Famiglia Cotarella, il vino e oltre
Tre generazioni e una visione articolata le cui radici, salde nel mondo del vino, si diramano in diverse direzioni: al centro di tutto le persone, le loro potenzialità e i loro intrecci. Questo (e tanto altro che abbiamo raccontato anche in un recente articolo su Vinitaly) è Famiglia Cotarella, universo multiforme che si snoda attorno all’attività di Dominga, Marta ed Enrica Cotarella e comprende i marchi Falesco per i vini della tradizione, Cotarella per l’alto di gamma, la scuola di alta formazione di sala Intrecci e Liason per la distribuzione degli Champagne Alexandre Filaine e Vilmart e del vino Per Papà dell’Azienda Castello di Cigognola.Falesco- famiglia Cotarella
L’azienda nasce come Falesco tra Lazio e Umbria a Montefiascone nel 1979 grazie ai fratelli Riccardo e Renzo Cotarella, enologi riconosciuti a livello internazionale che da lì iniziarono il recupero di vitigni antichi del territorio, noto in un antico passato per produrre vini eccellenti, ma dimenticato ormai da tempo. Rinascono così varietà come il Roscetto, rara tipologia a bacca bianca dalla quale nascerà il Ferentano. Molte sono le etichette famose, tra le quali Poggio dei Gelsi, un EST! EST!! EST!!! che ha cambiato i connotati di una DOC maltrattata.
Pggio dei Gelsi- Cotarella
Ancora il Montiano, celeberrimo e pluripremiato Merlot di grande concentrazione e struttura la cui prima vendemmia risale al 1993, poi è la volta della valorizzazione dell’Aleatico diffuso intorno al Lago di Bolsena, con il Pomele dell’omonima azienda agricola. È del 1999 l’acquisizione di un’altra azienda agricola, Marciliano, circa 260 ettari sulla collina a sud di Orvieto da cui si ricavano uve Merlot, Cabernet e Sangiovese, nonché Vermentino e Verdicchio: qui si produce il notevole Cabernet Sauvignon che anche in questo caso porta il nome dell’azienda stessa; è ancora qui che si trova un vigneto sperimentale nel quale sono state impiantate 25 varietà differenti in collaborazione con l’Università della Tuscia.
Montiano Cotarella
Il Syrah Tellus, Trentanni, lo spumante Anita, Soente e Ogrà (prodotto in tiratura limitatissima e ispirato ai Syrah della valle del Rodano) sono le etichette più recenti. Le Macioche a Montalcino, proprietà che comprende 5 ettari di cui 3,5 coltivati a Brunello, rappresenta l’ultimo acquisto della Famiglia Cotarella. Abbiamo avuto modo di incontrare Riccardo Cotarella a Vinitaly, una conversazione interessante. A lui che certamente ha contribuito a fare la storia del vino in Italia abbiamo chiesto com’è cambiato il mondo enologico negli anni.“Ho attraversato l’era del risorgimento del vino italiano e posso dire che cos’era il vino prima del risorgimento. Era una bevanda, un alimento anche. Era già tanto se culturalmente distinguevamo tra bianco e rosso, mentre i rosati non esistevano. Poi c’è stato un grande problema: era il giugno 1986 e con lo scandalo del metanolo sembrava che il vino avesse terminato il suo iter, perché non c’era più una bottiglia sul tavolo dei ristoranti né in casa; ogni telegiornale - giustamente - raffigurava la tragedia".
"Questo però ci ha fatto riflettere: se vogliamo dare un futuro ai nostri vini dobbiamo non solo cambiare registro, ma cambiare ‘pianeta comportamentale’. Ovvero, il vino deve diventare qualcosa di più rappresentativo per il nostro paese. Devo dire che in questo percorso noi enologi abbiamo messo tanta passione e tutta la nostra sapienza scientifica.” E qui Cotarella tocca un tasto che attualmente è particolarmente sensibile, quando prosegue e afferma: “Perché il vino è scienza, frutto della natura sì, ma opera dell’uomo. Da lì è nata la grande rivoluzione e oggi se siamo quel che siamo è proprio per questa rivisitazione profonda del nostro approccio al vino.” Continua poi sottolineando un altro aspetto vitale che è la necessaria valorizzazione dell’Italia: “Oggi siamo il paese più ricco in termini di biodiversità, di territori e di storia. Il secondo, la Francia, è secondo con grande distacco. Dobbiamo saperlo raccontare e sapere che l’Italia è il primo paese al mondo: non ci interessa essere primi per quantità prodotta, no, è un primato che vogliamo lasciare ad altri.
