Uno chef che ha passato il globo al setaccio, una domus ladina vista Dolomiti e un menu capace di far viaggiare i neuroni a corpo fermo. Simone Cantafio taglia il traguardo in purezza con la sua staffetta di piatti erranti, portando alla Stüa de Michil le suggestioni asiatico-francesi.
La Stüa de Michil- Hotel La Perla
Sui monti il tempo scorre diversamente: sembra a tratti velocizzarsi e a tratti rallentare. Il fascino perenne delle malghe, l'epifania del nevischio e i miti alpini tramandati a suon di echi da una cima all'altra hanno il potere di bloccare le clessidre; il food system, invece, vanta spesso una forza propulsiva che già svezza i palati del futuro. Alla Perla i due processi sono yin e yang dello stesso polo dolomitico: 1500 metri sul livello del mare e sette decadi di storia incorniciate dalle creste vetuste dell'Alta Badia per una domus ladina dove il presente scava tunnel nell'antico senza mai intaccarne le basi.Chi vi entra sfoglia, infatti, un album familiare denso di vissuti: la saga inizia nel 1956, quando i Costa tirano su il proprio rifugio charmant a partire da una semplice pensione per sciatori (come vi abbiamo raccontato qui). Via via l'ambizione cresce e con lei gli spazi di ristoro o votati al dolce relax stile tirolese.
Ma il beating heart della struttura non può che essere La Stüa de Michil, ristorante gourmet insignito della stella Michelin sotto l'egida dello chef Simone Cantafio. Uno che il globo l'ha passato al setaccio, prima di calcare il suolo rupestre di Corvara e piantar bandiera in alta quota. Gualtiero Marchesi e Michel Bras: due su tutti, fra i suoi mentori, per unire gli estremi di una cucina che oggi trova nuovi equilibri, mutando rapidamente a nemmeno un anno e mezzo dal debutto ai fuochi.
L'Hotel La Perla
Prima di addentrarci in Stüa, una premessa è doverosa: non siamo in un albergo, ma in una Casa. Una Casa di realtà a incastro multiplo messe insieme da Michil Costa, che con i fratelli ha voluto imprimere all'hotellerie una direzione umana quando il business era ancora l'unica leva di un sistema destinato a macinare freddi numeri. Lo stacco trapela da tutta una serie di minuzie, tanto nei gesti di accoglienza, quanto nella cura degli arredi e dei locali interni.
La colazione si fa sul serio, col suo banchetto di rinforzo per sciatori mattinieri tra lievitati fluffosi, carta delle uova e confetture da accompagnare al burro fresco di malga. Il cadeaux lasciato ogni sera in stanza, sul comodino, fissa il ricordo dei volti visti durante il giorno: a turno, ciascuno -dallo chef al bartender- dà agli ospiti la buonanotte con piccole delicatessen pre-nanna.
E poiché ogni istante vacanziero ha la sua personale colonna sonora, le melodie diffuse nel fine dining diventano materiale narrativo da stampare su un biglietto esposto a tavola insieme al menu; ma c'è pure l'opzione live, con band cosmopolite pronte ad animare un bistrot double-face che sul far del tramonto diventa cocktail bar. Qui si esibisce Antonio Virili, rising star della miscelazione altoatesina a cui basta una manciata di chiacchiere fronte bancone per indovinare i gusti del bevitore di turno.
Manca qualcosa? Sì: i piatti "mordi e resta" de Les Stües, ristorante trasversale dove ogni saletta ha una tonalità diversa e la policromia si riflette a tavola, trasformando i "cibi da maso" in pietanze rimodernate con discrezione. E poi lei, Mahatma Wine: una collezione di oltre 30.000 etichette che in verità è un "labirinto animato" con colpi di scena da film 3D, equamente distribuiti fra gli scaffali e le sale visitabili durante i tour su richiesta. Il trailer finisce qui: aggiungiamo solo che a guidarvi sarà il sommelier Silvio Galvan, fiero custode di quella che potremmo definire un'autentica cantina-museo con effetti speciali.
Lo chef
"Se mi guardo intorno, credo che negli ultimi anni la cucina abbia raggiunto picchi espressivi notevoli a ogni latitudine. Ma un grande ristorante non è solo scenografia. Il cibo sfila su un nastro continuo di interazioni e, quando viene meno il lato umano, l'impalcatura gourmet crolla su se stessa. Arrivando qui, dopo molti anni in Francia e in Oriente, ho visto gli abitanti spalancarmi le porte dei loro microterritori. Ora faccio parte di una comunità e il mio primo obiettivo è quello di rappresentarla".
Basta un minuto, a Simone Cantafio, per tradurre in parole il percorso di una vita, col mood dell'artigiano che lavora tra gli artigiani schivando il vezzo della notorietà. I legami amalgamati al racconto e non come note a pié di pagina; un approccio che si concreta, ad esempio, nel "doppio orto" gemellato con La Perla.
"Erbe, germogli e verdure impiegate in Stüa vengono da George, fra i migliori coltivatori di zona, che opera nel piccolo comune di Marebbe a mezz'ora di distanza dall'hotel. Inoltre, avendo origini calabresi, uso ingredienti mediterranei prodotti a Pianopoli da mio cugino Agostino Nanci, alla guida del progetto agricolo 'Come un tempo'. Insieme siamo tre persone completamente diverse, ma abbiamo la stessa età e parliamo la stessa lingua". A trainare un crossover giovanile radicato nella terra, che vuole il vegetale senza un filo di chimica. "Di fatto, i limoni crescono sull'albero dove mi arrampicavo da piccolo; quasi un vecchio amico d'infanzia".
