Al Sereno tutto assume la vera connotazione del lusso e ci si ritrova allo stesso tempo coccolati e nella discrezione più totale. Ma anche la cucina ha una personalità forte, quella di Raffaele Lenzi, ora totalmente libero di esprimersi.
Il Sereno
L'hotel
Ci sono definizioni difficili da rendere a parole e luoghi che a questo proposito possono rivelarsi emblematici. In questo caso parliamo di bellezza e de Il Sereno, qualcosa di più e di differente rispetto a quello che la maggior parte di noi ha in testa come hotel.
Innanzitutto, perché si trova sul Lago di Como, area d’Italia tra le più esclusive e riservate, ricca di angoli e contesti che si potrebbero definire incantevoli: ecco, completa l’opera l’idea dell’imprenditore venezuelano Luis Contreras di realizzare proprio qui un fratello di Le Sereno a St Barth, affidando a Patricia Urquiola la profonda ristrutturazione di quello che era stato Villa Flora, un modesto tre stelle dedicato dalla popolazione locale alla celebrazione degli eventi.
Quello inaugurato nell’agosto del 2016 con il matrimonio del CEO di Spotify e invitati come Mark Zuckerberg appare ora come un grande spazio che si raggiunge attraverso gli splendidi, rigogliosi giardini realizzati dal botanico francese Patrick Blanc. L’accoglienza è ispirata a una signorile informalità che si allontana dalla pompa magna di qualche grande albergo, d’altro canto nulla è (né può essere) lasciato al caso in un posto del genere, dove tutto assume la vera connotazione del lusso e ci si ritrova allo stesso tempo coccolati e nella discrezione più totale, come in una grande casa calda e avvolgente.
Le stanze, quaranta in tutto, si affacciano con grandi finestre sul lago e vanno dai 65 metri quadrati della – si fa per dire – più piccola ai 200 della Penthouse. Dettaglio su dettaglio, la possibilità di trascorrere del tempo qui è un vero privilegio, perché al di là di room rates adeguate a quel che ci si trova attorno, l’esperienza da sola è difficile da dimenticare.
Il ristorante e i piatti
Allo stesso modo anche la cucina ha una personalità forte, quella di Raffaele Lenzi, ora totalmente libero di esprimersi. Non che non lo fosse prima, ma da quando l’insegna non recita più quel ‘Berton’, sostituito da Al Lago, è evidente che questo creativo campano classe 1984 dal curriculum importante, stilato tra Italia ed estero, si senta finalmente, passateci il termine, più sereno.
Ci racconta: “Al di là delle problematiche di staff che sono ormai all’ordine del giorno di questi tempi e del piccolo tsunami che ci ha provocato l’uscita del F&B manager (il nuovo sarà lì a brevissimo, n.d.r.), ricominciamo ex novo e sono molto grato alla proprietà per avermi dato l’opportunità di proseguire. Ora gestiamo 40 stanze alle quali si aggiungono le 18 di Villa Pliniana, ma i ragazzi stanno facendo davvero tutti un ottimo lavoro.”
E continua: “Dal punto di vista gastronomico è cambiato tutto e niente, perché di fatto la mano era la mia ed è rimasta quella. Dal covid in poi, invece di fare un passo indietro, ne ho fatti due in avanti, anche grazie al fatto che la brigata è stata adeguatamente tutelata. Abbiamo solo ridotto leggermente la lista di piatti, i classici sono diventati omaggio alla tradizione e ho introdotto ‘contrasti e contraddizioni’ e un menu vegetale”.
Lenzi è un professionista molto determinato per quel che concerne la sua idea di cucina, con idee e principi perentori. “Sono un cuoco italiano che vede la tradizione in un modo essenziale e semplice, non l’ho mai concepita come una ‘rivisitazione di’: o è bianco o è nero. O fai le cose pulite e le racconti in quel modo, oppure fai qualcosa che può appartenere alla tua idea gastronomica e la vedi in chiave diversa, come ad esempio l’idea del vegetale nei piatti di ‘contrasti e contraddizioni’ o di ‘vegetali, tuberi e radici’ quindi senza freni.” In effetti, come lui stesso riconosce, servire un riso al garum di polline (piatto notevole) oppure un’indivia belga con ciliegie fermentate e agnello non è così banale in una struttura del genere.
