Mondo Vino

I vini di Porto: manuale di viaggio

di:
Roberto Mostini
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Il Vino

I maltrattamenti al Porto


sono all’ordine del giorno. “Come lo vuole? Bianco o rosso”. Questa massima tuttora valida ai livelli minimi di ristorazione sopravvive anche nei bar e nelle pizzerie quando chiediamo in sostituzione di un amaro, di un caffè o di un qualunque digestivo un bicchiere di Porto. Lo vuole con ghiaccio? E avanti così verso il delirio. Il dramma è in corso, il Porto, bianco o rosso, sarà quasi sempre versato nel cosiddetto bicchiere da amaro, quello con quel fondo stretto e profondamente concavo, spesso, pesantissimo, e che può contenere qualche scarso centilitro di liquido. La bottiglia arriverà direttamente dal ripiano più alto, magari quello che sta giusto sopra la macchina del caffè, a temperatura tisana.

Porto

Il Porto non è un vino vero e proprio, in sintesi è un vino fortificato con alcool ma non per questo suo peccato originale è da maltrattare con vessazioni da temperature assortite e tracimazioni in ogni tipo di bicchiere improprio, dal tumbler alto al flute, servito a qualsiasi temperatura in funzione unicamente del “dove è stato trovato un posto per infilarci la bottiglia” frigorifero compreso.

Porto

Ma che cos'è Il vino di Porto? Si tratta di un vino liquoroso prodotto esclusivamente con le uve provenienti dalla zona della Valle del Douro, verso il confine spagnolo, a circa 100 chilometri a est delle città atlantiche di Porto e Vila Nova de Gaia. Le uve utilizzate per produrre un Porto rosso possono essere molte, le più frequenti, anche se poco conosciute da noi si chiamano: Tempranillo, Touriga Francesa, Touriga Nacional, Tinta Barrica ecc. Anche per il bianco le varietà sono moltissime: Malvasia fina, Folgasao, Gouveio ecc. Il ginepraio di tipi di uve sarebbe difficilmente districabile, ma non mancano i sacri testi dove documentarsi se interessati alle specifiche ampelografiche più raffinate che citeranno implacabilmente il nome di quasi ottanta varietà e sottovarietà.

Porto

Il Porto non è un vino classico, si tratta infatti di un prodotto ricavato da una fermentazione incompleta del mosto, interrotta mediante l’aggiunta di alcool ricavato dalla distillazione di vino. Questo intervento blocca lo svolgimento naturale della fermentazione, lasciandola incompleta, così che una parte degli zuccheri non si trasformi in alcool etilico ma resti all’interno del vino donando il tipico finale dolce ad un vino che sarà così anche rialzato di parecchio sul piano della gradazione, che si attesterà intorno ai 20 gradi.

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Il vino prodotto nella Valle del Douro, dopo l’aggiunta di alcool veniva stoccato in botti ed imbarcato in direzione Vila Nova de Gaia seguito dalla documentazione rilasciata dalla Casa do Douro che ne garantisce l’origine all’Entreposto di Vila Nova de Gaia, dove i vini saranno sottoposti all’approvazione dell’Instituto do Vinho do Porto e finalmente iniziare il periodo di invecchiamento, a livello del mare, pardon, dell’Oceano. Un vino così fortificato però non soffre questo tipo di clima e si presta ad ulteriori viaggi in nave. Il mercato storico verso l’Inghilterra ne motiva la metodologia di produzione adeguata a lunghi viaggi marittimi verso un paese che non produceva vino ma lo amava molto, al punto di regalargli un profondo accento inglese. I nomi in etichetta e le insegne sulle cantine di Vila Nova de Gaia testimoniano secoli di storie che parlano di lungimiranti commercianti inglesi che hanno fatto conoscere questo prodotto progressivamente al mondo intero.

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Classificazione. Comincerei a collocare al suo posto il Porto Branco, White Port. Tutto il glossario, si sarà capito ormai, avrà l’accento inglese, dal Dry allo Sweet.Il porto bianco non ha generalmente grandi pretese, nel senso che sia la versione secca, semi secca o dolce non hanno grande complessità e generalmente non sono millesimati. Già il secco è abbastanza dolce da non poter andare oltre un impiego di aperitivo da osteria con pezzo di formaggio al seguito, come giustamente si fa nelle cantine di Vila Nova de Gaia dove è uso comune offrire del queijo de serra (formaggio morbido e saporito da latte di pecore della Serra de Estela).

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In rosso si può cominciare dal Porto Ruby, il biglietto d’ingresso della tipologia, spesso sottovalutato forse perché poco costoso e quindi relegato alle circostanze meno formali. Si produce come descritto precedentemente e si affina in acciaio impedendogli il contatto con l’aria. Questo fa si che il vino rimanga molto fresco come approccio al naso e al palato, così come il colore rimarrà molto brillante, rosso rubino. Sprigionerà intensi aromi di frutti rossi e prugna confit ma con un significativo rilievo alcolico che darà in bocca sensazioni di calore e di pienezza gustativa.

