Formaggio abbinato ai cocktail? Se si parla di Parmigiano Reggiano, ogni stagionatura sposa drink diversi. Il maestro della mixology Dom Carella ha studiato un’inedita “verticale alcolica” che gioca sui punti di maturazione, per stupire tutti i sensi (vista inclusa!)
Cocktail e Parmigiano Reggiano: gli abbinamenti di Dom Carella
Se c’è qualcuno che in questi anni ha solcato i liquidi del pianeta gastronomico, scoprendo ed esplorando terre incognite, è sicuramente Dom Carella. Uno che da un paesino di 9000 anime nella nativa Lucania è arrivato fino a Hong Kong, passando per Londra e Shanghai, dove è stato bar manager per Otto ½ Bombana e migliore barman d’Asia. “Ma io nasco cuoco. Poi è successo che a venticinque anni sono diventato intollerante al glutine e mi sono reinventato tuffandomi nel mondo dei bar, che già apprezzavo e frequentavo. Avendo una sala da ricevimenti al sud, facevo di tutto, dall’asado al sashimi, passando per le lasagne. Non sapevo neppure cosa fosse il fine dining, eppure in un certo senso era già alta cucina”.Ha così mixato una professionalità nuova di zecca, la conoscenza delle materie prime con la padronanza delle tecniche di elaborazione, in modo da oltrepassare al tempo stesso i limiti organolettici del vino e quelli della vecchia mixology. “Perché non si tratta solo di spremere un frutto o utilizzare un alimento a mo’ di garnish, come una volta, ma di cuocere in tutti i modi, infusionare, macerare e fermentare, prassi ben note in cucina. Essendo da sempre il mondo del gusto la mia grande passione, ho cercato di sdoganare sapori di ogni dove, asiatici o italiani”. Missione che persegue da Carico, locale di cui è socio a Milano, come nelle sue attività di consulente, per le quali continua a fare la spola fra i continenti, assistendo fra gli altri Mauro Colagreco, Ana Ros e Himanshu Saini.
“Per me cucina e bar viaggiano sullo stesso binario. Ma tracciando una similitudine con le arti dello spettacolo, la prima, almeno fino all’avvento del bancone, corrispondeva al cinema, con tanto backstage prima dell’opera finita; il secondo al teatro per l’estemporaneità e l’improvvisazione, che richiedono tanto backstage, ma in anticipo”. Dici cucina e pensi al made in Italy. “Avendo viaggiato tanto all’estero, ho constatato come il Parmigiano Reggiano sia qualcosa che il mondo ci invidia".
"In Asia è un paradigma dell’umami, che di solito da noi viene raccontato attraverso altri prodotti, strutturati in anni di trasformazioni. Parmigiano che può fungere a sua volta da ingrediente per cocktail: in passato abbiamo provato a infusionare il formaggio in diversi spirits, distillandoli con l’evaporatore rotante; oppure a estrarre gli oli attraverso una cottura a bassa temperatura, per poi applicare la tecnica del fat wash, congelando il grasso sottovuoto con il distillato e separandolo dopo lo scambio degli aromi”. Qui però si tratta di cocktail pairing, un approccio in fase di trasformazione, se non di rinascita.
“Nel senso che non si tratta più di affiancare al piatto un bicchiere super alcolico, adesso stiamo imparando a ponderarci. Ma per sperimentare, occorre innanzitutto aver mangiato e bevuto tanto, in modo da capire come funzionano le cose. L’abbinamento del cocktail al formaggio è un mondo sconfinato; nel caso del Parmigiano abbiamo giocato sui punti di maturazione, nel senso che col passare del tempo le sensazioni evolvono verso la maturità, si concentrano i sali e l’umami, da ‘sbilanciare’ attraverso la dolcezza”.
Sono abbinamenti costruiti perlopiù per contrasto, soprattutto sul piano delle consistenze, mentre il trait-d’union è mantenuto a livello aromatico. Il 12 mesi, per esempio, con le sue caratteristiche di lattosità, cremosità e vivacità erbacea ha ispirato a Carella un classico Paloma con tequila, lime e soda al pompelmo rosa. Dove il concetto è quello di contrastare la sensazione grassa attraverso l’acidità fruttata e la bollicina della soda, che va a pulire, con il leggero tenore alcolico del distillato che finisce di resettare il palato.
Ben diverso il 24 mesi, dal gusto e dalla mineralità importante. Qui la soluzione è un French 75 a base di limone e zucchero, Gin per la nota balsamica, a sostegno della struttura, e top up di Champagne: di nuovo bolla per mantenere il palato attivo e pulito, con la nota cheesy del metodo classico a legare e un tenore acido leggermente inferiore.
La maturazione del 48 mesi sposa invece un Adonis, altro cocktail classico imbastito su due vini fortificati. Bevuta questa più corposa per vischiosità e tono zuccherino, dove il vermouth rosso regala dolcezza, lo Sherry Fino l’ossidazione che porta avanti la bevuta, il goccio di bitter all’arancia e gli oli essenziali della scorza rinfrescano. Gli ossidativi sono del resto un matrimonio d’amore per il re dei formaggi. “Possiedono una nota magnetica, sui toni della liquirizia, che valorizza qualsiasi stagionatura. Con la possibilità di giocare sui diversi tenori zuccherini: un Marsala Vergine o uno Sherry Fino sul 12 mesi; il Semisecco o l’Amontillado sul 24 mesi; per finire con un Marsala dolce o un Pedro Ximenez sulle stagionature extralong”.
“Il 72 mesi, poi, è una vera gemma preziosa, concrezione serrata di gusto e minerali. Mi ha fatto pensare a un Negroni sbilanciato sul vermouth, con pochissimo bitter, la giusta dose di gin per il tenore alcolico e un’infusione di palo santo, legno aromatico peruviano che porta con sé note di incenso e di cocco. Quindi dolcezza, aromaticità, una rotondità da frutta essiccata e candita”.
Foto di Mattia Rossi
*Contenuto con finalità promozionali