“Non ostento la fermentazione, ne faccio uso anch’io nel quotidiano, ma qui dobbiamo capire quali sono i ‘paletti’ dell’essere albergo”. La cosa fondamentale, secondo Raffaele, è “creare un fil rouge con la sala che deve saper raccontare piatti complessi: verza, té sencha, foie gras e mela annurca fermentata non è semplice da far capire.”
Sempre a proposito delle sue ricette, Lenzi afferma: “L’italianità si può raccontare in tanti modi, perciò qui abbiamo naturalmente le proposte più classiche dell’omaggio alla tradizione dove vengono reinterpretati alcuni piatti del nostro paese (nel menu si leggono tra gli altri ‘frico con cipolla, spinaci e formaggio Montasio’ oppure ‘bigoli alla carbonara in due servizi’ e ancora ‘idea di uno spezzatino di manzo’). E poi chi di noi, essere imperfetto, non ha delle contraddizioni all’interno di se stesso come persona? Io ne ho fatto una provocazione, certo è che la devi raccontare nel modo giusto, senza esagerare nei dettagli, perciò nomino soltanto i due/tre elementi fondamentali.”
Poi c’è il tema della percezione da parte del fruitore, il quale a seconda del suo palato e delle sue inclinazioni vede un piatto in modo differente. “L’anno scorso è uscito fuori lo spaghetto all’olio d’olive che è un’emulsione di olio con l’estratto di due olive. È nato per dire che uso poco burro, pochi grassi. Per me il condimento dev’essere il valore e non il sapore. A volte un’idea di questo genere può far percepire che manchi qualcosa, perché se uno è abituato a un certo condimento con me trovi una porta chiusa, è una questione di balance di percezione.”
Si tratta di un piatto buonissimo, semplice, perché come dice Lenzi “non sai se stai mangiando olio o olive: questo va in contrapposizione fortissima col burro perché fare un tagliolino burro e tartufo è un emblema.” Anche perché, continua “non ho mai lavorato in Francia, non me ne vanto ma è andata così: sono uno che ama poco i grassi. Tendenzialmente però la media del pubblico un gusto lo deve capire, e la percentuale dev’essere molto più alta rispetto a quella di critici e colleghi.”
La cucina di Raffaele Lenzi è decisamente originale e fuori dagli schemi: “La critica che faccio ai cuochi italiani, per colpa di diverse cose, è che alle volte ci chiudiamo a riccio. Ci nascondiamo perché ci vogliamo proteggere davanti a quella che è la nostra tradizione. Giusto ma pure tanto limitante, in quanto non ti permette di farti capire quanto potresti fare di più. A questo proposito io sostengo da anni che la creatività è figlia della non-conoscenza, dato che se conosci troppo sei limitato nel processo creativo.”
Questione non in discussione per Lenzi, perché dagli amuse bouche in poi, non si trova mai nulla di scontato. Anzi, note amare e acide ben gestite si trovano sempre. Non mancano gli spigoli, anch’essi governati con intelligenza.
Alcuni dei piatti li abbiamo già citati, come la verza, piacevolmente amara e gli spaghetti, intensi. Ancora il riso e poi il salmerino con miso d’orzo, dashi di merluzzo e pollo. Buonissimo il minestrone di frutta e verdura tra i dessert, così come English breakfast.
Da non dimenticare una carta dei vini molto ben concepita e la possibilità di abbinare al menu vegetale una selezione di mocktail, ovvero cocktail vegetali, ideati da Don Vidura Nilaksha Colambage, ottimo bar manager. “Io qui sono nel mio posto” conclude Raffaele Lenzi. E si vede.
Indirizzo
Il Sereno Al Lago
Via Torrazza, 10, 22020 Torno CO
Tel: 031 547 7800
Sito web