Dietro uno dei progetti più interessanti della ristorazione milanese c’è una squadra vera, una cucina pensata e un’idea di osteria che guarda avanti. Noi ci siamo seduti a tavola. Ecco com’è andata.
Foto: Savour Duo
Ogni nuova apertura, a Milano, è miele: le api arrivano in massa, con smartphone alla mano. Si passa, si fotografa, si posta. E spesso ci si ferma lì. L’entusiasmo collettivo è contagioso, ma talvolta un po’ distratto: si riconosce un locale da un’insegna, da un’inquadratura ricorrente, da un piatto già visto mille volte. Ma quando chiedi: “Com’è?”, le risposte si fanno vaghe. Bello, carino, top. Sì, ma cosa si mangia? Come si mangia? E soprattutto: cosa resta dopo?
Nel caso di Nino – Osteria con cucina, valeva la pena sedersi, ordinare, ascoltare. Perché Nino è un posto che ha un senso più profondo del trend. È un luogo costruito da chi la ristorazione la vive davvero in questa città, da chi ha scelto di fare un passo avanti nel proprio percorso. Un’osteria moderna, senza nostalgia né forzature, dove si torna volentieri anche il giorno dopo.

Il progetto è firmato da un quartetto di professionisti piuttosto navigati: Enricomaria Porta, l’oste di Osteria alla Concorrenza; Josef Khattabi, imprenditore di lungo corso nel mondo della ristorazione milanese; Diego Rossi, il non-chef di Trippa che non ha di certo bisogno di presentazioni; e Marco Marini, che dall’Osteria alla Concorrenza è passato al ruolo da protagonista in cucina. L’obiettivo è chiaro: far parlare la materia prima, dare spazio ai piatti, non farsi incastrare dalle mode e soprattutto dare voce alle eccellenze dell’Italia tutta.

Marini – che preferisce definirsi “cuciniere” più che chef – ha un curriculum fatto di concretezza e visione: dagli studi in Scienze e Tecnologie Alimentari alle cucine di Giovanni Ciresa all’Hotel Bauer, passando per D’O, Arzak, Nagaya, fino all’apertura de Il Camparino. La sua cucina è personale, italiana in senso culturale, aperta che abbraccia le nostre coste del Mediterraneo fino alle Alpi, legata a fornitori e stagioni. Da Nino si mangia come in una grande casa dei giorni nostri con uno chef che sa ascoltare quello che piace alla gente e sa raccontare nuove storie.
Non chiamatelo chef: la cucina di Marco Marini, il cuciniere di Nino

Per Marco Marini, Nino è un punto di partenza, non di arrivo. “Da anni desideravo un posto dove poter essere libero di dire la mia sull’accoglienza, partendo dalla cucina ma seguendo da vicino anche gli ospiti. Beh, Nino è questo: uno spazio che mi dà la possibilità di parlare attraverso ciò che preparo e scelgo di portare in tavola – o sul bancone.” La sua cucina ha un cuore artigiano e una voce semplice, che si esprime in relazione al prodotto, alla stagione e alla persona che ha davanti. “Il cibo di Nino? Intanto magna e tasi”, sorride. “Racconta i produttori, le stagioni vere (non quelle da calendario), ed è il mio modo di prendere sotto braccio chi entra, farlo accomodare e stare bene.”
L’ispirazione, racconta, arriva dalla gente: ascolta molto, osserva chi mette passione nel proprio lavoro e da lì nasce il suo pensiero di cucina.

Il legame con la memoria si fa materia nel suo riso al tastasal, piatto simbolo delle domeniche della sua adolescenza: brodo e pasta di salame che sfrigola in padella mentre ci si svegliava tardi, dopo una notte lunga. Se c’è un piatto che incarna il suo approccio, è la torta di piccione: una brisée farcita con le carni sfilacciate del volatile, le sue frattaglie e verdure di stagione. “Rispecchia quello in cui credo: non buttare nulla, seguire la stagionalità e applicare tecnica dove serve, senza complicazioni inutili.”
Che cosa si mangia da Nino – Osteria con cucina (ma soprattutto come)

Dire cosa ho mangiato è piuttosto inutile: il menu qui cambia più veloce di una classica giornata lavorativa a Milano. Ho notato che alcuni piatti che ho mangiato non sono più in menu e, al contempo, ho anche notato che alcuni piatti che vedo condivisi sui social non erano presenti in carta al momento del mio pranzo. Ma la vera magia è questa. Mi auguro però che sul lungo termine emergano quei signature dish che ti fanno dire: “Andiamo da Nino? Sì, mi è venuta un’irrefrenabile voglia di…”. La torta di piccione, piatto tanto caro a Marini, è una vera delizia che può offrire ancora molto con qualche piccolissimo accorgimento. Ottime le verdure tra cui il Pomodoro “Rosalba” con sarda di lago, sesamo e maggiorana; e i peperoni sott’olio, capperi e origano, semplici che più semplici non si può, ma decisamente ottimi.

Interessante la Testa ripiena di Martini, una testa di vitello ripiena di quinto quarto (animelle, polmoni, lingua e fegato) che mi è stata servita in stile “affettato”. Il prodotto c’è, è innegabile, forse l’avrei amata di più con uno spessore leggermente più pronunciato e una grattata di scorza di limone o lime, ma le ho comunque voluto molto bene. Interessante, quando deliziosa, la scelta di mettere i lupini negli spaghetti e non le classiche, quasi sempre gommosette, vongole veraci. Buoni, marini (che sembra un gioco di parole, ma non lo è), sapidi e instancabili. Perfette le pappardelle al ragù di capriolo, ruvide e ben condite. La vera protagonista del mio pranzo è senza alcun dubbio la trippa fredda, pesto alle erbe e nocciole salate. Un piatto eccezionale che riposiziona la trippa dandole una versione fresca, estiva e, perché no, anche un po’ fighetta (ma in senso buono).

La carta propone sempre una decina di piatti perfetti per la condivisione, da ordinare anche se si sta facendo “soltanto”un aperitivo al volo e si vuole mettere qualcosa di buono sotto ai denti. Poi ci sono tre primi, due o tre secondi che includono anche una proposta interamente vegetale e i dolci al taglio, torte fatte da Marini che possono essere degustate alla fine del percorso che ognuno ha scelto. Ma anche prima, qui non ci sono regole. Leggenda narra che ogni sera arrivi un risotto a chiamata a discrezione dello chef e che i commensali seduti al tavolo in quel momento, possano decidere se degustarlo o meno.

Nino – Osteria con cucina non vuole essere un ristorante classico dove ci si siede per mangiare un pasto composto da antipasto, primo, secondo e dolce. Rompe un po’ le regole in questo senso: è un luogo in cui ognuno può trovare la sua dimensione senza che il tempo sia scandito da portate o drink. A proposito di drink, ci sono alcune proposte alla spina tra cui il Lavorato Secco ispirato all’icona de Il Camparino. La carta vini è immensa e di amabile livello. Belli anche gli spazi e l’atmosfera, soffitti alti, palette colori che va dal verde scuro ai beige passando per il rosso sangue di piccione della boiserie che è una passerella da sfilata a cui è stata data una seconda vita. Lo zampino è di uno degli studi di architettura più in hype del momento nella meneghina per quanto riguarda il settore della ristorazione, Oooh Studio. Bravi anche loro. Bravi tutti.
Contatti e info
Nino – Osteria con cucina
Dal lunedì al venerdì solo la sera (18:30–24:00) e il sabato anche a pranzo (12:30–24:00), con ultima comanda entro le 22:45