Hotel Belvedere a San Genesio: la meta di benessere gourmet su un altopiano unico in Europa

A 1080 metri sull'Altopiano del Salto, dove sparge i suoi profumi il più grande prato di larici d'Europa, una famiglia è partita dall’antica trattoria del posto per creare una struttura fiabesca da screensaver. Fra canederli in versione ortodossa e selvaggina in salsa fine dinining, le sorprese dell’Hotel Belvedere.

La storia

Camere immacolate, un benvenuto col tappeto rosso, fitti palinsesti di intrattenimento dal risveglio alla buonanotte. Cosa rende un albergo realmente diverso da tutti gli altri? L'elenco potrebbe continuare e non saremmo mai certi di aver preso in esame tutte le possibili variabili del nostro stato di appagamento vacanziero. Perché forse il punto è un altro: l'ospitalità vive (anche) di dettagli immateriali, che prescindono dalla finezza dei ricami del copriletto o dal blend di fragranze diffuso nella sauna aromatica della Spa. A volte, per emozionarsi davvero, "basta" un panorama condiviso.

Di certo l'aveva intuito, la coppia composta da Frieda Pollinger e Martin Reichhalter, quando 68 anni fa acquistò una datata trattoria di San Genesio Atesino -"Bellavista", appunto- con l'intento di farne una struttura fiabesca da screensaver, di quelle che se le vedi in lontananza sei già lì con un occhio all'orizzonte e l'altro a Google Maps.

Il mix iniziale di sogni e pragmatismo, come spesso accade, li condusse a creare un punto d'interesse che gli eredi avrebbero via via arricchito, spostando il baricentro sul benessere diffuso. Un luogo da immortalare "finché il check out non ci separi", sì, ma non per uniformarsi ai soggiorni copia e incolla nei resort infiocchettati del circondario bolzanino.

La meta si colloca, infatti, a 1080 metri sull'Altopiano del Salto, dove sparge i suoi profumi il più grande prato di larici d'Europa, mentre il piccolo gruppo di 3000 residenti abita un condominio arboreo perfettamente in sintonia con le rade attività turistiche.

Oggi che il rustico locale di montagna ha assunto le sembianze di un resort 4 stelle, i successori della dinastia fondatrice (Renate Winkler con il marito Hans Leonhardy) non smettono di ampliare il campo d'azione, dilettandosi in un dritto e rovescio di audaci aggiunte architettoniche. Ad esempio, la terrazza estesa sui pendii del declivio, una piscina a sfioro che giustifica ampiamente il nuovo nome dell'insegna ("Belvedere") e il bistrot pronto a restaurare i pilastri culinari del posto senza sradicarli da una zona di comfort ben delimitata.

Va da sé che i riconoscimenti non siano tardati ad arrivare, accendendo l'entusiasmo di questa realtà di famiglia operosa sin dal '39; ad esempio, il premio innovazione dell'Iconic Award per il rimodellamento accorto degli spazi ("Non si dovrebbe edificare in un luogo, ma costruire il luogo stesso" è il motto dei due progettisti Michaela Wolf e Gerd Bergmeister, responsabili delle recenti migiorìe), oppure il Relax Spa Award, che ha da poco inscritto il complesso fra i 100 migliori wellness hotel regionali del 2023.
Bando alle premesse, torniamo al quesito iniziale: cosa rende quest'albergo realmente diverso da tutti gli altri?

L'hotel

Se "dormire significa distrarsi dal mondo", come affermava sornione Jorge Luis Borges, allora conviene tuffarsi a braccia tese nella realtà prima di chiudere gli occhi per una sfilza d'ore. Al Belvedere la sensazione non è quella di venir temporaneamente isolati dal branco di attrattive montane, bensì di incontrarle vis à vis, a partire dalle finestre in rovere che smorzano la diffidenza coi tronchi appostati fuori dalle suite, fino ai dettagli in porfido rosso tesi a evocare l'idea della roccia nuda e pura.

La stessa attenzione si ritrova nelle vasche esterne - vedi la Piscina bio con acqua 100% potabile - tutte riscaldate grazie a un impianto solare che abbatte gli sprechi spesso "invisibili" degli hotel vecchia scuola. Tra una full immersion nell'idromassaggio energizzante a 34 gradi e una visita alla sauna-stube (plasmata a immagine e somiglianza della "casa dolce casa" altoatesina), l'appetito vien nuotando, ed ecco che entra finalmente in gioco la cucina dell'hotel.

Di giorno l'appuntamento è al bistrot, che nei mesi caldi si trasferisce outdoor per un'inquadratura privilegiata sulla valle di Bolzano, capace di spronare al selfie anche i più timidi; qui la carta ricalca il paesaggio con un tratto easy ma preciso, attingendo da pascoli e laghi vicini, quando non direttamente dal banco dei panettieri di San Genesio, che fornisce i suoi fragranti pani ai semi e uno Schüttelbrot da centellinare (o chiedere extra) fino al dessert.

Se amate i canederli, li scoprirete fedeli alla versione ortodossa: vivaci bombette di incontenibile sapidità, dalla pasta un po' ruvida che fonde magicamente in bocca amalgamandosi col brodo. Non meno sfizioso il Carpaccio di salmerino proposto in abbinamento a una galette integrale, nocciole e crema alla menta, il Burger realizzato con carne di manzi da filiera corta e lo Strüdel super speziato, un assolo di polpa e cannella sotto la sfoglia fine.

"Cerchiamo di produrre quanto possibile da soli e, al tempo stesso, di sostenere gli artigiani che danno valore al borgo. Macellai, fornai, contadini ed allevatori tengono in vita un ecosistema complesso senza cui non esisterebbe futuro", ci spiegano in sala.

Frieda's Fine dinining

Ricordate nonna Frieda? Citata qualche riga addietro in un saluto introduttivo, quella che fu la "first lady" dell'hotel ha quasi assunto la stoffa dell'eroina letteraria agli occhi di coloro che oggi lavorano in struttura. E infatti dà nome al ristorante designato per la cena, una stube originale in legno antico dove la costellazione di lumini disseminati fra i tavoli rischiara scorci notturni d'altopiano, destando insieme meraviglia e un senso di intima familiarità.

Snello il menu, composto da un'unica degustazione di 5 piatti "al buio" (giusto per rimanere in tema) a cura dello chef Christian Reiterer e della sua giovanissima brigata. Nessun timore di andar via con un languore residuo, poiché gli assaggi vantano porzioni generose, poco esibizionismo e tanto prodotto.

È il caso della suadente Vellutata di patate dolci e gnocchi tirolesi, cosparsa di fiori eduli per spezzare il cortocircuito di cremosità, mentre il pane resta sodo e a prova di inzuppo. Fra i secondi, la Sella di capriolo compare avvolta da un croccante "corsetto" di frutta secca, che dona lievi sfumature tostate alla selvaggina di per sé dolciastra; la crosta fa da pendant con una crema di sedano e vaniglia in cui intingere il boccone dalla doppia consistenza, che così diventa tripla.

Chiude un dolce pop di insolita vivacità: il "Raffaello", sorta di estensione della merenda mignon targata Ferrero. Rompendo la sfera sciabordano scaglie di cocco; divagazione tropicale riportata sulla retta via dai frutti di bosco, interi e sotto forma di gelato. Stavolta niente krapfen o strauben: il dessert vola verso altri lidi per poi tornare al punto di partenza, raccogliendo gemme succose lungo un percorso a tutto gusto.