La tradizione senza nostalgia: i tempi variano, dall’antichità greco romana alle tecniche contemporanee, passando per cotture ancestrali da tutta Italia; mentre lo spazio con la sua reversibilità detta legge in quello che è un grande Luogo della cucina panitaliana.
Il Lugo di Aimo e Nadia
La storia
Cannelloni, zuppe di legumi, spaghetti alla cipolla. Sembrerebbe impossibile, eppure questa è cucina concettuale, e da sessant’anni compiuti. Non è solo la piacevolezza rassicurante, l’aura comfort di un cibo per tutte le età e tutte le culture, il punto di forza di Aimo e Nadia. Dove piuttosto alberga la forza gentile del concetto con le sue inesauribili risorse. Parliamo di cucina “panitaliana”, di una “fusion” sui generis costruita un tassello dopo l’altro, camminando il paese. Prima da due toscani trapiantati a Milano, poi, su quel piede franco, da due giovani chef, uno del nord, l’altro del sud, che hanno teso ulteriormente l’elastico, mandando a segno la freccia.
Alessandro Negrini e Fabio Pisani, provenienti rispettivamente dalla Valtellina e dalla Puglia, con tanto estero e l’incontro Dal Pescatore alle spalle, hanno assunto il ruolo di chef nel 2005, per poi diventare titolari del Luogo nel 2016. Da quel momento è iniziata un’espansione che forse non si è ancora fermata: nel 2017 è arrivato il bistrot con Rossana Orlandi, nel 2018 la ristrutturazione dei locali e l’apertura di Voce.
“Ma la nostra cucina non è cambiata, perché la visione era già condivisa. Certo uno chef imprenditore deve gestire più cose e coltivare più obiettivi, amministrando il lusso e i suoi costi. Ci siamo organizzati in modo rigido: io seguo la logistica e la comunicazione, Fabio gli acquisti e i rapporti con i partner, Stefania Moroni l’amministrazione. Abbiamo un CDA e oltre novanta dipendenti, fra cui gli chef degli altri due locali, Sabrina Macrì e Lorenzo Pesci”, spiega Negrini.
Poi ci sono due fuoriclasse: il direttore di sala Nicola Dell’Agnolo, colonna portante del progetto dal 2015 (“a volte lo bacchettiamo per l’old style lontano dalle mode, un po’ british, che piace per la sua educazione”) e il sommelier Alberto Piras (“uno che è stato campione d’Italia, ma continua a studiare”), entrambi in carica per l’intero gruppo.
La cucina
In questi anni i capisaldi dei fondatori, come l’epocale spaghetto al cipollotto e la zuppa etrusca (ecco la ricetta), non sono stati archiviati, ma smistati fra i menu; a permanere, tuttavia, è soprattutto la filosofia. “Come cantava Vasco, i piatti nascono come i fiori, spontaneamente, da una commistione di ingredienti che ognuno in cucina può portare. Alla fine, il risultato è un’unione di territori. Perché per dirla con Aimo, la cucina italiana non è una, ma almeno cento. La sfida è restare innovativi all’interno di questi schemi: una cucina italiana contemporanea, terreno di continue sorprese fra cui camminare. L’Italia è stata invasa tante volte, significa che possiamo trovare le contaminazioni dentro noi stessi. Invece certi piatti sono diventati appannaggio delle trattorie, senza che nessuno si preoccupasse di affinarli. Per noi significa cambiare tutto per non cambiare nulla, in un locale che spero andrà oltre me e Fabio”.
I menu sono tre (quattro in stagione di tartufo bianco): Orto, Percorsi d’autunno e Territori, rispettivamente a 220, 240 e 280 euro, ma è possibile usarli come carta da cui pescare a piacimento rivolgendosi al maître. Alla carta dei vini presiede dal 2014 Alberto Piras, che ha tenuto dietro alla crescita del gruppo e del Luogo. “La nostra selezione è fatta di ricerca e passione, blasoni e nicchie, con annate correnti e affondi nel tempo. Le referenze sono oltre 1200, con focus identitario su nebbiolo, pinot nero, bianchi maturi e scelte per ogni gusto e ogni tasca”.
Ma è stato predisposto anche un pairing di succhi con Giulia Caffiero, ex del Luogo ora in forze al Geranium, per la crescente domanda soprattutto straniera di abbinamenti analcolici. “Lo sforzo è quello di replicare il lavoro compiuto sul vino, abbinando per esempio allo spaghetto non lo Sherry, ma una riduzione di mele cotogne al forno con fieno cotto, dove ritroviamo la stessa dolcezza, acidità e un fumé effetto botte”. Il menu Territori è forse il più avanzato, nel suo tentativo di abbattere una delle ultime frontiere della ristorazione, quella fra cuoco e produttore.
“Io e Fabio abbiamo voluto codificare prassi da sempre in auge presso questo indirizzo, famoso per il suo integralismo sulla cucina italiana e sulla materia prima, ma ancor prima sulle origini”, riprende Negrini. “Aimo parlava di fagioli di Sorana e di funghi dell’Appennino Tosco-Emiliano, ma non era mai generico, raccontava persone e territori. Su questo abbiamo creato un metodo di lavoro, attraverso un codice".
