Da giugno il resort sui Colli Bolognesi ha compiuto l’upgrade nella ristorazione di alta fascia: è sempre lo chef Francesco Manograsso a occuparsi del Grifone, fine dining ospitato nella villa settecentesca, che attinge gran parte dei prodotti dall’azienda agricola, cominciando dagli oli pluripremiati.
Il Grifone al Palazzo di Varignana
La storia
Ci sono realtà che crescono sottotraccia, con la riservatezza tanto cara a un certo pubblico d’élite. Per esempio, Palazzo di Varignana, resort costruito pian piano attorno a una villa settecentesca, già dimora dei Bentivoglio. Una piscina, una villa e un appezzamento dopo l’altro, oggi si presenta come un microcosmo fatto e finito che non smette di stupire. A pochi chilometri da Bologna, perfino le colline sono state disegnate da un landscape designer, che ha saputo incorniciare tramonti di altre latitudini.
Nella sua breve vita il lockdown ha rappresentato una cesura dove seminare nuove attività: c’è stato tempo per il restyling del ristorante gourmet, che ha traslocato nella villa e assunto il nome di “Grifone”, animale caro al titolare quale simbolo di forza e protezione. Mentre sono in dirittura d’arrivo sei nuove ville e il frantoio, che sarà operativo già alla prossima molitura. E da qualche mese, sempre su iniziativa del titolare, è iniziato il servizio in una pittoresca carrozza reale restaurata, ma solo nel fine settimana.
Lo chef e il ristorante
Il punto fermo resta Francesco Manograsso, chef calabrese trentasettenne, con trascorsi al bolognese Bitone e per alberghi di lusso, in struttura ormai da otto anni. Quando è arrivato, il Palazzo muoveva i primi passi. “Praticamente c’era solo l’ospitalità. Poi la proprietà ha iniziato a investigare sulla storia dei luoghi e ha scoperto che prima della piccola glaciazione qui si coltivavano gli ulivi. Quindi ha piantato l’uliveto, oltre al frutteto e all’orto.
Ma oggi ci sono anche i vini della nostra cantina, il miele e perfino lo zafferano. Da subito ho iniziato a confrontarmi con i contadini su cosa coltivare di stagione in stagione, ma era quasi un problema farmi carico dei quantitativi, con frequenti eccedenze cui trovare impiego. Oggi al Grifone è diverso: scelgo ciò che mi interessa nella gamma delle nostre produzioni, che ispirano i piatti. Ognuno di essi, poi, è rifinito con un tipo particolare di olio, per contrasto o concordanza”.
Sono cinque, due blend e tre monocultivar da ghiacciola, correggiolo e nostrana. L’ultimo tassello è il progetto di pasticceria, partito all’unisono con il ristorante a giugno: un laboratorio centralizzato al servizio di tutta la struttura, colazioni comprese, a cura di Caterina Malaguti, che sfoglia i suoi croissant nel sottoscala, dove un tempo si cercava rifugio dai bombardamenti.
Il risultato è una cucina creativa di impronta neorurale, che trova la sua cifra anche stilistica nella sostenibilità grazie agli approvvigionamenti in loco e alla filosofia no waste. “Si tratta di territorio oltre la tradizione. Osservo ciò che mi circonda, quindi evito digressioni come la burrata o le cineserie. Rispetto al passato, non ci sono signature, perché lo studio è maggiore e la stagionalità lo impedisce”.
I piatti
Dalla carta sono stati ritagliati due menu degustazione da 4 e 7 portate, rispettivamente a 80 e 95 euro, sposati a una selezione di vini succinta, che punta sulle etichette proprie ma soddisfa altre voglie. Né mancano all’appello i crismi del fine dining: i grissini e le due focacce fatte in casa, l’olio emulsionato in purezza al Pacojet, per una testura da gelato senza la bassa temperatura, gli appetizer sfiziosi. Nel nostro caso cialda di polenta croccante con mousse di fegatini e lampone, tartelletta al Parmigiano con radicchio trevigiano agrodolce e yogurt di capra, bao con spuma di Mortadella e pistacchi. Quale benvenuto il crudo di mazzancolle con centrifugato di cetriolo, mela verde e finocchio, foglia ostrica e salty finger per ulteriore iodio, mandorle tostate della casa e un giro di extravergine blend verde, erbaceo, amaro e piccante sulle dolcezze.
In lockdown è partito anche lo studio sulle fermentazioni, utile per smaltire le eccedenze. Ed è così che il baccalà, preparato in oliocottura per una piacevole morbidezza, viene servito con una crema composta al 20% di ortaggio lattofermentato, più le cimette sempre acidule e croccanti, l’arancia, un olio aromatizzato all’erba cipollina e un giro di blend blu, più delicato e mandorlato, in scia.
Il daino marinato in sale e zucchero, evocativo del vicino Appennino, è servito con un gin tonic leggermente addensato al Gin Mare per il tocco amarotico e alcolico sgrassante, cavolo viola in osmosi del suo centrifugato all’aceto di mele, cimette di radicchio e gelato di cipolla rossa della casa. Più un giro di extravergine da correggiolo per il piccante sulla carne. Srotola poi una passerella verso i primi il cannellone di zucca, con le lamelle sottovuoto al posto della pasta e la polpa al forno passata quale ripieno; per condimento la spuma di erborinato di capra, l’olio di semi di zucca tostati, la polvere di porcini saltati. Fra l’antipasto vegetariano e la pasta non pasta.
Il pesce di mare chiama nostalgie mediterranee. È il caso del brodetto affumicato con l’anguilla, servito con tubetti risottati, carpaccio degli stessi pesci crudi, zenzero e broccoletto sbriciolato dopo il passaggio in forno, tipo couscous. Per olio il blend blu. I tortellini green sono il piatto del momento: confezionati dalla sfoglina come tradizione comanda, vengono rituffati nel contesto rurale, convitato di pietra della cucina bolognese, che non contempla praticamente verdura. In questo caso una crema di castagne, anche in crumble, con topinambur sotto forma di brodo delle bucce e dadolata saltata, cavolo nero essiccato e in olio aromatizzato. Praticamente l’umami del cappone per via vegetale.
Torna poi il Mediterraneo nella seppia adriatica, sotto forma di corpo appena scottato in padella e sughetto di teste, fegato e nero, più la spuma di fagioli risina per il classico matrimonio con i legumi, i peperoni cruschi che a casa Manograsso si essiccavano sul balcone, croccanti e in olio, frutti e foglie di cappero.
Il piccione arriva con il petto spadellato e la coscia farcita di rigaglie a bassa temperatura; per contorno il purè di pastinaca, la rapa rossa sotto sale in carpaccio con blend verde e polvere di liquirizia, la scorzonera fermentata.
Ma Varignana mette a disposizione anche prodotti a marchio come confetture e tisane; in questo caso un tè verde aromatizzato con fiori e frutta che profuma a sua volta il sorbetto di agrumi servito con julienne di finocchio semicandito e capperi, in modo da ricreare lo schema dell’insalata. Classica la pasticceria, che continua a declinare i suoi ingredienti in più forme: la nocciola in cremoso, finanziera, tuile e caramellata con gelati al frutto della passione e al caramello; le castagne in bavarese con speculoos di rosmarino e sorbetto al cassis, modello Mont Blanc. Prima di una piccola che torna al territorio con la gelatina di frutta, la ganache ai lamponi e il grazioso latte in piedi mignon.
Indirizzo
Il Grifone- Palazzo di Varignana
Via Ca' Masino, 611A, 40024 Castel San Pietro Terme BO
Telefono: 051 1993 8300
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