Prosegue il momento magico di Moreno Cedroni e Luca Abbadir: sul piatto una nuova maturità, fatta di espressività, sottrazione, approfondimento ossessivo del dettaglio organolettico.
Il ristorante
Moreno Cedroni è in gran forma: lo ha certificato l’Espresso, assegnandogli un meritato quinto cappello. A riprova del fatto che Senigallia è ormai un polo di eccellenza e una delle città dove a tutti i livelli si mangia meglio in Italia.La creatività è inarrestabile, da quando come ristoratore improvvisato, entrato nel mestiere nel 1984 senza avere il coraggio di indossare la giacca da chef (“non me la meritavo”), ha frequentato con Mauro Uliassi, Paolo Teverini, Agata e Romeo uno storico corso di 3 giorni tenuto da Ferran Adrià presso il Gambero Rosso nel lontano 1999, al prezzo di 5 milioni. Ne conserva gelosamente le dispense, sorta di Vangelo secondo Moreno, punteggiate di annotazioni: “da provare subito”, “mettere in linea”, “da studiare” … “Un giorno ho visto una montagna di patatine fritte e mi sono chiesto: chissà che ci farà? Invece era la cena del personale… Alla fine si assaggiava il menu di elBulli e mi si è aperto un mondo!”
Da allora ogni anno stargli dietro è una maratona: nel 2019 è arrivato il Tunnel, Lab diretto dal secondo Luca Abbadir con le ultime tecnologie e un chimico in presentia, nero perché “la ricerca si fa al buio”, in un’atmosfera sospesa fra fantascienza e vanitas fiamminga per via delle reliquie di pesce; nel 2021 l’orto marittimo, con i cassoni di aromatiche sul lungomare prospiciente e un tronco su cui sedersi, baciati dall’illuminazione d’autore di Davide Groppi. Segno di un ristorante che abbraccia sempre più intimamente la propria città, senza rinunciare a viaggiare.
Il lockdown in tutto questo ha accelerato la crescita personale già in corso. “Il cambiamento è la maturità: dopo 37 anni me la sento addosso. Sono sempre stato considerato un giocoliere, l’eterno ragazzino con la bandana, ma da tempo dentro di me avvertivo il desiderio di crescere. Il cliente giustamente ha voglia di giocare, ma dietro il susci a colori e i panini gourmet, che potevano sembrare mere provocazioni, ci sono sempre stati uno studio e un desiderio di leggerezza".
"Negli ultimi mesi di chiusura forzata, in particolare, abbiamo fatto molta ricerca e avviato nuovi progetti, che danno energia. Ne risultano piatti più completi, appaganti, accattivanti nella presentazione. Anche se gli abbinamenti restano i miei, più su una scala di grigi che in bianco e nero. Con il piacere ogni tanto di voltarsi indietro, per riconsiderare il cammino compiuto. Perché anche nella moda chi dispone di archivi, magari ogni tanto va a guardarli per le nuove collezioni”.
Il Lab realizzato con Luca Abbadir quest’anno si è concentrato sulla maturazione del pesce, prosecuzione ideale del lavoro avviato nel lontano 2000 sui salumi ittici, che però non venivano ancora portati a tavola, come hanno iniziato a fare gli spagnoli. “Ed è una benzina che ha portato il motore a girare ancora di più. Fra settembre e ottobre pubblicheremo tutti i dati scientifici sulle varie trasformazioni della materia, che credo saranno utili a tutti. I salumi di Anikò erano già una forma di maturazione; la novità è che ora trattiamo il pesce intero con una serie di tecnologie che in realtà ci sono sempre state, ma erano riservate alla carne. Come queste celle che insufflano e risucchiano aria, per far sudare e asciugare. Vogliamo che il pesce perda la sua acqua, non la sua anima, come nei salumi di una volta, che erano sempre salatissimi".
"Quello che si mantiene più di tutti, ovviamente, è lo stoccafisso, che l’ha persa tutta; ma è sempre successo che gli importatori tenessero il pesce in cella per una settimana o che il pescatore frollasse il grande esemplare. Certo è una rivoluzione contro il pregiudizio, come quella dell’abbattimento del crudo o dei tavoli privi di tovaglie. Il fatto che la portino avanti altri colleghi, dalla Spagna all’Australia e al Giappone, rappresenta sicuramente un plus dal punto di vista del cliente”.
“Io ho iniziato a febbraio del 2020 con il rombo, ma avevo solo una piccola cella, adesso posso trattare anche pesci di media e grande pezzatura. Lo stupore è che mentre la polpa diventa soda e compatta, profumi e gusti si concentrino e si esaltino. Ci sono i pesci interi, protetti dalla pelle, i filoni spellati, che prima devono essere salati, e gli insaccati, come la salsiccia di orata o la mortadella di spada e seppia ai pistacchi”.
Il risultato sono tre degustazioni: Luca e Moreno, con le ultime riflessioni (175 euro); Ricordi d’infanzia, panoramica di piatti usciti di carta per le nuove ricerche e talvolta rivisti (155 euro); Mariella, che si concentra sul crudo o poco cotto, comprese le maturazioni (155 euro).
