Secondo UKHospitality, un terzo dei ristoratori britannici ha avuto a che fare con clienti che, in un modo o nell’altro, hanno deciso di non pagare.
La notizia
C’è chi al ristorante sceglie con cura il vino, assapora ogni boccone e lascia il tavolo con un sorriso di gratitudine. E poi ci sono quelli che, invece, trasformano la cena in una trappola per il ristoratore: piatti ordinati a raffica, calici costosi, e infine il colpo di scena — un’accusa inventata, un conto lasciato lì, e un’uscita di scena da veri attori dell’inganno. Il fenomeno ha un nome, suona quasi ironico nella sua semplicità: dine and dash, mangia e scappa. E dietro questa formula leggera si nasconde una ferita che colpisce in pieno un settore già provato da pandemia, rincari e carenza di personale. Secondo UKHospitality, un terzo dei ristoratori britannici ha avuto a che fare con clienti che, in un modo o nell’altro, hanno deciso di non pagare. C’è chi abbandona il tavolo senza dire una parola, chi lascia una carta falsa, chi inscena reclami teatrali infilando deliberatamente un corpo estraneo nel piatto. “È furto, puro e semplice”, dice Kate Nicholls, presidente dell’associazione interpellata da BBC, “esattamente come portarsi via l’incasso dalla cassa”.

Amanda Brighton, alla guida del Joe’s Bar and Grill di Oxford, ha imparato a sue spese quanto può essere elaborata questa messinscena. “Un gruppo è arrivato, ha ordinato subito piatti costosi e drink pregiati: il conto era di 230 sterline”, racconta qui al network britannico. “Alla fine, ecco la ‘scoperta’: un frammento di vetro nel cibo. Ovviamente lo mettono a fine pasto, così possono chiedere di non pagare nulla”. Quando Amanda li ha affrontati, il confronto si è trasformato in un’aggressione verbale: “Una ragazza era a pochi centimetri dal mio viso, urlando e insultandomi”. C’è chi, esasperato, pubblica foto sui social per mettere in guardia i colleghi. Ma anche questo, a volte, non basta. Per Marian Pandos, manager del ristorante Posillipo a Canterbury, la truffa è arrivata con tanto di violenza fisica. “Un cliente ha mangiato fuori, ha bevuto un paio di cocktail e poi è scappato. Quando l’ho inseguito, è diventato aggressivo e mi ha colpito. Ho riportato una piccola ferita e abbiamo dovuto chiamare la polizia”. Il collega Amadeo Grosso, che gestisce la sede di Faversham dal 2010, conferma: “I casi aumentano ogni anno. Abbiamo installato telecamere ad alta definizione per tutelarci”.

Ci sono anche versioni più sottili del dine and dash, come quella capitata a Sanjay Jha, proprietario del Thyme and Chillies a Birdham, West Sussex. “Era chiaro che fosse premeditato. Il ristorante era pieno e tutti sembravano felici, tranne un gruppo che improvvisamente ha cominciato a lamentarsi di tutto, senza motivo. Alla fine hanno pagato solo 60 sterline su un conto di 150”. Per lui, in dieci anni di gestione, è stato il quinto o sesto episodio. “Colpisce anche mentalmente chi deve affrontare queste persone, dal cameriere al manager”. Neil Kimber, ex ristoratore a Selsey, parla di uno stress capace di lasciare il segno: “Abbiamo avuto casi in cui lo staff era fisicamente male dopo un dine and dash. Una volta il conto non pagato superava le 400 sterline, e il cameriere si chiedeva continuamente perché non fosse riuscito a impedirlo”. Alcuni locali hanno reagito con regole severe: carte di credito prese in anticipo, rifiuto di prenotazioni troppo numerose senza garanzie, niente tavoli a grandi gruppi senza preavviso. Perché, come dice Kimber, “con i costi alle stelle e le difficoltà post-Covid, il problema rischia di diventare esplosivo”.

Sul piano giuridico, Richard Atkinson, presidente della Law Society, spiega che il reato si configura quando qualcuno sa di dover pagare, ma si allontana con l’intenzione di non farlo. Pena massima: due anni di carcere. Se poi si manipola il cibo per fingere contaminazioni, la faccenda diventa frode, con un ulteriore aggravamento. Il National Police Chiefs’ Council invita i ristoratori a denunciare sempre, anche nei casi di importo ridotto: “Sono reati spesso opportunistici, ma ogni segnalazione può aiutare a fermare i responsabili”. Dietro ogni piatto non pagato non c’è solo un danno economico, ma anche un colpo all’orgoglio e alla fiducia. Chi lavora in sala sa che ogni servizio è un atto di ospitalità, un patto implicito tra chi offre e chi riceve. Rompere quel patto con una fuga furtiva è, per chi lo subisce, un affronto che lascia il segno. Il dine and dash, insomma, non è soltanto una scappatella col portafoglio altrui: è un piccolo terremoto che incrina le fondamenta della relazione più antica della ristorazione — quella tra ospite e anfitrione. E mentre i ristoratori corrono ai ripari tra telecamere, regole ferree e diffidenze crescenti, resta la speranza che un giorno l’unica corsa che vedremo a fine pasto sia quella di un cameriere che rincorre un cliente… solo per restituirgli il cappotto dimenticato.