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Dal Trentino alla Sicilia: storia di Stefano Girelli e del suo Cerasuolo di Vittoria Santa Tresa

di:
Marco Colognese
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cerasuolo

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Inizia il racconto di Santa Tresa e ci si accorge subito che c’è qualcosa di differente. La tenuta è a Vittoria, luogo di fascino estremo come spesso accade in Sicilia.


Fondata nel XVII secolo dalla contessa Vittoria Colonna Henriquez-Cabrera, in quella campagna iblea la cui terra rossa è simbolo di estrema fertilità qualunque sia il frutto che ne deriva, Vittoria ha fatto innamorare Stefano Girelli ormai vent’anni fa.


La differenza sta nell’accento, perché lui, di famiglia da tre generazioni nel mondo del vino, qui ci è arrivato dal Trentino e qui è rimasto, restaurando e sistemando con la sorella Marina una vecchia struttura circondata da viti. Si appassiona, nel raccontare una storia di recupero di vitigni autoctoni e ricerca su una tipicità di secoli. L’azienda, con i suoi 50 ettari dei quali 39 sono vitati, si trova a 240 metri sul livello del mare che dista una decina di chilometri.

Se fin dall’inizio si lavora su cloni locali di Frappato e Nero d’Avola perché «già dalla prima annata abbiamo capito che queste varietà si esprimevano con l’eleganza e la grazia di una ballerina e per questo abbiamo fatto precise scelte aziendali: lavorare intensamente in campagna e ridurre al minimo gli interventi in cantina», non mancano bacche bianche come il Grillo che è stato piantato successivamente, così come anche il Viognier, varietà alloctona che qui ha trovato una situazione agronomica ideale.

Olivi e aranci tra i filari, la terra rossa di Santa Tresa presenta un primo strato sabbioso ricco di minerali di circa 50/60 centimetri, tra 1 e 2 metri di roccia calcarea originata da vecchi fondali marini e da un mosso sottostante caratterizzato da un’alta presenza di argilla che crea una riserva idrica naturale trattenendo l’umidità. Il principio fondante della filosofia produttiva di Stefano Girelli è piuttosto chiaro: «da uve di qualità si può fare un vino cattivo ma da uve non all’altezza non si può fare vino buono». Ecco allora che le sue scelte si sono orientate alla sostenibilità, riducendo al minimo il lavoro in cantina e utilizzando pragmaticamente tecniche di vinificazione differenti, dalla tradizione di botti di rovere o barrique all’acciaio e all’esclusione dei solfiti.


Per lui bisogna andare al di là di norme e certificazioni, facendo sì che il biologico - che caratterizza tutta la produzione dell’azienda - si traduca in metodo di lavoro e stile di vita che possa preservare l’autenticità di quello che si versa nel calice. Ci è piaciuto parecchio il Cerasuolo di Vittoria (unica DOCG della Sicilia) con la sua etichetta che raffigura quella che può assomigliare a una chiocciola attorno alla quale si muove la moltitudine di culture che nell’isola si sono incontrate e susseguite. Da una produzione di soli 52 ettolitri per ettaro, comprende un 60% di Nero d’Avola con un leggero appassimento in pianta per un suo quarto che si unisce con il 40% di Frappato.

La fermentazione avviene per il primo in botti di rovere e per il secondo in acciaio; assemblati dopo la fermentazione malolattica, restano altri 12 mesi ad affinare in legno. Molto profumato con una nota di marasca e un floreale intenso oltre a cenni di dolce speziatura, è uno di quei rossi che si possono sposare con pesci di sostanza come tonno, pesce spada o un bel pesce azzurro; le indicazioni sono di servirlo a una temperatura di 18/20 C°, ma siamo certi non sfigurerebbe anche a una temperatura sensibilmente più fresca che lascerebbe comunque apprezzare un tannino per nulla ruvido.

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