I piatti
Eccola, allora, la degustazione di pesce maturato, tagliato e impiattato al guéridon dallo chef in persona. Disegna un tertium fra il classico antipasto all’italiana, memore delle sperimentazioni pregresse dello chef, e un’evoluzione del sashimi; soprattutto è cucina concettuale in senso stretto, nel rivelare all’ospite i meccanismi stessi dell’elaborazione.Protagonista è il tempo, cadenzato da un orologio dalla cassa trasparente: 10 giorni per il tonno bianco con polvere di cavolo viola, appena addensato; 15 per la cernia o l’ombrina con l’olio al limone, più concentrata; 20 per la pancia di ricciola con finocchietto e rosmarino, fondente e avvolgente come un grande guanciale; 25 per la salsiccia di orata con paprica e origano. Ma adesso la lancetta si sta spostando più in là.
“Mia mamma lasciava in cantina per due mesi le salsicce, che poi mangiavo a morsi. Ed è lì che voglio arrivare, quando le analisi me lo consentiranno. Per il momento siamo passati a intervalli di 25, 30, 35 e 40 giorni; poi vedremo”.
L’ostrica cotta, ricordo del Vietnam, era già strepitosa l’anno scorso. Oggi a complessificarla è intervenuta una salsa al burro di cavolo viola, che porta grassezza e acidità ulteriore nella girandola dei contrasti fra piccante, sapidità e altra freschezza, grazie al succo di lime, alla mela e al peperoncino habanero.
“È sempre difficile migliorare qualcosa di buono, ma il piatto ne ha tratto un sicuro giovamento”.
Elegantissima poi la royale di riccio, ispirata dalla tradizione siciliana di consumare gli echinodermi con il pane, imbastardita da un ricordo di grigliata adriatica con pangrattato e prezzemolo. Dove la preparazione classica, con panna e uova, ha richiesto l’intensità di una conserva iberica al posto del prodotto fresco; più il pompelmo sgranato a rinfrescare, l’alga uva di mare croccante e l’olio al prezzemolo. Piatto questo rappresentativo dell’ultimo stile dello chef, pulito, maturo, in sottrazione di effetti speciali.
Fra i ripescaggi dei Ricordi d’Infanzia c’è la cotoletta di tonno, nata nel 2001 al Clandestino come farcia di un panino, trasferita alla Madonnina fino al 2015 e poi messa in panchina. La tecnica è invariata: il filetto viene impanato due volte e congelato, per armonizzare i profumi e raggiungere un punto di cottura ideale, a 30 °C, al sicuro dall’anisakis; cambiano invece le guarnizioni, con le verdure in agrodolce, il cavolfiore marinato nel miso, il kefir per l’acidità.
L’ultimo Cedroni è anche studio accanito del dettaglio in un habitat minimalista che lo esalta. Vedi il polpo cotto a 97 °C, non uno di più, non uno di meno. “Abbiamo scoperto che sono le bolle, che scattano a 98 °C, a rovinare i tentacoli e la testura”. Completano il piatto la maionese di collagene di polpo e la salsa di avocado.
Stupisce quindi per i contrasti schietti la pennetta Gentile mantecata al burro di ricci con polvere di capesante essiccate al barbecue, erbe marittime al Green Egg, seppia grigliata e una stella di ricci di mare liofilizzati da sbriciolare in finitura, che ha il gusto fotografico del fresco.
Dove le foglie (ortica, borragine, spinacini, acetosella) bruciate sui carboni sono intensissime nella loro spinta amara; la conchiglia porta un umami profondo e sfaccettato che la dolcezza grassa del condimento ai ricci smussa a dovere. Anche qui regna il dettaglio. “Usando la pinza, dalla prima all’ultima penna la temperatura scende di 10 °C e la testura cambia, insieme alla masticazione. Chiude la scarpetta neutra da esercitare con una maryse”.
Il pesce maturato può essere anche cotto: vedi la cernia arrostita sui carboni dopo 25 giorni, succosa e profumata, con salsa di zucca al masala, prezzemolo bruciato, olio alla cipollina, kalanchoe grassa e citrina, zenzero imbevuto in una geniale salsa espressa a base di rum e soia, improvvisata in occasione di un evento da Velier.
Poi il banco di prova di ogni chef: il piccione. “Lo maturiamo nel riso koji, che intenerisce le carni e impedisce che perdano sangue al momento del taglio. Personalmente amo un piccione leggero, senza fondi; lo servo con una salsa di funghi fermentati e nocciole, che evoca il fegato, topinambur fermentato, melanzana ai carboni e centrifugato di alloro”.
Prima il filetto crudo con l’acciuga, poi il petto in carcassa e sulla griglia, infine la coscetta ripiena di pancetta grigliata, spennellata di soia e miele. Per finire con il tortellino di cuore, ali e lumache di mare in porchetta, ai profumi di rosmarino, finocchietto e aglio, con salsa di champignon alla Chartreuse e sopra un burro nocciola in bolle grazie alla pompa dell’acquario.
Dopo l’ormai classico cubo di cioccolato bianco, gonfiato sottovuoto ed evanescente in bocca, arriva l’omaggio a Kenny Random, street artist di Padova.
Il suo graffito Chi ama non dorme ha fornito la sagoma per una ganache di banana intera fermentata nell’Ocoo e cioccolato fondente, più polvere di lampone e masala.
La chiusura è sul confine fra dolce e salato con un dessert vegetale, composto di centrifugato di finocchio super ridotto, gelato di carciofo, salsa di topinambur e riso fermentato. Effetto Cynar a fine pasto.
Foto: Crediti Lido Vannucchi
Indirizzo
Ristorante La Madonnina del PescatoreLungomare Italia n 11 – 60019 Senigallia (AN)
Tel. +39 071 698267
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