Il Vino
Sherry e Andalusia
La laguna salmastra, bianca come dopo una nevicata fa da sottofondo monocromatico alle basse vigne che ricordano scarabocchi tracciati casualmente su un foglio bianco. Il sole splende, l’aria è secca, la cabriolet aperta, il braccio sinistro è appoggiato sul bordo della portiera. In radio ci sono i Simply Red, è Jericho, sempre quella. È dal ’85 che da queste parti in radio passa Jericho: il programmatore è sicuramente un romantico. Dicembre 25. Non la data, i gradi centigradi.
Le colline dolci e ampie si susseguono. Capelli sale e pepe ben spettinati dal vento extra dry mentre i filari allineati rimettono ordine nel paesaggio e nei pensieri che rimandano la mente ai motivi storici, così particolari e unici, così come è questa zona e così come sono i vini che esprime.
L’intreccio storico di cultura araba con quella spagnola è evidente quanto nell’architettura della regione, già a partire dal nome della zona che gli arabi chiamavano Scherich, rifacendosi al Xerò fenicio e dal Ceret romano, trasformata prima dagli spagnoli in Jerez e dagli inglesi in Sherry. Si cambia posizione, si guida a destra con gli inglesi, sempre con il braccio fuori. I ricorsi storici e le relative conseguenze hanno profondamente marcato la cultura, la conoscenza, la diffusione di un prodotto che come il Porto e il Madeira ha progressivamente preso un posto di rilievo nel panorama mondiale dei vini fortificati.
Si potrebbe cominciare situando geograficamente questa zona a sud est della Spagna e quindi d’Europa, zona fatta oggetto di invasioni da parte dei Romani, dei Vandali e dei Visigoti, prima del lungo periodo di occupazione dei Mori. Esercito che non andava troppo per il sottile. Poi il ritorno sotto la Corona di Spagna e nel mezzo qualche scorribanda degli eserciti guidati da Napoleone o Wellington, che di bel ricordo ci ha lasciato il filetto.
Nel periodo di dominazione musulmana, che teoricamente proibiva l’uso d’alcool, i contadini di Jerez poterono comunque contare sulla bonaria accondiscendenza a chiudere un occhio sulla produzione ed il consumo di vino, così come sulle tecniche di distillazione e, probabilmente gli stessi Mori si fecero affascinare fino al punto da condividere tacitamente qualche bicchiere di Jerez.
Gli Arabi furono cacciati via da Jerez nel XIII secolo da Alfonso X il Savio che stabilì il nuovo confine sud tra Spagna e l’Impero dei Mori proprio a Jerez, che così prese il nome simbolico di Jerez de la Frontera. Jerez non cedette mai più agli Arabi e nuovi scenari si aprirono sotto la protezione di Alfonso X, personaggio storico a cui è riconosciuto anche il merito di aver “inventato” e diffuso l’uso delle “tapas” dall’Andalusia al resto della Spagna: un bicchierino di Jerez e uno stuzzichino salato in accompagnamento.
Qui a Jerez gli inglesi arrivarono presto e già dal XV secolo iniziarono ad imbarcare Sherry con destinazione Plymouth. Seguendo inevitabilmente il destino di quasi tutte le coltivazioni di vite in Europa anche Palomino e Pedro Ximenez - le uve con cui si produceva e si produce lo Sherry - furono quasi annientate dalla fillossera. Il commercio però, pur se rallentato, non si fermò completamente grazie alle cospicue scorte presenti nelle cantine della città. Palomino e Pedro Ximenez, confidenzialmente definito “pedrito” Moscatel e Mollar, furono ripiantati sul grande triangolo che si chiude tra le rive dei fiumi Guadalquivir e Guadalete, fino alle dune dell’Atlantico. Quasi 100 milioni di metri quadrati tra i comuni di Jerez, Sanlucar de Barrameda e Puerto de Santa Maria rappresentano l’estensione totale dell’odierna zona di produzione.
Il sole e la pioggia. Difficile immaginare delle condizioni migliori per la coltivazione della vite e, difficile pensare che queste condizioni si possano manifestare nell’estremo lembo sud dell’Europa continentale, in una delle zone più meridionali d’Europa dove si coltiva la vite. La particolarità del terreno da una parte e le condizioni climatiche dall’altra. Qui da fine autunno e poi in inverno arriva la pioggia, così rara solo a duecento chilometri di distanza direzione est. Qui l’influenza atlantica si sente, anche in primavera, e quindi il terreno avrà di che drenare a lungo le acque piovane dell’inverno e della primavera. Poi arriverà la lunga estate calda a far sì che la maturazione delle uve si completi al meglio.
