La Storia
La parola “cocktail bar” da sola non basta per definire il Drink Kong. Piuttosto bisogna pensare al locale come ad un luogo di aggregazione e di socializzazione. Un luogo dove ristorarsi e non pensare a niente. Dove sentirsi coccolati. Insomma un porto franco nella Capitale. Perché l’alcol, a differenza del cibo, è evocativo e va a toccare le corde dell’anima. «È molto più profondo di quanto si pensi, almeno per chi ci ha messo tutta la vita dentro», afferma Patrick Pistolesi, tra i più importanti barman della scena romana e ideatore del locale. Lo ha modellato facendo tesoro dei molti anni di professione, iniziata da giovanissimo, proseguita in giro per il mondo e poi continuata alla casa base romana. «È frutto di 20 anni di esperienza. È finalmente il mio locale, quello che volevo realizzare da sempre. Io sono un tipo curioso e credo che un barman non possa fare questo mestiere se non lo è. Non riguarda solo i drink, ma soprattutto il genere umano. Per fare questo lavoro devi essere innamorato della vita».Per metà irlandese, mamma di Dublino e papà romano, ha appreso da giovanissimo la cultura dell’alcol che pervade nel suo insieme la capitale irish e il suo countryside: «Mio cugino mi faceva entrare in pub di amici e lì scoprivo quello che succedeva di notte. Le maschere scendono e la sera ci sono solo persone. E mi ricordo che sono rimasto incantato da un barman che sembrava un direttore d’orchestra: pur assalito al bancone da tanti clienti, era in grado di gestire tutto con classe e tranquillità. Un vino bianco di qua, una birra di là. Era un direttore con una grande capacità organizzativa e un grande palcoscenico dove esibirsi, ma anche accontentare le persone».
Pistolesi ha iniziato a 19 anni ed è partito dalla discoteca, dove era convinto che sarebbe rimasto. Serviva ai tavoli in un locale in via Capo d’Africa e una sera, forse un po’ troppo stanco, dopo l’orario di lavoro si lasciò scappare di essere bravo anche al bancone. Il giorno dopo gli arrivò una proposta che prese al volo. In soli tre giorni, il tempo che mancava per l’inizio del lavoro, si fece insegnare da un amico il mestiere. E iniziò in quella che era di fatto una discoteca estiva. Per molto tempo, dunque, ha lavorato in un ambiente dove si utilizzava plastica su plastica, tanto che dopo tre anni, quando cominciò ad avere per le mani bicchieri di vetro, li guardava come un oggetto estraneo. «Feci un daiquiri in un bicchiere di vetro e me lo bevvi, per capire come funzionava e fu una cosa bellissima».
Intorno ai 24 anni per crescere, ha cominciato a seguire barman sempre più bravi. All’epoca libri sulla mixology non ce n’erano e nemmeno internet («Chiedevo a tutti di portarmi informazioni»). Persi però gli stimoli romani, decise di partire per New York, all’epoca la patria della cocktellerie, per apprendere direttamente dalla fonte. Era il 2004. Da lì è poi passato a Salt Like City, Las Vegas, Los Angeles, nel 2007 è tornato in Italia e nel 2008 è arrivato il cambio radicale. Internet ha iniziato a unire le persone e a creare contatti. «Poi incontrai i ragazzi del Jerry Thomas Project, il loro progetto era di creare un gruppo di lavoro tutti insieme, per far circolare le informazioni su attrezzature, tecniche e novità. È iniziata così una rivoluzione culturale e di metodo. Quella renaissance che oggi rende la Capitale così piena di verve e che contende la palma anche a Milano».
L’amore per il Giappone, di cui è intarsiato il suo locale, è subentrato dopo che Patrick Pistolesi ha vinto la Nikka Competition nel 2014, una competizione mondiale, la cui finale si è tenuta allo Schumann's Bar di Monaco di Baviera. Con il Raise and Shine, un twist (ossia rivisitazione) del Morning Glory Fizz, scotch sour d’altri tempi, ideato alla fine del 1800 dal famoso barman George Kappeler, Pistolesi si è aggiudicato il primo posto e un viaggio straordinario nella nuova patria dei whisky.
Il Cocktail Bar
Aperto da 8 mesi, il Drink Kong è l’appellativo che Patrick Pistolesi si è sentito affibbiare da un caro amico e che ha conservato, perché in fondo un po’ lo definisce. Grande, grosso e a prima vista burbero, è invece uno a cui piace raccontare del suo mondo e della sua vita. Il locale si trova in uno dei luoghi magici di Roma Capitale, in via San Martino ai Monti, uno slargo di via Giovanni Lanza, che unisce via Merulana con via Cavour e porta al cuore del quartiere Monti, oggi tra i più in voga della movida romana. Da questa ampia strada in discesa è possibile ammirare splendidi tramonti; e se anche il sole scompare dietro gli alberi del Palatino, la porzione di cielo che è possibile vedere ti apre comunque il cuore. Il bar in sé assembla anime diverse (come un cocktail verrebbe da dire).All’ingresso ad accogliere i clienti c’è uno spazio ampio con poche sedute, dominato da un bancone comodo con gli immancabili sgabelli. La bottigliera alle spalle con le sue 700 referenze di spirits, vermouth, mezcal, gin, rum, whisky e whiskey (all’americana per indicare i bourbon e i rye), brilla tra le luci satinate. Sulla sinistra si apre un’avvolgente sala lounge, comoda e confortevole, che ricrea le atmosfere di New York. «Ci sono luci al neon e inserti giapponesi. La gente deve entrare qui dentro e sentirsi come sul set di Blade Runner, uno dei miei film preferiti», dice Pistolesi.