Dobbiamo essere quel che siamo, i primi al mondo per biodiversità, perché questo non ce lo può portar via nessuno, se non noi stessi, non dicendo e non raccontando nelle dimensioni giuste e senza il minimo tentennamento e il minimo dubbio di essere, orgogliosamente, i primi al mondo.” Quando interroghiamo Riccardo Cotarella su quello che per lui è il futuro del vino in Italia, ci risponde: “In maniera consapevole, non ottimistica, il vino italiano ha molta strada da fare. Forse non ce la farà la mia generazione e forse neanche la prossima: è talmente tanto che non dobbiamo affrettare i tempi, perché dobbiamo raccontare tutto con calma. Serve riflessione, ci vogliono tempo, passione, amore per il vino. Diciamo che abbiamo avuto durante la pandemia un esempio ancora più eclatante di cos’è il vino e anche innanzitutto cosa non è, non è una bevanda, non se ne parla, non è una bibita. Che cos’è allora il vino? Il vino è una sorgente di cultura, è l’unico bene dell’agroalimentare che ha una storia, negli anni, nei secoli e nei millenni, l’unico che evolve con il tempo.
Per ogni altro prodotto il tempo è un nemico e con esso regredisce la qualità: viceversa il vino evolve, migliora, si personalizza ed è questa la grande potenza di questo prodotto. Poi c’è un altro aspetto che riguarda la conoscenza: come si fa, dove nasce, la stagione. Il vino sta diventando un elemento della vita e della passione umana.” E le nuove generazioni in tutto questo giocano un ruolo fondamentale, perché, continua Cotarella: “Non per ultimo bisogna tener presente che un altro elemento che ha cambiato la storia sono stati i giovani: io ho la fortuna di insegnare all’università e quindi vedo con quale spirito e quale orgoglio vogliono conoscere il vino.
Sono anche consci del fatto che la degustazione è l’atto finale, ma se noi non ci avviciniamo alla degustazione consapevoli di ciò che stiamo assaggiando, conoscendo la storia, questa diventa un atto fisico, meccanico. Buono, non buono, sa di pera, sa di mela: questo è insignificante. Se noi assaggiamo un vino conoscendo l’andamento stagionale, la storia della famiglia che l’ha fatto, chi è l’enologo, l’uva, il vigneto, allora noi ci avviciniamo già acculturati e possiamo apprezzare meglio tutto, comprese anche le caratteristiche organolettiche. Quindi l’evoluzione sta nell’approccio culturale, assolutamente. Andando indietro nel tempo pensiamo ai vinaccioli che gli etruschi mettevano nelle tombe: era il dono da portare a chi li riceveva nell’altro mondo. I romani facevano del vino un alimento: vino e miele, vino e sale, nel medioevo vino e aceto perché dissetava. Il rapporto con l’uomo è sempre stato strettissimo, poi è cambiato lo stile di vita: quarant’anni fa si bevano 120 litri a testa compresi bambini e astemi, adesso siamo a 28. Pensiamo a com’è cambiato l’approccio, oggi si degusta un vino, non si beve".
Cotarella conclude con una riflessione sull’ultimo periodo che abbiamo passato: “Sto col vino tutti i giorni, mi fa piacere raccontare il vino a chi mi sta vicino, è un elemento di unione. E poi c’è un altro importante segnale, perché il vino è un elemento determinante per giudicare lo stato d’animo delle persone: non si beve più per dimenticare, si beve quando si è allegri e si sta bene in compagnia degli altri. Questo lo vediamo anche dai media che si stanno interessando al vino, lo fanno con cognizione di causa: c’è un’utenza importante che vuole sentir parlare di vino, cosa che non esiste negli stessi termini per nessun altro prodotto dell’agroalimentare.” Sta a tutti noi, quindi, imparare a comunicare il mondo del vino ancora e sempre meglio.
Famiglia Cotarella