Il più iconico dei grandi alberghi veneziani rinnova la sua offerta food, da degustare sui tavoli che costeggiano il Canal Grande. La firma Alberto Fol, professionista dell’hôtellerie di lusso in laguna dal 2008: “Puntiamo sul prodotto veneto: pesce del mercato di Rialto, erbe di barena, i nostri carciofi”. Ma il suo è uno slalom veloce fra i paletti della cucina d’albergo.
L'hotel
La magia del luogo è indiscutibile: Palazzo Gritti è un gioiello del XV secolo, già residenza del doge Andrea Gritti, proprio di fronte alla Basilica di Santa Maria della Salute, la cui facciata era un tempo affrescata da Giorgione.
Qui sono passati stuoli di artisti, da Hemingway a Igor Stravinskij, stregati dall’aura di esclusività e dall’atmosfera viscontiana. E di fatto è difficile immaginare un’offerta simile, se si pensa alla terrazza della suite privata con Jacuzzi e vista interminabile sulla laguna o ai tavoli del ristorante Il Club del Doge, che costeggiano il Canal Grande.
Lo chef
Partito l’anno scorso lo chef Daniele Turco, il direttore Paolo Lorenzoni ha puntato sulla venezianità, scegliendo quale nuovo executive Alberto Fol, che in laguna lavora ininterrottamente dal 2008, ma già in passato era salito in gondola. Anche perché il dna è veneto: mamma di Cortina, papà di Falcade, è cresciuto nell’albergo di famiglia sulle Alpi Bellunesi, dove la vocazione lo ha irretito precocemente. Dopo avere frequentato l’alberghiero allo ski college, ha svolto le sue prime esperienze a Treviso e al MarePineta di Milano Marittima, dove la brigata contava già 25 toques, poi a Cortina e St. Moritz, all’Excelsior Des Bains e per la prima volta al Gritti, in veste di commis nel 1998. Era da tempo al Danieli, quando vi ha fatto ritorno in veste di chef.
“Essendo cresciuto in un albergo, questo ruolo è nel mio DNA. Trovo particolarmente stimolante gestire diverse realtà; qui per esempio oltre ai ristoranti abbiamo la scuola di cucina, gli eventi, spesso le richieste dei clienti nelle suite. Qualcosa di dinamico, che richiede un approccio manageriale spesso sottovalutato in Italia”. A pranzo c’è il bistrot, con una proposta informale di club sandwich, hamburger, fegato alla veneziana, baccalà mantecato o milanese con l’osso; poi la domenica il ricco brunch dolce e salato.
La clientela, racconta Fol, è composita: come in tutti i grandi alberghi, c’è il gourmet e c’è chi cerca una serata tranquilla; è spesso internazionale, ma ci sono anche italiani ed esterni, per quanto la fascia sia molto alta (il menu da 8 corse costa 190 euro, più eventuali 100 di pairing), in sintonia con la nobiltà dei luoghi. “Durante il nostro incontro, Lorenzoni mi ha spiegato che gli premeva innanzitutto mantenere l’italianità, valorizzando prodotti autentici, come i nostri carciofi coltivati a Mazzorbetto o il prosciutto toscano affettato durante la colazione”.
Il pesce arriva dal mercato di Rialto, i vegetali da fornitori di Cavallino o Sant’Erasmo, le carni dalla regione, che sia garronese, wagyu delle Dolomiti o agnello dell’Alpago, il mais è ottofile locale. “Perché siamo in mezzo al mare, ma la collina è vicina”. Per elaborarli in brigata ci sono una trentina di toques, fra cui sei pasticcieri e tre secondi, di cui uno addetto solo alla scuola di cucina. La cantina è prestigiosa e in ampliamento sul fronte degli emergenti, oltre i blasoni con buona profondità di annate.
I piatti
La proposta descrive un abile slalom fra i paletti della cucina d’albergo, come si addice a uno sciatore. Inizia dal vegetale con il tempeh di piselli spezzati, raccolti in maggio, sbucciati, seccati e messi da parte per le zuppe invernali. Un ingrediente della memoria sottoposto a rielaborazione contemporanea sotto forma di tempeh umami-driven, rinfrescato da crema di basilico, menta, germogli vari e pinoli fermentati.
Poi un altro prodotto tipico veneziano, la granseola, resa estiva dal freschissimo ceviche di pesche e abbinata a un side dish di piadina di farina di ceci con caviale, erbe fresche di barena e disidratate in “curry di laguna” (finocchio di mare, portulaca, salicornia, artemisia).
La gallinella cruda viene marinata in un ristretto di canocchie e cannolicchi e servita con latte di mandorle leggermente puntinato di olio al prezzemolo, alghe in polvere, lattuga di mare e sedano. Poi la scenografica e gustosa tagliatella ripiena di scorfano, arrotolata per accogliere un guazzetto di scorfano e verbena, calamari e cicorietta spadellata.
Lo spaghettone è servito in salsa, quella dei bigoli, ottenuta da sarde fresche, sott’olio e sottosale, frullate per una maggiore cremosità; a bilanciarne la sapidità, un crudo di vacchetta veneta marinata con crema di capperi, che ricompone le armonie di una tartara in liaison con l’ittico.
Chiude il salato l’ombrina arrostita e finita al vapore con diverse radici estive, daikon, ravanelli, topinambur, oxalis tuberosa, crudi, cotti, in crema, più gel di limone e olio alla ‘nduja. Mari e monti.
Stupisce in conclusione il dessert vegetale composto di sucrine, crema di limone marinato, sorbetto al bergamotto, cremoso al cioccolato bianco, olio extravergine e pepe agrumato di Timut, che centra il palindromo di un pinzimonio a fine pasto.
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