchine che passano, sei filari tutti in una volta, tagliano e si riparte con l’anno nuovo. Ma noi abbiamo maestranze veramente specializzate, persone istruite che sanno che dobbiamo arrivare a luglio per fare la vendemmia verde. Una delle cose più difficili è stata spiegare ai nostri operai che dovevano tagliare due o tre grappoli per pianta ai primi di luglio per arrivare ad avere delle piante che potessero produrre un chilo di uva ciascuna. Questi vedevano seimila ceppi per ettaro e dicevano soddisfatti: accidenti, qui facciamo quattrocento quintali. In realtà per il Tauleto di quintali ne otteniamo e utilizziamo settanta. Detto questo, un Sangiovese così si vende in Toscana a duecento euro la bottiglia: il tema è che dobbiamo fare i conti con il fatto che ci troviamo in un territorio dove negli anni si è sedimentata la cultura dei grandi imbottigliatori e delle aziende con il vino sul mercato a tre euro.”


Non bisogna dimenticare il rapporto della Umberto Cesari con l’attenzione al dettaglio in generale: “Sul cibo, per esempio, abbiamo costruito rapporti di lavoro con un gruppo di acquisto importante che abbiamo conquistato convincendoli ad abbinare il vino a eccellenze del territorio che loro davano già per consolidate come il Prosciutto di Parma, il Parmigiano Reggiano e l’Aceto Balsamico Tradizionale. Adesso sono loro ad acquistare il vino e a chiederci di fare promozioni sui mercati con qualcosa dell’Emilia Romagna. Negli anni il cibo è stato un tema fondamentale, abbiamo fatto un sacco di degustazioni con chef stellati che venivano qui a preparare piatti e cene.” Gianmaria Cesari, come già sottolineato, è un uomo di grande pragmatismo che non si ferma mai: “L’Italia è ancora il mercato più difficile, ma continueremo a investire perché anche qui la nostra fan base si sta allargando e il nostro strumento principe (che tornerà a essere tale non appena passata l’emergenza) è portare le persone a vedere cosa facciamo. Vogliamo che tutto venga visto e toccato con mano, spiegando che tipo di filosofia c’è dietro a ogni vigneto. Se uno va in Sicilia gli sanno nominare qualche vino della Valpolicella o un Barolo, qualcosa della Romagna no. Il lavoro che dobbiamo fare è ancora enorme.” Certo, avendolo conosciuto di persona, si può dire che arriverà in fondo alla questione, un’etichetta dopo l’altra, si tratti del Costa di Rose, il primo rosé 100% da uve Sangiovese o di quel capolavoro di finezza che è il Resultum, Sangiovese Rubicone IGT in purezza.

Wine Reporter

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