Autodidatta, profondamente legato alla cucina italiana e ai suoi interpreti – in particolare Emanuele Scarello di Agli Amici a Udine – Simo Komel gestisce anche l’enoteca all’interno del castello, dedicata ai vini carsici italiani e sloveni. Un ulteriore tassello che rafforza l’idea di Grad Štanjel come luogo di incontro, dove la cucina non è mai isolata, ma dialoga con il paesaggio, con la storia e con le persone che lo abitano.
La storia
L’ingresso a Štanjel non ha nulla di spettacolare nel senso contemporaneo del termine, e forse è proprio questo il suo primo gesto di seduzione. Si sale a piedi, lentamente, lungo una breve strada che sembra voler filtrare lo sguardo e il passo, come se il borgo chiedesse attenzione prima ancora di concedersi. Le mura medievali, la pietra carsica che riflette una luce asciutta, i tetti bassi e il silenzio che non è mai vuoto preparano il terreno a un racconto che parla di stratificazioni, memoria e misura. Dentro questo scenario, che ha attraversato secoli senza mai diventare scenografia, prende forma l’esperienza del Grad Štanjel Restaurant & Lounge, guidato dalla famiglia Komel e dalla cucina di Simo Komel, chef autodidatta dalla mano elegante e dalla visione sorprendentemente lucida. Štanjel è uno dei più antichi insediamenti del Carso sloveno, costruito a terrazze sulla collina di Turn, un organismo compatto dove architettura, natura e vita quotidiana continuano a dialogare senza forzature. Il castello medievale, le torri difensive, la Chiesa di San Daniele con il suo campanile a forma di limone, le strade che custodiscono le case carsiche più antiche e il celebre Giardino Ferrari, progettato tra le due guerre da Maks Fabiani con un sistema idrico allora avveniristico, compongono un paesaggio culturale che oggi vive una nuova stagione. Gallerie, spazi museali, eventi e botteghe mantengono vivo lo spirito del luogo, trasformandolo in un centro culturale attivo, lontano dall’idea di borgo cristallizzato.

All’interno del castello, il ristorante si muove con discrezione e coerenza. Toni pastello, musica di sottofondo mai invadente, una vista che si apre sulle colline carsiche e una cura del servizio guidata da Gaja Komel restituiscono un’eleganza misurata, fatta di dettagli pensati e di un ritmo che invita a restare. In estate il grande cortile esterno diventa parte integrante dell’esperienza, mentre nei mesi più freddi una sala dedicata accoglie gli ospiti con la stessa attenzione. L’impressione è quella di un luogo che non cerca di stupire, ma di accompagnare, lasciando che sia la cucina a raccontare il territorio.

«La mia cucina è espressione del territorio, di quello che mangiavano già i nostri nonni, ed è parte della cultura locale», racconta Simo Komel alla Michelin, definendo con poche parole una filosofia che evita dichiarazioni altisonanti. Il Carso, spiega lo chef, è storicamente legato al mare, ed è per questo che sulla sua tavola convivono piatti di terra e di mare, talvolta anche nello stesso piatto, senza mai la necessità di separare le due anime in menu distinti. «Per me rappresentano un’unica narrazione di questi luoghi», aggiunge, chiarendo come la cucina diventi strumento di continuità più che di rottura.Il menu segue il passo delle stagioni e del mercato quotidiano, cambiando costantemente, con l’eccezione di un gesto che apre ogni esperienza e che racconta molto dell’approccio di Komel. Un piccolo bicchiere di olio extravergine di Gregor Lisjak, accompagnato da sale di Pirano e da un’oliva, arriva in tavola come benvenuto. «Un tempo anche qui c’erano molti ulivi», spiega lo chef, «e da circa quindici anni la loro coltivazione sta riprendendo. Mettere l’olio al centro del piatto, come fosse una portata, significa dargli importanza e renderlo parte integrante della degustazione». Un atto semplice, ma profondamente simbolico, che riporta l’attenzione su un ingrediente spesso relegato a contorno.

La cucina di Grad Štanjel si muove con naturalezza tra il pescato dell’Adriatico e le carni del territorio. In carta possono comparire rombo, branzino di Fonda, orata, gamberi e scampi, accanto a carni che seguono il calendario stagionale: manzo e vitello in primavera ed estate, selvaggina nei mesi più freddi – cinghiale, cervo, fagiano, lepre – fino al maiale, elemento centrale della tradizione locale. I piatti raccontano questa ricchezza senza sovrastrutture: il Filetto di cervo con purè di cipolla e frutti di bosco gioca su profondità e acidità, mentre il Mosaico di collo di maiale avvolto in pancetta, con carbone vegetale, crumble di pelle di maiale disidratata, purè di sedano rapa e spuma di barbabietola, dimostra una capacità tecnica che resta sempre al servizio del gusto. I Ravioli ripieni di stomaco di pollo, adagiati su una crema di latte e aglio e su una di prezzemolo, raccontano invece una cucina che non ha paura di lavorare con tagli meno nobili, trasformandoli in piatti di grande eleganza. Attorno a queste preparazioni ruota un ecosistema gastronomico che coinvolge artigiani e produttori del territorio. Il pane firmato Pedja Kostić da Trieste, il formaggio di vacca Jamar di Zidarič, protagonista anche in un piatto di melanzana e pomodoro, il gin della distilleria slovena Brin servito con sorbetto al Terrano, vino che accompagna anche il dessert a base di pera cotta nel suo stesso liquore, gelato di pera, crumble alla cannella, uvetta al Terrano e noci caramellate. Ogni elemento trova posto senza forzature, come parte di un racconto condiviso.

Emblematica resta la zuppa cremosa di mais con zenzero, peperone rosso arrosto, panna acida fatta in casa e chips di polenta, piatto che sintetizza l’anima del Carso, così come il prosciutto Q Komel, prodotto direttamente dalla famiglia. Il legame con la tradizione è personale e profondo: il nonno, nella valle del Vipava, era un macellaio esperto, e la lavorazione del maiale faceva parte della vita quotidiana. Oggi la famiglia produce circa cento prosciutti crudi all’anno, oltre a salami e pancette, pensati principalmente per il ristorante. I prosciutti, stagionati tra i due e i quattro anni, compaiono spesso come fuori menu; tra questi, uno stagionato 81 mesi, il più longevo mai prodotto, rappresenta un vero manifesto di pazienza e cura. Autodidatta, profondamente legato alla cucina italiana e ai suoi interpreti – in particolare Emanuele Scarello di Agli Amici a Udine – Simo Komel gestisce anche l’enoteca all’interno del castello, dedicata ai vini carsici italiani e sloveni. Un ulteriore tassello che rafforza l’idea di Grad Štanjel come luogo di incontro, dove la cucina non è mai isolata, ma dialoga con il paesaggio, con la storia e con le persone che lo abitano.

Sedersi a tavola qui significa entrare in un racconto che procede senza fretta, fatto di gesti misurati e di scelte coerenti. La sensazione è quella di una cucina che non cerca definizioni, ma lavora per sedimentazione, lasciando che il Carso parli attraverso i piatti, la pietra, l’olio e il vino. Un’esperienza che restituisce al fine dining una dimensione umana e territoriale, capace di restare impressa senza bisogno di alzare la voce.