Poi il metodo spiana la via: "A Corvara sto sperimentando quanto appreso in Giappone. Sbozzare la materia e agire di scalpello, smussando l'eccesso per sfiorare l'essenza". Una staffetta di limature che taglia il traguardo in purezza, fermi restando i pregressi francesi e italiani, giacché le salse riempiono i volumi e antiche ricette riacquistano vigore.
Così, la carta si scinde fra due menu erranti dove il pensiero sposta i luoghi e il sapore li riunisce: in Perzeziun e Trasformaziun la distanza è una strada transfrontaliera a doppio senso pronta a smentire il dividendo culturale. Mappa alla mano, Simone ci ricorda che in vetta i confini spariscono: basta semplicemente cambiare punto di osservazione.
I piatti
Si avverte già, nelle prime battute, il remix dei diversi idiomi culinari. Sveglia i recettori la Gelée al pompelmo, estratto d'uva e bitter italiano, sotto cui languono panna al lime e olio d'oliva calabrese; un bolo tra il succoso e il lipidico che gioca di strategia in vista dei finger.
A innescare il morso ci pensano loro; in pole position la vivace Tartelletta con salsiccia cruda alla toscana, funghi, tartufo nero e un grazioso fiore edibile di Sedano rapa fritto e crudo con sarde calabresi, preparate a beccafico secondo l'uso siciliano.
Sorprende non poco, dopo il colpo di fulmine col burro del maso Pretzhof (da spalmare a spron battuto sul pane di segale fatto in casa), l'ingresso del Nighiri altoatesino, dove la carne dei manzi alpestri incontra il topinambur marinato per qualche giorno con mirin, sake e salsa di soia e il pil pil di anguilla.
Quasi una stampa fronte-retro: "Se fosse un film lo chiamerei 'Un giapponese a Corvara', lontano in apparenza e vicino in sostanza. A prima vista evoca i crudi nipponici. Poi, smontando il piatto, scopri pian piano i pendii locali". La tenerezza del bovino raw, il radicchio sferzante e un'ombra di zenzero candito, portatore sano di armonia in combo con la vinaigrette: il tempo di assaggiare e l'antitesi Oriente-Occidente si dissolve in un boccone.
Lo slancio grafico prosegue con un "tofu non tofu" immerso nel coulis freddo al miele di bosco e pompelmo rosa, più i germogli di daikon in uscita. Di raro lindore, è un fascio di coordinate spazio-gusto capace di far viaggiare i neuroni a corpo fermo. "L'ho sviluppato con Corrado Assenza, che mi invia le sue mandorle da Noto. Ed io le lavoro il meno possibile, come fossero gemme preziose. Ne ricavo questo lingotto che in realtà è un biancomangiare". Tanto esteticamente pulito quanto concettualmente acuto, "si sveste a ogni stagione per cambiare l'outfit vegetale. Agli ospiti capita di trovarlo con le fragole arrosto, oppure (piccolo spoiler estivo) con albicocche ed amaretti di Saronno".
Torna la liaison pesce-primizia nella Cipolla di Tropea in sumono giapponese, scampo xxl panato ai cereali e profumato ai funghi porcini, gazpacho dell'orto invernale. Il crostaceo navigante su un mar quieto di clorofilla, a illustrare freschi ricordi di Sud: "L'insalata, in Calabria, si fa con cipolla rossa e cetrioli. Ho voluto lenire l'effetto strong dei condimenti meridionali aggiungendo il sumono, a base di aceto di riso. La parte piccante è bilanciata da un gazpacho che realizzo unendo ciò che la natura offre nelle nuance del bianco e del verde, dal cetriolo al sedano. Il tutto perlato con olio al cavolo nero".
Anche nel petto di galletto ruspante con la sua pelle disidratata il margine diventa ponte, unendo Francia, Giappone e Italia sotto la stessa sfera percettiva. Una volta cotta in padella, la carne dal cœur tendre passa per una sapiente rifinitura in salamandra.
"Utilizzo il master stock, laccaggio asiatico speziato che ingloba uno starter ottenuto dalle ricette precedenti in modo simile al lievito madre; così ogni nuova preparazione serba il ricordo della vecchia.
Sopra si crea un'aderenza particolare e infine aggiungiamo il furikake, tipico condimento per il riso bianco che qui va ad insaporire il pollo bianco", per un gioco di affinità semantiche-palatali. A lato un carciofo alla romana; sotto la superba salsa Alain-Chapelle. "Mentre mangi stai girando il mondo".
E in fondo è piccolo, questo mondo pieno di rotte che tornano sempre a casa. Lo dimostra l’Annona a farcire il cannolo croccante, "un frutto originario di Reggio Calabria che schiude note esotiche; per questo lo abbiniamo all'ananas flambé, disposta sotto la tuile". Zuccheri tirati col freno a mano, grazie al gelato di arachidi salate. Un dressage caldo-freddo che parte al galoppo con la leggera speziatura del coriandolo. Qui ed ora, in vetta i confini spariscono.
Indirizzo
La Stüa de Michil – Hotel La Perla
Str. Col Alt, 105, 39033 Corvara in Badia BZ
Tel: 0471 831000
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