Un albergo dal fascino austero che ha cambiato pelle senza mutare l’anima e l’intesa vincente fra due chef di mare e di montagna: è questa la formula vincente dell’Harry’s Piccolo guidato da Matteo Metullio e Davide De Pra. Ecco il racconto di una delle migliori esperienze gastronomiche d’Italia.
Harry's Piccolo
La storia
Trieste ha un’allure che non può lasciare indifferenti. E ogni volta che ci si torna, rimane intatta anche la voglia di rimetterci piede al più presto. Sarà per quello spettacolo che si gode intravedendo il mare, curva dopo curva, mentre si scende lungo quelle strade affascinanti e scoscese, oppure per come gli occhi si spalancano sbalorditi di fronte a una delle più belle piazze del mondo. Ed è proprio in Piazza Unità d’Italia che si svolge la nostra storia.
Protagonisti un albergo dal fascino austero che, eretto nel 1873, ha cambiato pelle senza mutare l’anima, la sua accoglienza sapiente e due uomini, uno di mare e uno di montagna, i quali hanno deciso di intraprendere un cammino comune alla ricerca della soddisfazione. Di chi siede a gustare i loro piatti, ma anche la loro. Perché soltanto in questo modo si riesce a dare un contorno nitido al concetto, a chiuderlo attorno allo star bene, senza riserve. Matteo Metullio, triestino puro tornato a casa dopo lunghe e felici esperienze montane e Davide De Pra, maestro di sci prestato all’alta cucina che tra le montagne ci è cresciuto e al mare si è votato.
Due amici, prima di tutto, due grandi professionisti capaci di lavorare fianco a fianco senza che nessuno tra i due cerchi di primeggiare, figure anomale tra i molti cuochi che di questi tempi puntano più a sbalordire che a fare il loro mestiere. Anomali sì, ma capaci anche di grandi risultati (gli addetti ai lavori e gli appassionati ricorderanno certamente l’espressione di entrambi, uno in lacrime e l’altro attonito, nel momento della conquista della seconda stella Michelin, arrivata a ruota della prima).
Tutto questo all’interno di un contesto di prim’ordine come quello del Grand Hotel Duchi d’Aosta, guidato da un manager di spessore come l’ischitano Antonello Buono. Cinque stelle, una ristrutturazione recentissima con il rinnovo delle aree comuni e di alcune stanze con interventi rispettosi e fedeli alla tradizione del luogo progettati dall’architetto milanese Egidio Panzera, è un grande albergo che fa del lusso accogliente e mai ostentato una bandiera.
La storia di Matteo e Davide inizia alla scuola alberghiera di Falcade, dove i due si incontrano per la prima volta. Ce lo racconta proprio De Pra, momentaneamente fermo per un infortunio a una mano, cenando con noi: “Ci siamo conosciuti lì: Falcade è il mio paese d’origine e quella scuola è famosa per lo ski college. I miei avevano dei locali quindi già alle medie sapevo cosa sarei andato a fare e abitando a due metri dalle piste ero anche un atleta; Matteo voleva fare sport, così aveva scelto Falcade e il suo convitto. Lui ha quattro anni meno di me, quindi non ci vedevamo molto. Ci siamo però incontrati di nuovo in cucina da Oscar Tibolla alle Codole a Canale d’Agordo. Si può dire che lui sia stato il primo vero maestro di entrambi; credo che la fortuna di un cuoco sia trovare qualcuno che ti trasmette passione, ma soprattutto ti insegna fin da subito come fare le cose nella giusta maniera. È come nello sci, se fai bene le prime tre porte è tutto più semplice, altrimenti la gara è andata, perché partire bene è fondamentale.”
Le strade dei due giovani talenti si separano, da una parte Davide che fa le stagioni estive nelle cucine di montagna e quelle invernali ad allenare giovani promesse dello sci, dall’altra Matteo che sta sempre ai fornelli e passa dalla corte di sua maestà Norbert Niederkofler, indiscusso leader spiritual-gastronomico della Val Badia, alla Siriola dell’Hotel Ciasa Salares della famiglia Wieser. Fino a quando non si incontrano di nuovo per caso in una serata di festa a Corvara, chiacchierano e riprendono i contatti. Passa un altro po’ di tempo, Davide lavora a Moena e inizia a ricevere qualche offerta, anche in Giappone. Accade però che lo chef Cucchelli, al quale Matteo faceva da secondo, scappa dalla Siriola prima della fine della stagione invernale; così Metullio, che già a ventiquattro anni si ritrova a quel punto alla guida della cucina di una cucina importante e ha bisogno di qualcuno accanto di cui fidarsi, cerca proprio De Pra.
“Vieni al mio fianco, ti va? Mi dice Matteo. Ci siamo accordati e da lì è partito tutto. Non è che non ci avessi pensato su, ma sebbene fosse più giovane di me lo conoscevo e mi sembrava una bella scommessa. In effetti la sintonia che abbiamo sviluppato insieme è incredibile”. Così Davide fa la prima stagione estiva con Matteo e funziona molto bene, tanto che riprendendo la sua attività di allenatore racconta: “Ormai però avevo la testa là, sui piatti e sul menu.” Ecco allora la svolta che gli fa fare un vero cambio di vita e così si accorda con Wieser per fare sul serio insieme a Metullio. Il resto si sa: le due stelle, la Siriola proiettata nell’empireo, la crisi e la rapidissima rinascita triestina che si è concretizzata in una delle espressioni più emblematiche di quell’esperienza che è lo star bene da quando si entra a quando ci si alza da tavola con un sorriso che più largo non si può.
