Mondo Vino

Domaine Leroy, storia dell'eccellenza assoluta dei pinot noir di questo pianeta

di:
Roberto Mostini
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leroy domaine

La Storia

Dice l'oroscopo e lo zodiaco: "profilo dei pesci. I nati del segno sono emotivi, sensibili, intuitivi, facilmente influenzabili, vulnerabili e incapaci di programmare e seguire una precisa direzione di comportamento". Quasi tutto sbagliato se riferito a questa donna esile come un fil di ferro nata sotto il segno dei pesci.

Che cosa rappresenta la famiglia Leroy nella storia della Borgogna vitivinicola? Semplicemente l’eccellenza. Il riferimento. Il Faro che illumina un territorio: la Cote D’Or, da un estremo all’altro.


Ogni volta che entravo nella dimora storica dei Leroy, in Rue du Pont Boillot ad Auxey Duresses, avvertivo una sensazione emotiva complessa. Una somma di emozioni provocate dall’apparente semplicità del contesto, il sobrio lusso, la storia ostentata, la riservatezza dell’accesso, la gentilezza degli impiegati e un cane che scende dalla sua poltrona ottocentesca per leccarmi le mani. Il Generale Patton. Questo in sintesi il tono e il carattere dell’ambiente mai mutato dalla morte del grande Henri Leroy.

La modernizzazione è occultata, o comunque celata con discrezione fra le trame fitte della storia.  Come il progresso qualitativo dei vini della costellazione Leroy, che danno sempre la sensazione di essere usciti da un epoca diversa rispetto ad altri, perché profondamente radicati al proprio territorio d’origine, ma civilizzati sapientemente e resi fruibili per il massimo del piacere che può donare un vino.


Henri Leroy, innanzi tutto fu imprenditore di successo già prima della seconda guerra mondiale, avendo dato seguito generazionale all’impresa di famiglia: Negociant du Vins.  L’avventura nel mondo dei vini di grande qualità iniziò grazie all’occhio lungo di questo commerciante, che nella seconda metà degli anni 30, appena avuta una figliola (Marcelle), si interessò al possibile acquisto di un Domaine di prestigio caduto in disgrazie finanziarie, di cui lui stesso era cliente affezionato: il Domaine de La Romanèe Conti .

Per il bene di tutti noi che amiamo i grandi vini di Borgogna, l’operazione andò a buon fine, anzi, anche ben oltre ogni aspettativa. Leroy sistemò i conti fallimentari DRC e sistemò lo statuto societario creando una Societè Civile, evitando così i probabili  frazionamenti futuri dei terreni  per ricaduta di eredità, così come accadde e accade in quasi tutte le grandi famiglie borgognone. Oltrepassò la guerra e riportò ai fasti dovuti il Domaine più prestigioso del pianeta.


Con il socio (Villaine) e con l’inserimento nel 1954 delle due figlie in società, Marcelle e Pauline, la squadra era pronta per consolidare il blasone della Romanèe Conti. Ho avuto la fortuna di bere diversi vini degli anni 80 del Domaine, gli anni della gerenza dell’ormai matura Marcelle, conosciuta nell’universo vinicolo come Madame Lalou Bize Leroy. Vini con un anima, solo provenienti da Grand Cru, di estrema eleganza non ostentata, vellutati e profondi, di piacevolezza eterea, di persistenza inaudita e sfaccettati di mille toni floreali ma distinti  tra i diversi "terroir" di Vosne Romanèe.

Turbolente situazioni commerciali, con entrate e uscite di capitali giapponesi e ardite scelte sul mercato americano, portarono all’uscita di scena di Lalou Leroy dalla Romanèe Conti, anche se un pezzo di famiglia vi rimase ancorato, avendo la sorella Pauline sposato Henri Roch, socio di Villaine. Un esempio dei tanti incroci di famiglie borgognone dove i medesimi cognomi si accavallano all’infinito , sbriciolando le proprietà dei terreni. Ma non alla DRC, in quanto solidamente bloccati dallo statuto societario pensato da papà Henry!


Uscita dalla DRC, Madame Lalou si mise all’opera per acquistare un insieme di prestigiosi Terroir che rispecchiassero il più possibile la vera anima dei diversi comuni e dei diversi cru della Cote D’Or. Il suo sogno non troppo nascosto? Rivaleggiare a pari livello con la produzione DRC. E in particolare, riuscire a produrre un vino migliore di quello proveniente da La Tache.

Un terroir d’elezione che glielo poteva consentire lo identificò con certezza: Richebourg! Degustatrice impareggiabile, la più esigente e la più sapiente di Borgogna, realizzò il suo sogno. Assaggiare oggi un Richebourg Leroy è esperienza mistica per ogni appassionato.  L’applicazione quasi integralista della Biodinamica, le rese infime in vigna, il savoir faire in cantina, la lunghissima esperienza maturata negli anni, hanno portato ad una visione architetturale del sapore e del profumo che ogni cru può esprimere. Preziosi valori propri ad ogni cru, imprigionati dentro ogni bottiglia.

Non importa se prodotti in poche centinaia di pezzi, o in poche migliaia per gli appezzamenti più grandi, comunque grandi vini identificativi di una filosofia che si esprima coerentemente ad ogni stadio, ad ogni età del vino.


Nove Grand Cru, dove ogni peculiarità è scolpita: Corton-Charlemagne (l’unico bianco Grand cru), Corton-Renardes,  Richebourg, Romanée-Saint-Vivant, Clos de Vougeot,  Musigny,  Clos de la Roche, Latricières-Chambertin, Chambertin. Dalla potenza inaudita di un Corton Renardes al ricamo gentile di Musigny. Ancora un bouquet di fiori per Romanèe St.Vivant, oppure  un virile e complesso Chambertin. Otto i premier cru, due in Cote de Beaune: Volnay-Santenots Les Santenots du Milieu e Savigny-les-Beaune Les Narbantons, e sei in Cote de Nuits: Nuits-Saint-Georges  Les Vignerondes, Nuits-Saint-Georges Les Boudots, Vosne-Romanée Aux Brûlées, Vosne-Romanée Les Beaux Monts, Chambolle-Musigny Les Charmes, Gevrey-Chambertin Les Combottes.

Ma è sui cru village, sui lieux dits, che salta all’occhio la differenza con la concorrenza. Vini di una piacevolezza estrema ed immediata  come il Vosne Genaivrieres e lo Chambolle Fremieres, affiancano cavalli di razza come il Pommard Vignots o le singole espressioni di diversi terroir di Nuits St.Georges.

L’altro bianco del Domaine deriva dall’umile cepage Aligotè, spesso relegato al ruolo di bianchetto da osteria da mischiare con liquore di Cassis per farne un modesto kir-cassis, quello targato Leroy è in grado invece di esprimere eleganza e finezza inusuale per la tipologia.


Si tratta della massima espressione complessiva odierna in Borgogna sul tema del pinot noir. E i prezzi, spesso scoraggianti sui premier cru e grand cru, possono inizialmente far tremare i polsi, ma alla fine di ogni degustazione nessun pentimento offusca la mente, ma con gli anni e le turbolenze dei mercati emergenti, qualsiasi bottiglia etichettata Domaine Leroy è diventata quasi intoccabile.

N.B ricordarsi sempre che i vini del Domaine hanno la capsula rossa - in ceralacca- mentre quelli "da negociant" ce l'hanno bianca, ma comunque costano una follia, anche perché la collezione può vantare uno stock risalente fino ad un secolo fa, facendoli diventare vini da anniversario.

Wine Reporter

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