Sulla destra da una porticina che sembrerebbe condurre ai servizi c’è un altro mondo. Si entra infatti in uno spazio dal carattere completamente diverso con tavoli, divanetti e un palco per esibizioni live. Qui un altro bancone, comunicante con quello dell’ingresso, consente di accedere agli spirits e alla drink list. Da questa sala si accede poi ad un corridoio alla “Tron” (il film futurista degli anni 80 di casa Disney) con videogiochi stile “arcade” e “pacman”, che cela anche il cuore del locale; una saletta in ciliegio con poche sedute, dove è possibile degustare prodotti di nicchia in totale intimità. Le persone se vogliono la possono affittare per assaggi pregiati. Qui la direzione organizza la presentazione dei nuovi cocktail e le esperienze sensoriali, definite “Cocktail Confidential". Poche settimane fa, ad esempio, si è svolta la serata di presentazione del VII Hills Italian Dry Gin con cocktail pairing studiati ad hoc che i presenti ancora si ricordano.
Le persone che entrano al Drink Kong in genere sono molto curiose. I clienti spesso sono attratti dal bancone grande e ben visibile da fuori, così come dall’atmosfera dark, ma tante volte non sanno cosa chiedere. Vanno al banco e danno indicazioni generiche su un cocktail amaro e poi, quando gli viene servito un Negroni, restano urtati e scontenti. Per questo al Drink Kong si organizzano anche dei percorsi formativi specifici. «Senza spingere troppo si fa un percorso gustativo di un’ora e mezza. Facciamo così una piccola mappa sensoriale per affrontare il bancone e far comprendere i cinque sensi della bocca: dry, bitter, sweet, sour e umami, attraverso l’assaggio di cinque cocktail differenti senza svelarne il nome», sottolinea Pistolesi.
La Cocktail List
La drink list è impostata sui colori e mette in scena un “instinct bar”, perché lascia che sia l’istinto dei clienti a guidarli nella scelta, basandosi sul colore che lo definisce in quel momento. Alla base di questa idea, un po’ filosofica e un po’ psicoanalitica, c’è il fatto che l’uomo è un milione di cose insieme. Dolce, sensuale, cattivo, vendicativo, generoso. È mille cose in una sola anima e non si è mai uguali a se stessi. Per cui il colore può indicare meglio come ci si sente e incanalare le sensazioni e le emozioni profonde verso l’esterno. Insomma, una scelta che unisce il razionale con l’inconscio. «L’89 per cento delle volte funziona. Non tutti però si lasciano andare con il gioco. Il personale di sala è bravissimo e ti mette a tuo agio. Tanta gente non si dà una chance, ma se si segue il proprio istinto poche volte si sbaglia. Le proposte in lista sono 16, ma è comunque sempre possibile chiedere il proprio cocktail preferito».
Il locale non è un ristorante. È però possibile accompagnare il beverage con un piccolo menù alla carta, studiato dallo chef Marco Morello che si è formato con Arcangelo Dandini. Per il Drink Kong ha elaborato una serie di piatti che vengono cambiati stagionalmente. Di fatto con 25 euro si può mangiare e assaporare un buon miscelato. Tra i piatti in carta attualmente c’è la Frisella al tonno rosso. La panzanella di astice alla catalana. I tacos di pollo e guacamole. I “bao”, che sono panini cinesi ripieni. Lobster roll con astice e maionese al lime e tabasco. E ancora i “dumplings”, ravioli cinesi fatti in casa al maiale o al pollo. Lo Smǿrrebrǿd danese con pane di segale. Il Pastrami da New York. Pane burro e alici del Cantabrico. Formaggi italiani e francesi. «Da noi è possibile cenare, ma deve comunque essere una cena giovane e smart. Devi venire qui non come vai da un ristorante. Tutto però è di primissima qualità».
La tendenza anche in mixology è l’attenzione allo spreco e la rivisitazione del gusto in sé con materie prime di altissima qualità. Sul primo fronte al Drink Kong tutte le carte sono eco sostenibili e riciclate. Non si usa plastica di alcun genere e non ci sono cannucce. Le uniche sono di mais ma si evita di darle. In un grande laboratorio al piano inferiore gli scarti organici vengono rifermentati, macerati, oppure utilizzati per la creazione di cordiali. Questo permette di fare buoni drink e di avere un minor impatto sul mondo. Sul secondo fronte aiutano le tecniche nuove che esaltano il gusto. Fondamentale però resta sempre l’accoglienza e il servizio da offrire ai clienti. L’attenzione è sempre focalizzata sul cliente, vitale per chi vuole operare in una città come Roma, ricca di proposte diversificate e in continuo divenire.
Le fotografie sono di Alberto Blasetti
Indirizzo
Drink KongVia San Martino ai Monti 8 - Roma
Tel. +39 06 2348 8666
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