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Vicky Cheng, lo chef star di ospitalità con Wing: "Non puntate solo sul lusso, conta l’accoglienza”

di:
Silvia Morstabilini
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copertina wing

È con questa filosofia che lo chef Vicky Cheng ha trasformato Wing, il suo ristorante di Hong Kong, in un simbolo di ospitalità raffinata ma sincera, tanto da conquistare il Gin Mare Art of Hospitality Award 2025 assegnato da The World’s 50 Best Restaurants. La sua missione? Ridefinire l’esperienza della cucina cinese, unendo autenticità, eleganza e calore umano.

Dall’infanzia alla visione di un ristorante

Cresciuto tra Hong Kong e Vancouver, Cheng ha imparato la cucina francese classica prima di tornare alle sue radici cinesi. Ricorda con affetto i pasti familiari, quando lui e i fratelli si contendevano la teiera per versare il tè alla nonna: un gesto di rispetto profondamente radicato nella cultura cinese. Con Wing, aperto nel 2021 dopo il successo del suo primo ristorante Vea, lo chef ha voluto conservare quell’essenza familiare e trasformarla in un’esperienza di alta gamma, senza mai sacrificare la spontaneità dell’accoglienza. "Alcuni ristoranti ti fanno sentire come un re, ma non ti scaldano il cuore e non ti fanno desiderare di tornare. Per me, l'arte dell'ospitalità sta nel far sentire i clienti benvenuti, come se fossero a casa tua", racconta a 50 Best.

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Una cucina “cinese senza confini”

Wing propone quella che Cheng definisce “cucina cinese senza confini”: autentica, ma libera dai vincoli della tradizione. Alcuni piatti sono condivisi al centro del tavolo, in perfetto stile orientale, ma preparati con una cura che richiama l’alta cucina europea. L’approccio è sartoriale: il tè stagionale d’apertura segue i 24 termini solari del calendario cinese, mentre le portate principali, spesso elaborate e impiattate singolarmente, riflettono una grande attenzione al dettaglio e all’equilibrio estetico.

Ospitalità in ogni angolo

Da Wing, nulla è lasciato al caso. Cheng ha testato ogni spazio del ristorante – persino i bagni – per immedesimarsi completamente nel cliente. I bagni offrono collutorio e lacca, sulla terrazza ci sono ventilatori e repellenti per zanzare, e accanto ai piatti di pesce intero si trova un tovagliolo piegato per nascondere con discrezione eventuali lische. Anche la stoviglieria è pensata per stupire: un drago turchese decora tre piatti sovrapposti, mentre i dessert vengono serviti in delicate ciotole di cristallo.

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Il valore delle piccole attenzioni

L’ospitalità da Wing è fatta anche di osservazione silenziosa e ascolto attivo. Il team annota le preferenze degli ospiti abituali e personalizza ogni visita. Per i nuovi arrivati, la conversazione è il primo passo per scoprire gusti, desideri e abitudini. Gli addetti in sala sono formati per leggere anche i segnali non verbali: un sorriso curioso può invitare al racconto di un piatto, mentre uno sguardo dubbioso porta a una spiegazione più discreta o a un cambio di portata. Dopo uno starnuto, i fazzoletti arrivano senza doverli chiedere.

“Ospitalità temperata”: l’anima del servizio

Per Cheng, però, nessun addestramento può sostituire un innato senso dell’ospitalità. Non guarda troppo ai curriculum, preferisce osservare il comportamento naturale delle persone. «Se aprono una porta e si voltano per vedere se c’è qualcuno dietro, allora sono quelli giusti», dice. La sua idea di servizio è quella che definisce “ospitalità temperata”: di alto livello, ma calda, umana, mai artificiosa.

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Un futuro tutto da coccolare

Ogni sera, lo chef saluta personalmente tutti i tavoli, racconta la storia del ristorante e crea connessioni autentiche. Quando gli ospiti lasciano Wing, ricevono un piccolo dono: dello zenzero candito, pensato per concludere l’esperienza con dolcezza. L’obiettivo è farli sentire coccolati dal primo sorriso all’arrivo fino all’ultimo passo verso casa. «Spero che Wing rappresenti l’inizio di una nuova tendenza nella cucina cinese», conclude Cheng. «Un futuro in cui non si punta solo sulla bontà dei piatti, ma sull’interezza dell’esperienza».

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