Hotel

D.O.M.: a Roma l'hotel con opere d'arte in sala, suite panoramiche e la Verve di due abili chef

Roma

di:
Lucia Facchini
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Far colazione davanti ai capolavori della pop art, cenare su un rooftop fra le bellezze aeree di Roma e dormire in suite con salottini di design: al D.O.M. hotel i dettagli dilatano il senso d’accoglienza comune. Tutto con due chef pronti a stupire.

Crediti fotografici: Andrea Di Lorenzo e Alessandro Barattelli


"Papà, guarda, hanno messo le uova strapazzate in un panino piccolo piccolo!". L'ultima arrivata della generosa prole sul divanetto accanto al nostro riassume così il senso dei bocconcini espressi appena atterrati davanti all'allegra famigliola. Nessuna brioche pallida a languire nel buffet, niente frutta insipida fuori stagione e zero tracce di confetture in vaschetta: ciò che accade nel 90% degli alberghi ha inaspettatamente preso una piega da bakery in azione, coi cibi cotti sul momento e disposti sul tavolo a mo' di mandala per illuminare gli sguardi degli ospiti ancora sonnacchiosi. Eppure, non siamo in una bakery.

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Siamo in un boutique hotel a un tiro di schioppo da Campo de' Fiori e Piazza Navona, che il risveglio lo indora con pietanze rigorosamente fresche di giornata o calde di forno. Nel backstage, Adriano Magnoli e Antonella Mascolo, rispettivamente chef e pastry chef, nonché partners in dining a capo dell'intero progetto gastronomico del D.O.M. Sono loro ad accendere i fuochi e le attenzioni di una platea cosmopolita all'arrembaggio, dai romani curiosi ai turisti pretenziosi.

Antonella Mascolo e Adriano Magnoli
 

La bimba, nel frattempo, ha spazzolato il suo soffice bun ripieno di scrambled eggs e pomodoro affettato sottile. I genitori stanno attaccando i croissant ad alto gradiente di sfogliatura, il fratello maggiore la pagnottina a lievitazione naturale coi salumi di quell'azienda agricola laziale che val bene una visita per farne subito scorta. Basterebbe questo a rendere la vacanza un concetto dinamico, capace di trasportare l'ospite fuori dal suo range di comodità impersonale. Mainstream breakfast? C'è chi dice no.

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L'hotel DOM

Mentre sorseggiamo il multivitaminico proposto da Adriano per ricaricare le pile in un bis di sorsi, vediamo gli sguardi altrui convergere a intervalli regolari verso le pareti. Sì, perché nella "sala dei velluti" al pianterreno -proprio quella in cui viene servita la colazione, e che d'inverno ospita il fine dining Verve- sono esposti tre Andy Warhol dai tratti graffianti, pronti ad assorbire gran parte delle attenzioni residue dedicate al banchetto.

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A metà tra una modern gallery e un club d'epoca, il perimetro dell'ambiente si lascia accarezzare da spesse tende rosse, giocando coi chiaroscuri teatrali e la morbidezza diffusa dei pouf. Ed è questo il punto di snodo da cui si eleva una sequenza di set paralleli fino al quarto piano, dove riluce una terrazza estiva pensata per piantar bandiera dal fermento dell'happy hour alla distensione del dopocena.

Terrazza Credits Alessandro Barattelli
 

Adriano e Antonella ne fanno un hotspot di ospitalità sciolta, mai troppo formale ma attenta al particolare: c'è il bancone open air per bere bene con una drink list ragionata, dai cocktail del bar manager Patrizio Boschetto-provare la riedizione del Milano-Torino- fino ai distillati locali e le bolle globali; l'area botanica di contorno, una parentesi mediterranea che profuma l'arietta notturna con piante aromatiche impiegate pure nelle creazioni del tasting menu; l'alto profilo della Chiesa di Santa Lucia del Gonfalone, intervallata dall'affaccio sul colle del Gianicolo e il biondo Tevere.

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Una cartolina capitolina analoga a quella offerta dalle suite con loft sopraelevato, sospese tra scenicità e intimità: entrando si colgono al volo il parquet di rovere e i mattoncini lasciati a vista per dilatare il senso d'accoglienza, le foto e i volumi illustrati d'autore, l'allure del salottino all'angolo stile Belle Èpoque; uscendo ci si stende sulle sdraio vista cupola di San Pietro, centellinando il tortino plasmato da Antonella a mo' di composizione floreale-una corolla edibile di lamelle di pesca, crema refresh e base biscotto che ti rimette al mondo con 40 gradi percepiti.

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Sarà per il tocco lieve di Antonio Girardi (architetto responsabile del restauro dell'edificio originario) o per la sincronia del teamwork in struttura; sta di fatto che da qui Roma appare portatrice sana di una bellezza da custodire più che esibire; città eterna nel senso onesto del termine, oltre la solita patina di congestione metropolitana.