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Vino che ha un suo senso e un suo scopo se bevuto ad una temperatura attorno ai 15 gradi. Tawny, Vintage o Late Bottled Vintage? Queste sono le tre tipologie adeguate alla media o alta ristorazione. Lo sono perché rappresentano le tre declinazioni che sul piano della qualità, della varietà, della reperibilità e di prezzo, danno la possibilità pressoché garantita di aver acquistato un prodotto buono se non eccellente. I problemi di applicazione però sono diversi, perché stiamo parlando di tre mondi diversi anche se si tratta sempre di Porto.

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Immaginiamo che il Porto Tawny già di per sé stesso può essere molte cose. Il Porto Tawny viene infatti normalmente messo ad invecchiare nei primi due o tre anni in grandi botti per poi essere trasferito in botti più piccole. È un vino che matura in presenza di ossigeno, quindi per ossidazione. Il vino avrà così già all’occhio un aspetto diverso dal Ruby, perché sarà abbastanza pulito come un Ruby ma decisamente più mattonato. Il Tawny non è millesimato, ma nelle sue versioni Old Tawny potrà essere dichiarato in etichetta il tempo trascorso in botte: più di 10, più di 20, più di 30, più di 40 anni. Questi sono vini molto adeguati alla ristorazione se proposti a fine pasto con adeguata piccola pasticceria perché gestibili anche con bottiglie aperte da qualche settimana.

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Il Late Bottled Vintage, LBV in etichetta, è così traducibile sinteticamente in italiano: imbottigliato oltre il termine di legge per essere identificato ancora come Vintage. Molte volte mi chiesi come mai queste grandi aziende decidessero di perdere il diritto di imbottigliare un Vintage, un millesimato, un grande millesimato, che per legge deve passare dalla botte alla bottiglia entro i due anni e mezzo e invece decidessero di lasciare il vino altri anni in botte per poi finalmente imbottigliarlo, ma così perdendo il diritto di Vintage e prendendo anche meno denaro rispetto alla tipologia superiore. Il motivo iniziale fu rappresentato da determinati momenti storici non particolarmente favorevoli alla domanda di Vintage, almeno non tali da giustificarne la messa in bottiglia in quantità massicce. Più recentemente la motivazione si è rivelata essere un modo per mettere in commercio un vino più “pulito” di un Vintage, potendo quindi rivendicare il millesimo in etichetta, ma filtrandolo dagli eccessi di impurità che potevano disturbare i consumatori meno appassionati al rito di un’apertura.

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Il Porto vintage. Con una media di tre annate su dieci le principali aziende che producono i diversi tipi di Porto decidono di attribuire la denominazione Vintage ad un vino derivato dalla singola vendemmia. Le annate devono essere eccezionali per far sì che l’integrità di questo vino fortificato sia salvaguardata a lungo e che lo stesso vino possa partire per un viaggio lunghissimo nel tempo. La decisione va presa nella primavera successiva al secondo anno trascorso dalla vendemmia che l’ha originato. Quindi, al massimo dopo due anni e mezzo di invecchiamento in botte, il vino passa direttamente alla fase di imbottigliamento. Il suo affinamento avviene in vetro, in ovvia assenza di ossigeno, quindi si affina per riduzione; questo invecchiamento può durare da qualche anno a qualche decina d’anni prima che venga messo in commercio.

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Gli appassionati raramente decidono di stappare un Vintage giovane, ancora virato tutto sul frutto esuberante e su una costante alcolica decisamente importante e avvertibile immediatamente dopo lo stappo. A quello stadio il vino sarà ancora di un color rubino scuro e intenso, il suo bouquet sarà già fonte di sentori deliziosi, ma per queste sensazioni primarie ci sono altri tipi di Porto da sacrificare. Un Vintage merita di essere atteso. Una trentina d’anni è una buona unità di misura, ma la vita di questi vini è pressoché infinita e potrebbe arrivare ben oltre a quella di qualsiasi essere umano. Essendo stata relativamente breve la sua permanenza in botte di legno, un Porto Vintage non perde la sua brillante colorazione neanche dopo decenni, e sarà proprio la freschezza aromatica conservata a sorprendere il neofita. La complessità sarà fantastica, la ricerca di descrittivi impegnerà a lungo la mente e il palato godrà del suo calore, del suo intenso sapore e del piacevolissimo e lunghissimo retrogusto che spazierà ancora dai frutti rossi, a quelli confit, alle spezie e chissà cos’altro ancora potremmo cercare di individuare.

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Un buon sistema per aprire una vecchia bottiglia di Vintage, Colheita o Crusted si pratica con tenaglie arroventate sotto le braci, pressione sul collo della bottiglia reclinata fino a che cambiasse colore e diventasse a sua volta incandescente. Choc termico nel ghiaccio tritato e botta secca al collo della bottiglia che così restituiva integro il pezzo di collo con tappo, ceralacca, piombo, sigilli e tutte quelle cose che avrebbero protratto il tempo necessario allo stappo della reliquia ben più a lungo in caso di utilizzo di un normale cavatappi. E senza il rischio di dover filtrare il vino per la caduta di pezzetti di sughero o altro. A quel punto la procedura termina con il passaggio in decanter a lume di candela e il vino è per essere servito. Il tutto nel giro di meno di cinque minuti, ma non provateci a casa.

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