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“È sempre la bellezza che fa innamorare”, attacca Pasquale Forte, vulcano attivo nell’incanto della Val D’Orcia, scena dal 1997 della sua seconda vita. Dopo l’high-tech, la terra, “una cura per lo spirito”. Senza rinnegare il passato: l’innovazione, il metodo scientifico, l’abitudine alla pianificazione e quel perenne domandarsi, che ha messo in valigia traslocando in cantina.Per lui è stato come tornare alle origini: a quel padre che in Calabria faceva e vendeva vino, prima di emigrare a nord. Damigiane da nerello mascalese, di cui sente ancora il profumo, frammisto alla fragranza delle olive in molitura. “Ma io ero innamorato del futuro e mi sono consacrato all’elettronica”. L’avventura imprenditoriale non è stata avara di successi, finché un giorno la passione non è affiorata dai ricordi d’infanzia. “E come avrei potuto scegliere un posto diverso da questo? La Val d’Orcia è la quintessenza della campagna. Non avevo mai visto un paesaggio simile, in nessun luogo al mondo. Cattura ad ogni curva e in qualsiasi stagione. Ho deciso di farne la mia casa, con una cantina di un migliaio di bottiglie da stappare con gli amici, parlando di cose belle”.
Non si tratta solo di bellezza, infatti, ma anche di vocazione, sua e della terra per il vino. “Sono persuaso che ogni comune di quest’area abbia le sue peculiarità positive e che le dimostrerà nel prossimo futuro, come Nuits-Saint-Georges rispetto a Gevrey-Chambertin. Non c’è solo Montalcino, che ha un vantaggio storico. Qui a Castiglione d’Orcia il suolo presenta calcescisti fessurabili, il gusto cambia e guadagna in finezza ed eleganza”. E il riferimento alla Borgogna non è casuale: “Per me è un modello: ci vado ogni anno e ho tantissimi amici. Ammiro la loro capacità di esprimere il territorio, quei climats che non a caso sono diventati patrimonio Unesco”. Tanto che nel prossimo futuro potrebbe esserci anche un bianco.
A proposito di parcelle, applicando il metodo scientifico che gli era familiare, Pasquale Forte nel 2004 ha iniziato la zonazione dei suoi 500 ettari, certificati in biodinamica dal 2011: “Così abbiamo classificato i suoli e abbiamo scoperto che ce ne sono alcuni particolarmente vocati per le bollicine, a causa della composizione chimico fisica e biologica, perché sono ricchi ma drenanti, hanno l’altitudine e l’orientamento indispensabili alla freschezza. Abbiamo avviato qualche vinificazione pilota e convertito qualche vigna, ma non abbiamo ancora finito. Ho i miei tecnici, in vigna e in cantina, ma mi piace conoscere per poter intervenire in ogni fase”.
Ed è così che Pasquale si appresta a trascorrere il Natale doppiamente con i suoi, visto che ha dedicato le bollicine alle figlie Asya e Ada, rispettivamente di 11 e 9 anni. Il primo da pinot nero trascorre 10 anni sui lieviti. “E ogni volta che lo assaggio dico: wow! Che grandiosità, quanta bellezza. È un vino complesso che ti fa sognare”. La prima uscita è stata nel 2013, ma adesso è in vendita la 2010, un tripudio di fragoline di bosco, pompelmo rosa e miele di corbezzolo, dalla mineralità lunghissima.
Ada invece è uscito per la prima volta nel 2019 e di anni sui lieviti ne trascorre 5. “Ed è la dimostrazione che il sangiovese può essere un grandioso vitigno da spumantizzazione. La 2005 è fragrante, croccante, verticale, bellissima. Ma stiamo ancora migliorando, ogni annata è diversa grazie alla conoscenza e all’esperienza. E nonostante ciò che attraversiamo, la 2020 è stata una vendemmia fantastica”.
Le basi sono entrambe vinificate con lieviti autoctoni, con l’aiuto del professor Vincenzini dell’Università di Firenze, e in acciaio, ma si prospetta qualche passaggio in legno grande nel prossimo futuro. Champagne di riferimento? “Non vogliamo assomigliare a nessuno, piuttosto raccontare questa terra in un modo diverso. Ma se devo fare nomi, penso a un P2 Dom Pérignon o a Selosse. Le nostre sono bollicine che si prestano alla meditazione con qualche amico. Un abbinamento eccezionale sono i crostacei, oppure due fette di prosciutto dei nostri maiali, che facciamo preparare da Massimo Spigaroli. Anche in un anno come questo possiamo restare umani: finché abbiamo la possibilità di festeggiare e stare vicini, la nostra umanità non è persa”.