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Chi è Sofia Carta, la donna che gestisce la più prestigiosa cantina della Sardegna nel miglior resort del mondo

di:
Alessandra Meldolesi
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sofia carta

La Notizia

21 ristoranti e 18 bar, 500mila pasti serviti, 12mila bottiglie stappate più 5000 di bollicine a stagione. Sono i numeri del Forte Village, struttura ricettiva sarda, premiata per 22 volte come la migliore al mondo. Nel verdeggiare della flora tropicale, la ristorazione rappresenta un suo fiore all’occhiello: qui una miriade di chef stellati sfila per le cucine ogni estate, Heinz Beck e Massimiliano Mascia del San Domenico di Imola hanno il loro spin-off estivo. Ma a occuparsi dei vini è una donna sola al comando: Sofia Carta, sommelier che non si stanca di allestire una vetrina liquida della Sardegna sul mondo.


Sarda di Sassari, Sofia Carta ha frequentato l’alberghiero, diplomandosi nel corso di ricevimento. “Perché mi piaceva cucinare fin da ragazzina con mia mamma e mia nonna. Paste fresche, dolci, liquori, di tutto. Mio padre aveva la campagna con l’uliveto e la vendemmia me la ricordo bene. Insomma c’era qualcosa nel sangue, anche se sono stata astemia a lungo. A 15 anni ho iniziato a fare le prime stagioni in Costa Smeralda, poi anche in montagna e all’estero. Al Four seasons di Londra a 18 anni ho lavorato in sala, poi a 24 anni sono diventata maître d’hotel e mi sono detta: se voglio vendere il vino, devo capirlo. Così nel 2002 a Courmayeur ho frequentato il primo corso da sommelier e sono rimasta affascinata dai relatori e dai loro gesti. Mi si è aperto un mondo. Il diploma l’ho conseguito nel 2006, mentre lavoravo come restaurant manager a Porto Rafael. Ma è da 8 anni che sono al Forte: volevo fare un po’ di curriculum, invece non sono più partita. E nel frattempo sono diventata degustatrice, oltre a iscrivermi al WSET”.


“In questi 18 anni il mio palato si è evoluto non poco: inizialmente mi intrigavano i grandi rossi toscani da sangiovese, poi è arrivato il momento dei bianchi in barrique e quello dei biodinamici… Ma negli ultimi tempi mi sono appassionata ai vini del mondo, come il pinot nero statunitense: voglio assaggiare tutto. Amo lo Champagne, il Trentodoc e i bianchi freschi da vitigni autoctoni di piccole aziende, che trasmettono emozioni. Anche il vino sardo è cambiato in maniera incredibile, grazie a Tachis, la cantina di Santadi e alle famiglie come Contini e Agiolas radicate nel passato e proiettate nel futuro. A loro si ispirano i giovani, la cui crescita è costante. E neppure nei mesi di chiusura poso il calice: visito aziende, cammino le vigne, faccio degustazioni alla cieca, dove esce fuori la qualità vera. Insomma anche il mio tempo libero va in vino”.


“Sono entrata al Forte come sommelier del Belvedere, che ai tempi era stellato, poi sono passata a curare il pairing delle cene in cantina con gli chef stellati per 3 anni, sotto la supervisione di un buyer. Infine è arrivato il winebar, dove ho avuto praticamente carta bianca. Ma dall’anno scorso curo tutto il vino del resort, condividendo le mie scelte con la forza vendite”. Una responsabilità non da poco: gli esercizi, come accennato, sono una quarantina, con la carta dei vini (introdotta da una citazione di Veronelli, autore della consulenza iniziale) e la cantina in condivisione. Le referenze sono un migliaio, per il 30% sarde e per un quinto in verticale. “Ma cerchiamo di avere più mondo possibile, per venire incontro ai desiderata della clientela e anche come omaggio ai paesi di origine, in un resort dalla forte vocazione internazionale. Constato che gli ospiti russi prediligono i grandi rossi italiani, mentre gli inglesi amano gli spumanti e le etichette sarde. Alcuni vini sono ordinati dai singoli locali e conservati al loro interno, per gli altri chiamano me o un altro addetto e in 5 minuti arriva un ragazzo con la bici, incaricato del delivery, perché siamo eco-friendly. Giusto il tempo di prendere l’aperitivo e all’occorrenza infilare la bottiglia nell’abbattitore”.


Sofia va particolarmente fiera della sezione Borgogna, vedi Pacalet oltre i soliti blasoni, e dei toscani come Massetino e Matarocchio. “Ma denominazioni come il Sagrantino di Montefalco e la Vernaccia di Oristano meriterebbero di più. Ricordo con particolare affezione una cena di Peter Brunel con vecchissime annate di Terlano in magnum, i vini di Antinori sui piatti di Emanuele Scarello, una verticale di Pommery con la cucina di Davide Oldani, per la quale ho un debole. Al piccione in casseruola con indivia rossa agrodolce e gelato al fegato d’oca ho abbinato una Vernaccia di Oristano Riserva 1995.”

Ma Sofia non è solo sommellerie: premiata per due anni sommelier dell’anno da Food and Travel, su Sky fa il Wine Expert dalla Sardegna. Ha già curato 6 puntate di un programma chiamato Cru & Terroir e si appresta a girarne altre, per far visitare virtualmente ai telespettatori vigne e cantine isolane.


La Degustazione


Vernaccia di Oristano doc Riserva 1995 Contini


Dal patrimonio dei caratelli centenari della Famiglia Contini, la prima azienda vitivinicola sarda datata 1898, nasce questa perla. È la Vernaccia il vino per eccellenza del cuore della Sardegna. Il più indisciplinato e il più magico allo stesso tempo.  Prodotto in botti scolme per tre quarti, grazie all’ossigeno i lieviti vanno a formare un cashmere che andrà a proteggere il vino nel suo affinamento: LA FLOR. Le botticelle sono le stesse di sempre, i lieviti vivono da anni, e questo è affascinante, e forse anche per questo che conserva sempre una grandissima congruenza negli anni. Cullandosi nel tempo, una parte andrà AGLI ANGELI, l’altra invece acquisirà un bouquet unico, che a Cabras si chiama MURRUAI.

Nel calice la sua luce ambrata con nuances dorate spiazza.  Un giro di calice consistente e fine sprigiona corredo olfattivo che apre con frutta secca, mallo di noce, la caratteristica mandorla amara, lasciando spazio a frutta a polpa gialla, nespole in particolare, fiori gialli e note tostate delicatissime. È al sorso che la Vernaccia marca e si distingue. Il cashmere della flor accarezza il palato, sprigiona una alcolicità decisa ma non invadente e apre una grandissima sapidità. Le note iodate sono molto importanti e insieme alla mineralità marcano la bocca con un lunghissimo finale. È un vino eterno, capace di stupire e innamorare.

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