Il giornalismo americano demolisce lo storytelling di Blue Hill at Stone Barns, paradiso di una sostenibilità di facciata. Sotto accusa l’ambiente di lavoro tossico, i salari, gli orari e le false narrazioni sui piatti.
L'inchiesta
La stampa americana continua a fare il suo mestiere, anche quando di mezzo c’è qualche star chef. Dopo Daniel Humm e le sue promesse disattese, è il turno di Dan Barber e di Blue Hill at Stone Barns, considerato il ristorante più sostenibile del mondo, ubicato in una fattoria dei Rockefeller. Barber è da sempre un paladino del movimento ecologista, al punto da essere stato ribattezzato il “profeta del suolo”.Nelle sue parole esiste una coincidenza perfetta fra gusto, ambiente e salute: attraverso il suo modello, sarebbe possibile promuovere un diverso stile di alimentazione, in simbiosi con i produttori locali. Ma le cose stanno davvero così? Per scoprirlo Eater ha indagato senza sconti per 19 mesi, consultando 70 testimoni e studiando centinaia di documenti, senza che Barber concedesse una replica, se non tramite portavoce.
L’inchiesta prende le mosse da un presunto assalto sessuale, consumatosi nel novembre 2013 ai danni del ventiduenne John Schaible da parte di un membro dello staff durante una festa ad alto tasso alcolico, senza alcuna presa di posizione apparente da parte del ristorante e del suo chef. Ma dalle testimonianze degli ex dipendenti emerge in generale un quadro ben diverso dalle aspettative: si parla di un’atmosfera insostenibile e di scoppi d’ira fra cuochi in lacrime. La narrativa di un ristorante che trasforma il mondo sarebbe quanto di più posticcio.
Stone Barns non è solo fine dining: tutto è cominciato nel 2004 da un centro non profit per il cibo e l’alimentazione, attivo nella formazione e nella produzione, al cui servizio, anche finanziariamente, si è posto il ristorante. Dan Barber all’epoca aveva già compiuto dense esperienze con Alice Waters, la sua famiglia mandava avanti una fattoria in Massachussets: era insomma l’uomo giusto per la rivoluzione “contadinocentrica”. E di fatto il successo è stato perentorio, nelle guide come nelle classifiche, mentre i prezzi si impennavano per quello che non era semplicemente cibo, ma un gesto politico, capace di rimodellare la cucina e la società americana.
Difficile crederci, se le condizioni di lavoro restavano ottocentesche, con orari di 70 ore a settimana, salari minimi e scarso rispetto per il personale, sottoposto a umilianti sfuriate. “Stiamo imparando a sottopagare la gente, rendere insano il lavoro delle persone e operare secondo una gerarchia di cucina francese, dove gridiamo quando siamo nervosi?”, si sono chiesti in molti. Tanto che non sono mancate le rese dei conti nelle sedi legali: nonostante nel 2018 il salario minimo a New York fosse stato alzato a 15 dollari, nel ristorante continuò ad aggirarsi fra 12 e 13. Blue Hill fu perfino condannata a pagare 2 milioni di dollari per chiudere un procedimento nel 2017.
Secondo il portavoce, tuttavia, attualmente la paga oraria sarebbe regolare né ci sarebbero stagisti non retribuiti. Gli orari inoltre sarebbero diversi da quanto testimoniato, in quanto non tutte le ore sarebbero destinate al lavoro, ma anche all’apprendimento e al volontariato. Dopo la riapertura nel 2021, il numero di coperti sarebbe calato e sarebbe stata abolita la turnazione dei tavoli, consentendo al personale di ritirarsi prima. Dan Barber, dal canto suo, ha riconosciuto di aver ereditato dai suoi maestri francesi un temperamento di cui non va orgoglioso.
Ma lo storytelling è demolito nei minimi dettagli: il forno a compost, per esempio, sarebbe stato una finzione. Il vero cibo era preparato in comunissimi Roner e poi inscenato a dovere. Non tutti gli ingredienti arrivavano dai fornitori menzionati e non erano necessariamente sconditi, come i cuochi erano tenuti a professare. Inoltre, capitava spesso che vegetariani e vegani ricevessero piatti inadeguati, nonostante le rassicurazioni. Menzogne che in cucina pagano, qui e altrove.
Fonte: Eater
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Foto: Crediti Blue Hill at Stone Barns