Eccellenza e banchettistica, creatività e grandi numeri. Da Coria i giovani chef Francesco Patti e Domenico Colonnetta, generazione Sultano, riescono nella quadratura più difficile del cerchio gastronomico.
La Storia
La Storia di Francesco Patti e Domenico Colonnetta
C’è il sud che si lamenta, la disoccupazione non solo giovanile alle stelle e il virus del fatalismo endemico che alligna. E poi c’è Coria, un ricettacolo incredibile di idee, che i giovani chef Francesco Patti e Domenico Colonnetta hanno man mano colorato nel tripudio invetriato di Caltagirone. La salita ripida è fra quelle che irraggiano il centro storico, su su verso la gradinata fiorita osservata da teste di moro e gufi portafortuna dietro le vetrine. Ma non c’è traccia di folklore dentro il ristorante minimal, quasi metropolitano nelle atmosfere lineari, che i due hanno aperto ormai dieci anni fa. La Sicilia è quella vera ed è tutta nel piatto, come hanno appreso dal loro maestro: Ciccio Sultano.

“Né io né Domenico discendiamo da famiglie nel ramo”, racconta Francesco. “Ci siamo conosciuti nel 2006 al Duomo, dopo esperienze non solo italiane. Io ero stato in Veneto e al Savini di Milano, ma avevo realizzato di non aver mai lavorato a casa, quando in brigata mi avevano chiesto una pasta con le sarde o un cannolo, che avevo visto preparare solo da mia madre. A quei tempi Domenico era già sous-chef, io via via l’ho affiancato e insieme abbiamo conquistato la fiducia di Ciccio, con cui provavamo le nuove ricette. Ci ha insegnato la materia prima e il rispetto per le tradizioni, gestivamo noi le forniture e questo ci ha consentito di familiarizzare con eccellenze, prezzi e mercati. Così nel 2008 abbiamo deciso di metterci in proprio, anche se i primi 3 anni sono stati durissimi. Circondati da trattorie tipiche, arrivavamo pur sempre da un due stelle, sebbene proponessimo una cucina più veloce”.


Il Ristorante


Il miracolo di Coria però non sta solo nella sua giovane cucina siciliana, più materica che tecnica, gustativamente travolgente, rivitalizzata dalla linfa dell’entusiasmo. Il ristorante è stato la piattaforma per il lancio di sempre nuove iniziative, tanto che Squiseating, il banqueting fondato nel 2011, è oggi il più importante di tutta la Sicilia, con una cucina completamente separata, sottoposta alla medesima diarchia. Né mancano collaborazioni con importanti brand per la messa a punto di nuovi prodotti. Tanto che gli impiegati sono in tutto 75, 10 solo negli uffici, senza che la concentrazione sul gourmet ci abbia mai scapitato: l’alta cucina nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, nei grandi numeri del catering come sui nastri delle catene di montaggio. Lo scenario è spesso Villa Fegotto a Chiaramonte Gulfi, ma gli eventi possono essere diversi al giorno. E sul ristorante hanno l’effetto di un moltiplicatore, attirando nuova clientela.

I menu degustazione sono tre: Equilibrio, per un primo approccio, tutto pesce a 65 euro; Ragione, misto di terra e mare, a 75 ed Effetto, mano libera di 9 corse a 90 euro. In accompagnamento la carta dei vini elenca 600 etichette prevalentemente siciliane, affidate alla sommelier Margherita. L’aperitivo è un florilegio di street food siciliano: pane e panelle con gelatina di limone, piruni ovvero calzoncini ripieni alle olive nere e sanapone, polpettina di quinoa e ceci, foglia di carciofo con mousse di carciofo alla brace per la finale pulizia amara. Divertente, ma a strappare l’applauso è l’entratina del giorno: una crema di ceci novelli, “pisci d’uovo” e scampetto, remix del folklore siciliano (il succedaneo del pescato fuggito, una frittatina con pane e finocchietto a forma di pesce, sapida grazie al formaggio) con una citazione dell’alta cucina (la crema di ceci con i gamberi di Pierangelini), svolta in chiave green. Il legume è tanto delizioso quanto effimero: dura 5 o 6 giorni, prima di diventare duro, ed è perciò raramente reperibile solo laddove viene prodotto in abbondanza, come sull’isola.
I Piatti

Il tripudio vegetale continua nell’ottimo crudo di pesce: tonno, sgombro, triglia, calamaro, secondo il giorno, con un’insalatina acidula di mango, ravanello, cetriolo, sedano e una maionese alle nocciole dell’Etna, che rilegge il connubio mediterraneo di pesce e frutta secca. Non manca mai in carta, con variazioni stagionali.

È poi squisita la triglia alla beccafico, farcita del consueto mix di uvetta, pinoli, pangrattato e formaggio, accompagnata da salsa di agrumi alla menta e puntarelle croccanti. Dove il condimento dolce agisce per concordanza anziché per contrasto sulla soavità del pesce, bilanciata per via acida e amarognola.

Vira in direzione comfort zone la cotoletta alla palermitana di pesce spatola impanato senza uova e piastrato, preparata classicamente e servita con gazpacho di verdurine, cioè estratto di pomodoro e peperone crudo, cuore di bufala ragusana e cipolla croccante, ovvero le barbe fritte e croccanti per lo scarto zero. In crasi con l’umido.

Come fa anche il primo: tortelloni ripieni di macco di fava larga di Leonforte con cime di rapa, guanciale di suino nero dei Nebrodi e fonduta di Ragusano. Dove l’impasto ruvido e spesso è quello povero della tradizione, con poche uova e grani locali

Convincente anche il controfiletto di manzo “vaca vieja” servito con radice di prezzemolo e una girandola di freschezze che virano sulla terraferma il classico agrodolce siciliano: taccole, scalogno al melograno e chutney di ananas. Provvidenziale a fine pasto, in scivolata sul dessert.

All’ultimo, dissetante scroscio tropicale, la mousse di cocco con gelatina di mango, segue classico il dessert: un tronchetto di cioccolato bianco, yogurt, mandarino e gelato al cioccolato. Con alternative siciliane appena alleggerite quali cannolo e pezzo duro.
Indirizzo
Ristorante CoriaVia Infermeria n 24 - 95041 Caltagirone, Sicilia
Tel. +39 0933 26596
Mail info@ristorantecoria.it
Il sito web