"Ogni ragazzo in cucina viene dotato di un book in materia. Lavorando su un ingrediente, si raccolgono le informazioni disponibili, poi si contatta il fornitore e ci si reca in visita, in modo da acquisire notizie ulteriori. Per esempio, che le noci del Bleggio si mangiavano anche germogliate e dal loro mallo si traeva una farina di sussistenza. Vengono condivise e inizia la fase creativa, che poi torna dal produttore, messo a parte delle scoperte compiute. In questo modo possono nascere prodotti nuovi, per esempio Fausto Guadagni prepara in una conca per noi un lardo fuori dal disciplinare di Colonnata, senz’aglio, ma al limone, delicatissimo sul pesce. Magari un giorno arriveremo noi stessi a produrre qualcosa, stiamo già lavorando all’aceto".
"In questo modo coinvolgiamo tutta la brigata, anche sulle attrezzature, la storia e l’antropologia. Nello stesso tempo cementiamo i rapporti con fornitori, che talvolta rischierebbero l’estinzione. Tutti parlano di sostenibilità, che però è un concetto più vasto dell’accezione comune. Nel senso che sustainable è il pedale che prolunga la nota, qualcosa che porta durata”.
I piatti
L’accordatura arriva subito dal sincretismo della Trota salmonata con lardo di Colonnata e cialda di ceci, abbraccio fra la toscanità dei fondatori e le origini disparate dei due chef, che porta con sé i sentori fondamentali della cucina italiana: sapidità, amaro e acidità. Con una predilezione per gli ingredienti modesti, più che umili, secondo gli insegnamenti di Aimo, per il quale non bisognava fare piatti ricchi, ma arricchire la povertà.
Le alici di Camogli, appena marinate al sale, rievocano il carpione attraverso una nuvola di succo di cipolla e aceto, gelificata e montata a meringa, più i pinoli di San Rossore per il balsamico.
Carpione di alici di Camogli con pesto di noci del Bleggio e lardo di colonnata al limone di Sorrento - Basque Culinary Center
Ingrediente pigliatutto è anche il Cardo gobbo di Nizza Monferrato, cotto gentilmente per la massima integrità e servito con crema di aglio, profumo fondamentale della cucina italiana, essenza di alloro e nocciole.
Cardo gobbo di Nizza Monferrato con pesto di noci del Bleggio e crema di latte Salvaderi all’aglio
La lenticchia è per Negrini la regina dei legumi per la sua finezza. La cuoce in forno nel lavec e la serve col pesce in shabu shabu di acqua salata, per il classico binomio italiano, più un giro di extravergine da coratina che è già salsa. Ma i più fortunati possono trovare in stagione i deliziosi allievi, seppie neonate arricciate nel ghiaccio come polpi, con i tentacoli semicrudi, i corpi farciti di stoccafisso mantecato senza latte, con la gelatina estratta da pelle e vescica natatoria, cime di rapa e limone. Una semplicità entusiasmante per un caleidoscopio di testure. L’Uovo di selva è servito con i gamberi, secondo un abbinamento antichissimo, più zafferano e carciofo; viene abbinato per concordanza a un Riesling della Mosella di 25 anni, che prosegue la tendenza dolce e sposa il vegetale di un ortaggio ostico, mitigandone l’amaro.
Uovo di selva con gambero ‘viola’ del Mar Ligure, zafferano di San Gavino e misticanza del Monte Barro
Segue la Triglia all’unilaterale, con la pelle ricostruita da pasta di cicerchie e sesamo di Ispica, la scamorza affumicata che trasmette energia e una salsa che è la vera protagonista del piatto, intensa grazie all’emulsione di fegato. Per una volta l’abbinamento non è un vino, ma un tè giapponese che viene affumicato in botti di whisky, in modo da riprendere la nota del piatto.
“Stiamo lavorando alla produzione di una nostra pasta, da grani della Basilicata. E sarà un fusillone”. Nell’attesa, questo è condito con un pesto di rucola e noci del Bleggio, simil genovese; crema di patata cotta come una volta in Puglia, nei forni comuni con pomodoro e aromi, tipo tiella nel coccio senza pesce, frullata e montata al sifone per arrotondare; acetosella da foraging e un graffio di rosa marina, condimento antico a base di neonata di triglie, sale e peperoncino, già appannaggio dei nobili calabresi.
Fusilloni di Matera con pesto di ruchetta e menta, ‘rosa marina’ di Franco Saliceti e morbido di patate della Sila
Il Doppio raviolo di stracotto di asino e zucca rappresenta un omaggio a Bruna e Nadia Santini, “mamme” dei due chef. Per condimento il fondo della carne, una salsa di Parmigiano e una riduzione di Ippocrasso per la speziatura antica, leitmotiv del pasto. Qui Alberto Piras sfodera un nebbiolo invecchiato, tutto in finezza, per esaltare la carne e rimbalzarne l’intensità, già mitigata dalla zucca.
La Lepre cacciata à la royale, proveniente da un fornitore marchigiano, non viene cotta classicamente al torcione tutta la notte, ma dopo la farcitura per 14 minuti su un fondo d’olio in forno, con il foie e la crépinette; poi servita con la crema di nocciola e la nota di cioccolato. Vedi alla voce “leggerezza”.
Il rabarbaro, ingrediente italiano, è usato a lamelle fini come “pasta” per racchiudere il Gelato di yogurt fatto in casa. Sensazioni fresche che preparano a un dolce ricco: Omaggio a Torino, tramezzino di farina di castagne da metato ripieno di marron glacé e nocciole, più il bonbon di vermouth per la nota amaricante.
Indirizzo
Il Luogo di Aimo e Nadia
Via Privata Raimondo Montecuccoli, 6, 20147 Milano MI
Tel: 02 416886
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