Ciriola come antipasto gourmet, tagliolini in versione dolce, carciofo nel risotto abbinato alla liquirizia: da Verve i cult della cucina tipica sono un volàno per la sperimentazione. A impiattarli, due anime gemelle votate al fine dining con una storia tutta da scoprire.
Verve al Dom Hotel di Roma
Qualche anno fa nessuno l'avrebbe mai detto -figuriamoci scritto- ma adesso si può: la zona compresa fra l'antico ghetto ebraico e Campo de' Fiori è ormai un incubatore di locali dall'ossatura robusta, pronti a smontare l'eterno cliché di una Roma turistica sempre uguale a sé stessa.L'abbiamo visto con Campocori, il ristorante dell'Hotel Chapter affidato al bravo (e giovanissimo) Alessandro Pietropaoli, e anche con Bottega 13, dove il gourmand di turno può saziarsi e divertirsi senza timore di rimpiangere la storica trattoria dietro l'angolo con carciofi alla giudia sotto i 6 euro (in barba al caro prezzi). Alla whish list dei posti da provare in questo nuovo crogiuolo culinario va senz'altro aggiunto Verve, il format tentacolare che da poco più di 4 anni ha messo radici nel Dom Hotel di via Giulia.
Dietro il progetto, due anime gemelle votate al fine dining come Adriano Magnoli e Antonella Mascolo, rispettivamente chef e pastry chef dell'insegna. "Ma in principio era l'opposto", confida lei, che a vederla sembra più una giovane trendsetter dal look modaiolo, tutto il contrario dell'addetta ai dessert con grembiule, frusta e sac à poche scolpita nell'immaginario collettivo.
La storia
"Io ho una formazione da cuoca, Adriano da pasticcere", prosegue Antonella, lo sguardo illuminato da una sana passione per quel mestiere che spesso ti toglie il sonno, ma nel contatto col pubblico ti ripaga di tutti gli sforzi compiuti per impiattare una nuova idea di cucina. "A differenza di altre coetanee, non mi sono mai iscritta a una scuola alberghiera: ho scoperto l'interesse per la gastronomia in modo del tutto naturale, andando a vivere da sola quando avevo 24 anni e facevo già la web designer. Così, per hobby, mi sono regalata un corso professionale, seguito da alcuni stage in locali stellati. Lì ho capito quanto invece fossi attratta da quel microcosmo fatto di chimica, rigore ed estro misurato che è la pasticceria.
La mia indole metodica e il mio gusto estetico confluivano verso un unico obiettivo: creare dolci. Fortuna volle che Adriano -nato come pastry chef e poi 'convertitosi al salato'- capisse perfettamente la situazione, al punto da riuscire a farmi spostare nel reparto dessert del ristorante in cui lavoravamo insieme (All'Oro di Riccardo di Giacinto, ndr). Una piccola, grande vittoria". Nel frattempo, spadellando fianco a fianco, tra i due era nato qualcosa: dalla kitchen story alla love story, il passo fu breve. "Oggi il nostro rapporto determina e arricchisce l'approccio che abbiamo verso il cibo. Io assaggio le portate principali, lui i fine pasto: ci scambiamo piatti e feedback all day long. Siamo entrambi nella posizione di poter esprimere un parere su ciò che l'altro realizza".
Ma facciamo rewind e cerchiamo di capire com'è nato Verve. "L'esperienza decisiva è stata proprio da All'Oro. Lì Adriano, forte del passaggio in brigate come quella di Zafferano a Londra (1 stella Michelin) o di Severino Gaiezza e Marco Milani a Roma, ha ricoperto il ruolo di sous chef per ben 10 anni. Io vi sono entrata dopo aver affinato le basi di pasticceria con Thierry Tostevint ed Elnava De Rosa all'Aldovrandi, allora guidato da Oliver Glowig. Così, dopo qualche tempo, ci siamo ritrovati a seguire alcune consulenze e abbiamo incontrato per caso l'imprenditore Renzo Valeriani. Con lui è nata e si è concretizzata questa avventura".
Il ristorante
L' 'avventura' ha le sembianze di un bijoux 5 stelle tutto comfort e arredi preziosi, dalla hall alle 18 camere e suite d'impronta nobiliare affacciate su via Giulia. Eppure, Dom è un posto intimo, quasi raccolto su sé stesso; ci vai (e ci torni) perché ispira protezione, non timore reverenziale.
Antonella e Adriano curano la proposta food dalla colazione all'aperitivo, fino alla cena da Verve, di cui sono anche compropietari. Ed è qui che, appena entrati, catturano l'occhio tre opere originali di Andy Warhol, enfatizzate dal design eclettico sui toni del nero che mixa grinta e bon ton in un unico ambiente multiforme. Vedi le tende rosso porpora, i morbidi pouf baroccheggianti, i calchi in gesso di personaggi noti a scrutare la sala con le loro espressioni pensose cristallizzate nel tempo; ma c'è pure un caminetto pronto a scaldare gli animi durante la stagione fredda, lo specchio a parete con luci ben studiate e la cucina parzialmente a vista che richiama l'attenzione dei curiosi.
