Dalla ventricina nel nuovo ristorante stellato di Tivoli al soufflé di una storica insegna amalfitana: i piatti-rivelazione da assaggiare nel 2026 secondo Michelin.
C’è una certa elettricità quando un piatto non si limita a convincere, ma rimane. Non è solo tecnica o estetica: è quella strana alchimia che porta gli ispettori — ormai immuni alla maggior parte dei colpi di scena — a trattenere il respiro prima di annotare un giudizio. La nuova Guida MICHELIN Italia 2026, oltre a distribuire stelle e consacrare talenti, mette in luce cinque creazioni che hanno avuto la forza di incidersi nella memoria con la precisione di un graffio ben calibrato. Sono piatti che raccontano territori e visioni, ma soprattutto la direzione in cui si sta muovendo la cucina italiana: essenziale, consapevole, smisuratamente identitaria.
Al Madrigale | Nuova Cucina Rurale – Tivoli

Servizio del pane e amuse-bouche alla ventricina
Al Madrigale (l'abbiamo appena recensito qui) ha conquistato la sua stella e il titolo di opening of the year con un gesto che sembra umile e invece nasconde una trama gastronomica complessa: il pane. Un ingresso teatrale, ma non ostentato, costruito su farine di grani selezionati, diverse tipologie e gradi di macinatura, lievito madre e una struttura che racconta giorni di cura paziente. Va al tavolo ancora caldo, come se arrivasse da un forno domestico e non da una brigata di fine dining. Il sapore, pieno e stratificato, rivela note aromatiche nitide, mentre il burro di bufala arricchito da colatura di alici fa vibrare il contrasto tra intensità marina e dolcezza lattica. A sigillare il servizio, l’olio extravergine locale che aggiunge un profilo territoriale deciso, quasi una firma a margine. Poi arriva la ventricina fatta in casa — carne di pecora, speziatura trattenuta, salatura calibrata — e qui il racconto cambia tono, perché ciò che sembra rustico diventa un assaggio di sorprendente eleganza. La focaccetta passata alla brace diventa il supporto ideale per un impasto che sfiora la dolcezza, costruendo un boccone che vibra per la sua grassezza misurata, la sua memoria antica resa contemporanea, la sua capacità di tenere insieme tecnica e nostalgia. È uno di quei momenti in cui gli ispettori capiscono che il ristorante non sta solo servendo cibo: sta raccontando un’origine.
Abba – Milano

Fiori di zucchina e mandorle
A Milano, la nuova stella di Abba si manifesta attraverso un piatto che dissolve ogni superfluo per lasciare spazio alla purezza. Fiori di zucchina e mandorle: niente virtuosismi, niente sovrastrutture. Il cuore è un gazpacho di mandorle ottenuto dall’estrazione dell’acqua, un liquido lattiginoso, etereo e allo stesso tempo deciso, regolato solo da olio e sale. Le lamelle di mandorle fresche affiorano come dettagli di un’architettura essenziale, mentre l’olio di fico introduce un carattere più pieno, quasi carnoso, che spezza la delicatezza senza sopraffarla. I fiori di zucchina, divisi a metà e sfiorati dal vapore, mantengono quella fragilità vegetale che nessuna cottura può ricreare artificialmente. Il risultato è un gioco continuo tra sapidità ed erbaceo, tra intensità e leggerezza, tra rigore e morbidezza. Un piatto vegetale che non chiede attenuanti né paragoni, perché ogni ingrediente si percepisce con una limpidezza disarmante. È un gesto di sottrazione che diventa ricchezza, un manifesto di cucina contemporanea che gli ispettori hanno riconosciuto senza esitazioni.
Famiglia Rana – Oppeano

Scampo tra Varanasi e Hong Kong
A Oppeano, la Famiglia Rana — nuovo Due Stelle — costruisce una delle prove più scenografiche e cosmopolite della selezione 2026. Lo scampo, di dimensioni importanti e qualità impeccabile, viene marinato nel grasso di manzo e cotto con una velocità chirurgica per preservarne la dolcezza. La superficie brilla di dettagli calibrati al millimetro: caviale Beluga prodotto in esclusiva per la famiglia, gel al lime, piccole verdure fermentate con una precisione quasi zen. È un mosaico che non vuole stupire con la quantità, ma con la perfezione delle proporzioni. Sotto, due salse che sono più che salse: sono geografie. Una porta verso l’Oriente con profumi puliti e profondi, l’altra — una schiuma — guarda all’India con un curry verde luminoso, fresco, aromatico. Prima di affrontare l’altra metà del piatto, arriva un marshmallow ghiacciato al lime, una deviazione studiata per pulire il palato e prepararne la percezione. Solo allora si passa alla tartelletta di riso soffiato che accoglie il granchio reale al naturale, servito con eleganza sul suo carapace, come un omaggio alla sua essenza più pura. La costruzione è complessa ma scorrevole, audace ma disciplinata. È un viaggio che attraversa culture e consistenze, senza mai perdere di vista l'equilibrio. Gli ispettori hanno parlato di suggestioni internazionali, di tecnica e raffinatezza: tre parole che descrivono perfettamente la filosofia del ristorante.
Zunica 1880 – Villa Corallo, Sant’Omero

Agnello steccato alla liquirizia e albicocche
A Sant’Omero, Zunica 1880 interpreta la carne come fosse un piccolo racconto in forma solida. L’agnello arriva come un involtino compatto, tenerissimo, tenuto insieme da uno stecco di liquirizia che non è solo sostegno scenico ma parte integrante dell’aroma. È un piatto che mette al centro la materia prima senza ridurla a cliché pastorale, perché il fondo — denso, ricco, profondo — aggiunge una dimensione quasi vellutata al morso. La liquirizia si fonde con la riduzione di albicocche, creando una curva aromatica che passa dal dolce alla balsamicità con un passo lento ma deciso. L’albicocca intera, privata del nocciolo, marinata e poi bruciata, libera profumi intensi e tocca una nota affumicata che accompagna la carne senza oscurarla. La presentazione è pulita, elegante, studiata per esaltare ciò che davvero conta: la qualità della carne locale e la capacità di trasformarla in un piatto di grande personalità. È uno di quei momenti in cui la cucina di territorio dimostra che non ha bisogno di stereotipi per essere alta cucina.
La Caravella dal 1959 – Amalfi

Soufflé al Limone di Amalfi
Ci sono dolci che diventano simboli di un luogo più di una cartolina. Il soufflé al Limone di Amalfi, star indiscussa della storica Caravella, continua a sedurre gli ispettori MICHELIN, che lo hanno premiato come passion dessert 2026. Non è un dessert: è un’apparizione. Si presenta vaporoso, quasi sospeso, con una leggerezza visiva che anticipa quella gustativa. Il profumo del limone si apre come una porta sui giardini mediterranei, con quella luminosità aromatica che solo Amalfi può regalare. Al palato è puro volo: etereo, impalpabile, ma capace di esplodere in note agrumate vibranti, fresche, intensissime. La dolcezza non stanca mai, l’acidità non aggredisce, il ritmo del gusto cresce senza perdere finezza. È un dolce che chiede lentezza, attenzione, pieno abbandono. L’ultima cucchiaiata arriva sempre troppo presto, e forse è proprio questo il segreto della sua irresistibilità.