Il terreno, composto da carbonato di calcio, argilla e silicio è da immaginare come un’immensa spugna che durante la primavera si impregna; poi, in estate, sotto l’effetto del sole a picco e temperature che si aggirano sui 40 gradi si cristallizzerà. Il terreno diventa durissimo, il sole estivo sembra specchiarsi, non penetra nella crosta. Le radici avranno comunque di che nutrire la pianta, andandosi a cercare l’acqua conservata in profondità.
La vite germoglia e i primi chicchi d’uva saranno visibili in giugno. In luglio i contadini lavoreranno il terreno, ma facendo attenzione a non lasciare vistose crepe o fessure che potrebbero compromettere l’effetto schermo del terreno cristallizzato. Il resto sarà la conseguenza del lavoro di un anno: agosto e settembre, con le loro temperature altissime porteranno a maturazione il frutto che sarà raccolto al meglio. Allora sarà arrivato il momento dei vendemmiatori armati di coltello, che scenderanno tra i filari con cesti di vimini da riempire fino ai bordi prima di rientrare nell’Almijar, il cortile dell’azienda agricola, dove verranno depositate le uve in attesa della torchiatura.
Visione romantica non so quanto ancora riscontrabile, ma mi piace vederla così questa scena, girata su un set cinematografico sottoposto al sole cocente di settembre con l’aria così secca che non ti consente neppure di sudare. È come un phon quell’aria, così calda ma così secca da asciugarti. Le facce scure e scavate dei contadini sono lì a testimoniare che è sempre così, quelle facce sono lo specchio di un clima.
Il film prosegue con la costruzione di piccole piramidi di uva disposte su stuoie, sempre all’aperto, sempre sotto l’effetto del sole e dell’aria, e li rimarranno anche per due settimane, a seconda se il mucchio di uve sarà destinato alla produzione di un Jerez Finos oppure di un dolce Pedro Ximenéz. Di notte, mentre si fa festa, si copriranno le uve con un telo che le proteggerà dalla rugiada o da qualche capriccio del tempo.
La sceneggiatura del film in questa fase diventa piuttosto prevedibile. È infatti giunto il momento di pigiare l’uva, che si farà in maniera gentile, pressando il frutto con delicatezza, cercando di evitare che raspi e vinaccioli finiscano schiacciati, perché la concentrazione dei tannini è altissima in quei due elementi del grappolo mentre qui si vuole che il vino non sia assolutamente tannico.
Così facendo rimarrà però sufficiente sostanza residua che sarà ripassata alla seconda pigiatura con l’ausilio di acqua. Quanto ottenuto risulterà ovviamente diluito e il vino ricavato dalla seconda spremitura verrà impiegato per ottenere alcool di vino per distillazione. Stessa sorte toccherà anche al succo dei grappoli ricavato dalle piante più giovani. La produzione del vino vera e propria prosegue nelle cantine fresche ed aerate. Il vino nuovo, il mosto, verrà introdotto in tini di legno di rovere e dopo qualche ora i microrganismi presenti nell’aria e i lieviti dell’uva inizieranno a lavorare a braccetto per far partire la fermentazione. La prima fermentazione potrà durare qualche giorno, periodo nel quale quasi tutto lo zucchero naturale del frutto si trasformerà in alcol. La seconda fermentazione sarà molto più lenta e quando sarà terminata sarà ormai terminato anche l’anno solare, allora finalmente avremo il nuovo vino di Jerez.
Dall’Andalusia spagnola al Jura francese la mente riconosce un passaggio di lavorazione naturale che collega idealmente due zone così diverse e così lontane nel momento in cui si cita il termine “flor”, che gemella uno Sherry ad uno Chateau Chalon, gemelli diversi.
La flor si sviluppa spontaneamente sulla superficie del vino e si visualizza come una pellicola bianca formata da microrganismi viventi che prende questo nome dal modo di dire “il vino fiorisce”. Questo avviene a Jerez due volte l’anno: in occasione della fioritura primaverile e durante il periodo di vendemmia. La flor ha necessità di condizioni precise per potersi sviluppare nella sua opera di protezione e trasformazione del vino, la prima delle quali è rappresentata da una temperatura ambiente che dovrà aggirarsi sui 20 gradi. Altro aspetto fondamentale? che il vino non sia stato troppo protetto dall’ anidride solforosa e che il suo tenore alcolico si aggiri attorno ai 15 gradi. Per ottenere questa gradazione sostenuta sarà necessaria una prima aggiunta di brandy al vino base. Il rispetto di queste condizioni trasformerà i sentori e i sapori dello Sherry così come siamo abituati a riconoscerlo al primo sorso.