Dettagli che convivono, si fondono, colpiscono proprio per il contrasto ancien-neuf. Un tema ricorrente anche nel menu, il cui mood inclusivo nasce dalla volontà di stemperare i toni formali dell'alta ristorazione con una formula abbordabile sul fronte prezzi, presentazione e gestualità. "Siamo partiti con un degustazione piuttosto lungo, dal costo elevato e la struttura complessa, salvo poi comprendere nella fase post-Covid quanto fosse importante coinvolgere anche il pubblico romano, oltre a quello straniero.
Oggi evitiamo di vestire con abiti sfarzosi piatti tecnicamente evoluti, puntando piuttosto sul racconto veloce e accattivante durante il servizio. E poi, invogliamo il cliente a godersi l'esperienza in modo sciolto e disinibito. Il nostro antipasto più richiesto, ad esempio, si mangia direttamente con le mani". Insomma, guests just want to have fun (solo che spesso non lo sanno, o l'hanno dimenticato). Così, da Verve il divertimento è la conditio sine qua non di una serata diversa dal solito.
I piatti
Antonella e Adriano insieme "funzionano". Non è un tema che si possa esaurire in poche righe, ma tenteremo di affrontarlo attraverso il paragone fra un primo e un dessert, mettendo per una volta da parte lo schema della recensione gastronomica tout court. I piatti in questione sono il Risotto, carciofo, topinambur e liquirizia e il Tagliolino al cacao, castagne e fiori d'arancio. Entrambi tesi e composti ai blocchi di partenza, in bocca innescano una rincorsa di contrasti addizionali che genera suspense fino all'ultimo scatto di mandibola.
Nel riso domina il topinambur, arrostito intero e ridotto a una mousse charmant dal gusto totale. Adriano non usa brodi aromatizzati (e si sente): "La tostatura del riso a secco e la successiva mantecatura con la crema del tubero rafforzano di per sé il carattere dell'ingrediente", spiega. L'esito è una tela amidacea su cui spiccano i sentori balsamici di liquirizia, col carciofo a rinverdire il morso e l'appetito.
I tagliolini, invece, fanno dell'impasto con farina di castagne e cacao il loro marchio goloso. Al primo impatto sorprende l'aroma piacevolmente strong, ingentilito dal passaggio in burro all'arancia e sciroppo d'acero, ma poi i sapori rimangono distinti, senza caricare il palato di rimandi sovrapposti. Convince anche l'effetto caldo-freddo, dovuto all'accostamento del gelato agli agrumi. Due portate agli antipodi, dove però il duo legge e interpreta il singolo elemento per tradurlo in bocconi di senso compiuto.
Gli appetizer, più snelli, nutrono il desiderio sopito degli snack romani di una volta. Lo dimostra il Taco di mais, crema di mais, petto d'anatra stagionato e olive nere, quasi una riedizione croccante dell'aperitivo "pizza e prosciutto" dove la carne dell'animale viene affinata in casa fino a maturare lo spessore sensoriale di un salume.
È un finger pure la Ciriola alla brace, alici, indivia, olive, stracchinato, pinoli e uvetta, che svecchia l'immagine del panino capitolino ultrafarcito con un ripieno insieme ghiotto e leggero. Fra le paste merita un discorso a sé il Raviolo croccante, patata affumicata, cozze e 'nduja, in cui il peperoncino arriva giusto sul finale, con quell'ombra di piccantezza discreta che rimbalza sulle guance un attimo prima della deglutizione.
"È il nostro signature", ce lo presenta Antonella, "e cambia costantemente pelle per adattarsi al passare delle stagioni. Lo cuociamo con la tecnica orientale propria dei gyoza, passandolo in padella per ottenere un lato croccante. Poi viene sfumato con una punta di acqua di cozze affinché l'altra parte si ammorbidisca leggermente". Un raviolo sui generis che suona fragrante e si svela pastoso, immerso in un brodo tutto umami.
L'ultimo round è il Galletto, tartufo nero, morbido viterbese e puntarelle.
Qui il petto dell'animale racchiude le sue stesse interiora, lavorate col tartufo nero nobile di Norcia e il salume spalmabile prodotto nella Tuscia. Un tributo sincero alla materia prima, che a nostro avviso avrebbe giovato di una presentazione più pulita.
Ma Antonella ha ancora un dolce da proporre: il sipario cala sull'esotico Risolatte con cocco, banana, arachidi e passion fruit, un cocktail italo-latino-americano in forma solida (e cremosa). Seppur a fine pasto, si mangia beatamente come il risotto ai carciofi di Adriano, ed ecco la conferma: squadra che vince non si cambia. Ad maiora.
Foto di Andrea Di Lorenzo
Indirizzo
Verve- Dom Hotel Roma
Via Giulia 131 00186 Roma, Lazio
Tel: 06 3107 6828
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