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Il menu e i piatti di Verve

Certo non te l'aspetti, la pizzetta rossa a inizio degustazione. Invece, Adriano scava nella memoria infantile trasformando in finger food la merenda per antonomasia dello scolaro romano: una lingua fine velata di pomodoro si stampa dritta sul palato, lasciando impresso il timbro dello spezzafame senza tempo ravvivato dai bordi abbrustiti e la polpa sugosa. Gommosità non pervenuta, è il ricordo migliore del vecchio forno di quartiere.

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Senonché il revival continua con una vivace fila indiana di assaggini evocativi -in testa le Morositas, caramelle anni '80 svecchiate dal contrasto inatteso fra lampone, menta e caprino. Di fianco una focaccina all'olio, stavolta soft: l'altra faccia della pizzetta, quella bianca effetto cuscinetto. Alle premesse segue una carta ripartita in piatti dinamici, che mettono insieme ritorni di fiamma e colpi di scena. Due gli itinerari: Fate Vobis (4 portate a scelta dell'ospite) e Famo Nobis (6 a cura degli chef), con varie opzioni sia di pairing alcolico che di succhi e infusi.

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Regalo fulmineo di stagione è il Fiore di zucca, un diretto vegetale Roma-Napoli per l'addizione di ricette cult: il fiore ripieno - ça va sans dire- che cela un nucleo solare di zucchine profumate al limone, e sul fondo gli stessi ortaggi spadellati alla scapece con aceto di mele e menta, scuola partenopea. Il palleggio continuo di acidità e frescura rallenta a tratti, complice una spuma di ricotta che tira in ballo i sentori della campagna laziale. Fuori dal centro, dentro il momento. Non a caso, ecco Antonella stappare un'ottima Passerina del Frusinate IGT con cenni di fiori agresti e sapidità incisiva: sarà la Ciociarella di Alberto Giacobbe a introdurre i Pomodori col riso, o meglio, il sunto perfetto del piatto unico estivo. 

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"In sostanza, abbiamo voluto ricreare la consistenza di quel che rimane attaccato al fondo della teglia, e che ognuno di noi si è trovato a raschiare di nascosto dagli occhi della mamma almeno una volta nella vita". Caramellizzazione a go-go e scrocchio sonoro, per intenderci: Adriano li ha isolati in un'ingegnosa equazione del piacere. Quindi il riso prende tono nell'acqua di vegetazione del pomodoro ramato, concentrandone l'essenza, e la salsa di datterino si completa col suo ristretto, volto a rinforzare la carica zuccherina esplosa col calore. A stratificare, "un San Marzano semidry in cima, mentre alla base c'è una patata cotta sotto la cenere e successivamente arrostita al barbecue", da cui sale tutta la Verve del fumé domestico.

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Lasciare casa per ritrovarsi a casa: prolunga l'euforia dei weekend in spiaggia il Cannellone di mare -l'intingolo iodato del ristorantino pied dans l'eau misto alla genuinità della sfoglia di famiglia. Nell'involucro di pasta all'uovo, un ragù di pesce di scoglio di Anzio che libera la fragranza del sughetto fishy al primo taglio; sopra, niente besciamella: la rimpiazza con slancio una salsa Beurre Blanc al limone, più estrazione di prezzemolo per gli accordi verdi in chiusura. Tra le carni fa gola l'Agnello cotto sulla brace, il suo fondo, formaggio fuso e misticanza coltivata in idroponica ai Castelli Romani. Un secondo di maggior immediatezza che, in realtà, poggia dritto sull'architrave ingrediente-metodo-fiamma. Lo si evince dagli odori bonari (e non pungenti, as usual) dell'ovino dalla fibra tenera. Il colpo d'occhio cambia coi dessert, dove si intravede l'input estetico di All'Oro, palestra condivisa da Adriano e Antonella dopo l'esordio in svariate cucine di rilievo (basti citare, per lei, Oliver Glowig, accanto ai maestri Thierry Tostevint ed Elnava De Rosa).

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Dunque, la forza dei fine pasto sta proprio nel saper cavalcare l'onda espositiva che percorre il DOM, riprendendo talvolta i motivi clou di opere attuali. La pastry chef lo dimostra nell'Omaggio a Cattelan, simulazione al cucchiaio della celebre performance Comedian: a comporla, un Banana cookie con caffè e passion fruit che evoca il frutto maturo fissato dall'autore alla parete col nastro adesivo, rivelando acutezza e profondità di sensazioni in linea con la grafica irriverente.

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Chissà se capiterà al tavolo della bambina che aveva gioito per il bun di uova strapazzate, ma tant'è, a noi piace pensare che l'arte possa esser trasmessa (e spiegata) anche così: facile come mangiare un dessert.

Via Giulia, 131, 00186 Roma RM
Telefono: 06 683 2144

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