Il ristorante
È tutto calcolato, qui all’Harry’s Piccolo, nulla è lasciato al caso e allo stesso tempo ogni passaggio si svolge nel modo più naturale possibile, in modo che l’ospite percepisca quella perfezione che non è mai fine a sé stessa, ma risulta totalmente dedicata alla massima soddisfazione di chi decide di passare qui qualche ora a tavola. Si sa che Matteo Metullio è colui il quale all’ormai frustrato concetto di chilometro zero ha sostituito quello di chilometro vero: in buona sostanza, territorio sì ma con testa, perché se sotto casa non trovo quello che cerco, ovvero il massimo, mi allontano finché serve, sia anche a un migliaio di chilometri da dove mi trovo. Così, sotto il vigile sguardo del nuovo restaurant manager Mario, salernitano di nascita che dopo aver girato il mondo è approdato a Trieste, si può vivere quella che senza dubbio è una delle migliori esperienze gastronomiche d’Italia.
La cosa bella è che De Pra e Metullio non lasciano un dettaglio che sia uno al caso, ma allo stesso modo questo perfezionismo al cesello è lontanissimo dall’essere di maniera. Loro puntano a non dare nulla per scontato, a partire dalla scelta di scrivere in menu i vini che verranno abbinati a ciascun piatto delle due degustazioni proposte (ci sono ovviamente tanto una carta quanto una cantina notevole a disposizione, comunque), perché si sono resi conto che è giusto che l’ospite sia consapevole di cosa lo aspetta e possa essere libero di scegliere.
“Abbiamo un menu che si chiama Adriatico…Viaggio alla scoperta del golfo di Trieste, nel quale andiamo a nobilitare i prodotti di queste zone, per esempio un grande branzino o un moscardino, e l’altro che è L’incontro, dove spieghiamo appunto il nostro incontro e cerchiamo di combinare nel piatto cose magari anche insolite in modo più estroso, sia di terra sia di mare (scampi e animelle), perché ci piace anche giocare e mollare il freno a mano”.
I piatti
Dal consommé in versione dashi tra gli amuse bouche in poi, si muove una festa che abbraccia estetica, gusto e armonia. Scampo della Dalmazia scottato in padella, spuma di cavolfiore, noci nere semicandite, tartufo bianco e tè verde: un piatto che resta in bocca lungo lungo, elegante come pochi, accostato all’intensità di un Sauvignon 2017 di Hedele di Vipavska Dolina.
Tartare di cervo, anguilla, aglio nero, yuzu, caviale e coriandolo, due dolcezze di spessore a confronto che si ritrovano in bocconi di elegante potenza tenuti insieme dal Pinot Gris 2017 Zellemberg di Marcel Tempè.
Per chi scrive uno dei piatti dell’anno sono i ‘capelli d’angelo’ freddi con succo di prugna, gamberi rossi crudi, bernese al midollo ed erba cipollina: “Facevamo quest’altro spaghettino alla milanese con lo zafferano, sopra ci sfregolavamo il midollo e ci mettevamo il caviale, eravamo contenti ma non ci soddisfaceva al cento per cento. Così abbiamo cercato una cosa diversa”.
E hanno trovato un capolavoro che regala sensazioni di grande appagamento, amplificate da un Timorasso 2015 di Marina Coppi. Serve forza per sostenere gli ingredienti di Se Pol (si può); peperoni del Piquillo, ‘nduja, ricci di mare, nero di seppia, un origano di Pantelleria di rara finezza: sono il contraltare degli altrettanto esplosivi tortelli ai tre latti (vacca, capra e pecora), un altro piatto ad alto tasso di indimenticabilità, degnamente sostenuto da Charme du Loire 2019 di quel personaggio di Jean-Pierre Robinot.
Tra i secondi si gode con il controfiletto d’agnello, il ragù delle sue animelle, cavolo nero, bieta, colatura di alici, spugnole, camomilla e orzo soffiato, dove sta benissimo il Barolo Treturne 2017. Va da sé che anche i dolci convincono senza riserve: freschezza e leggiadria sono le componenti sensibili di kiwi, mela verde, sedano, lime, yogurt croccante e zenzero, dessert servito con l’Auslese Cuvée 2018 di Kracher.
Quando immediatezza e complessità coincidono, mettendo d’accordo tanto chi approccia per la prima volta il tema dell’alta cucina quanto il gourmet più scafato in cerca di emozioni, allora ci si trova di fronte a ciò che rappresenta il nuovo, grande classico. E qui a Trieste sono soltanto all’inizio.
Foto per gentile concessione di Harry's Piccolo
Indirizzo
Harry’s Piccolo – Grand Hotel Duchi d’Aosta
Piazza Unità d’Italia, 2- 34121 – Trieste
Tel. 040.660606
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