Mondo Vino

Domaine Frédéric Mugnier: il problema non è il prezzo ma trovare una delle poche bottiglie prodotte

di:
Roberto Mostini
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mugnier

La Storia

L'omaggio a Beppe Rinaldi

“Beppe, preferisci che passiamo da te in cantina stamattina verso le undici o magari pensi sia meglio nel primo pomeriggio?” “Venite quando volete, tanto, che sia mattino o pomeriggio mi romperete comunque le palle.”

E già, questi langaroli non te la mandano mai a dire, però poi quando sei dentro ti stappano tutto quello che vuoi e anche di più, e nelle mille nicchie e cento mensole sparse per la cantina vedi mille altre bottiglie diverse dalle sue. Quelle però non si toccano, quelli sono gli omaggi di amici o ospiti che magari avranno ricevuto inizialmente la medesima risposta nostra all’approccio, salvo poi finire a tavola per bere il meglio dello scibile enologico. Ma addirittura quella inaspettata perla di Musigny, etichetta da brividi.

“Chi ti ha portato un Musigny di Mugnier Beppe?”

“Mugnier, lui, Frédéric Mugnier, l’aviatore.”


Si vola alto allora. Ma no, alto e basso, anche a bassa quota e senza far rumore, in aliante su Barolo o su Chambolle. Sempre questi paragoni impropri, Beppe e Fréderic, Langa e Borgogna, Mugnier e Rinaldi. Difficile infatti, uno sembra più attaccato a terra, nonostante la passione del volo, l’altro invece ormai vola altissimo, dalle profondità delle falde petrolifere, alle piattaforma marine, ai voli intercontinentali. E poi questo castello a Chambolle dove produrre il vino da sogno che è il suo Musigny, un vino di seta e velluto, un vino che non fa rumore, che ti incanta, ti ipnotizza, ti confonde, che ti avvolge la gola come una sciarpa di seta e cachemire color “griottine”.

Ma oltre a quello, l’espressione dei fantastici terroir di Chambolle è qui espresso in una infilata di perle che iniziano a esprimersi nel loro splendore già dalla denominazione comunale tout court declinata in tutta leggerezza e soavità , ancor più aggraziata dalla gentilezza dei tannini.

Fred Mugnier


I premier cru prendono la direzione de Le Fuées, lo stile, la bellezza del naso floreale, la ricchezza, la complessità che sale e identifica ancor più i terreni di Chambolle all’interno del suo nobile e raro premier cru Les Amouroses, a cui sfugge di un niente il rango di grand cru, forse solo per un pizzico di intensità ridotta,  ma a cui non sfugge il rango di prezzo degno di un grand cru, ma solo perché di sopra c’è il principe di Chambolle, il grand cru più delicato e affascinante della Cote de Nuits. Non il più intenso, non il più potente, non il più esuberante, semplicemente il più affascinante.


La gamma di aromi può andare dai piccoli frutti rossi ai fiori bianchi attraverso una miscela misteriosa di spezie orientali. E Mugnier, negli ultimi anni è diventato uno dei migliori interpreti di questo vino così particolare e prodotto in piccole quantità, a causa della piccola estensione del cru (10,7 ettari) e a causa del fatto che i due terzi del grand cru siano in mano al Domaine Georges de Vogue, che fatica a ritrovare la classe di un tempo, e  ci priva così di quelle meravigliose riuscite degli anni 80, dove anche la perla rarissima del Musigny Blanc incantava anche più di molti Montrachet. E allora cosa resta di eccezionale sul cru? Restano le produzioni extra confidenziali di Leroy o Georges Roumier, vini buonissimi, rarissimi e costosissimi, e poi arriva Mugnier, silenzioso e a bassa quota a dare senso e completezza anche al resto della piccola produzione totale di 60.000 bottiglie annue.


Ma non dimentichiamoci dell’altra parte del cielo, dalla parte opposta del villaggio, dell’altro grand cru di Chambolle che fa di nome Bonnes Mares, un pelino più serio e austero, interpretato di nuovo alla grande dai due sommi poeti del tema, Roumier e Leroy, ma dove di nuovo Mugnier arriva cauto ma convinto, tra aromi di liquirizia nobile, frutti rossi selvatici finemente speziati, con un corpo generoso, tannini di velluto, armonia e persistenza lunghissima. In una parola, esemplare.


Ma non finisce qui, perché da qualche anno Mugnier ha ripreso anche il possesso e la vinificazione di uno dei territori più nobili di Nuits St.Georges, il premier cru Le Clos de la Marechale. Nuits St.Georges non possiede alcun grand cru sul proprio territorio comunale e quindi questo è uno dei terroir più interessanti dell’appellation. I primi anni sono stati di rilancio e di presa di coscienza del potenziale del terroir, e forse un poco troppo coperto da un elevage eccessivamente  pesante. Tuttavia  millesimi di per se stessi favorevolissimi come lo sono stati il 2005 e il 2006 hanno contribuito alla nascita di un eccellente NSG, come si sigla il vino del comune che apre le porta alla Cote de Nuits, e quindi coerente con lo stile e la classe di tutti i vini del Domaine Jacques Frédéric Mugnier.


Un ultima chicca per finire, la solita eccezione borgognona che cambia le carte in tavola a chi è convinto di avere capito come funziona da quelle parti, perché all’interno del Clos de La Marechale è stato piantato qualche rango di chardonnay in grado di produrre uno dei rarissimi e più distinti vini bianchi della Cote de Nuits.

Qualche nota sui prezzi, presi con le pinze da enotecari di prestigio, che non mollano un pezzo di Mugnier sotto i 100 euro, village o premier cru che sia, e che pretendono giustamente alcuni bigliettoni verdi per cedere un Bonne Mares. Il Musigny ? Il Musigny intanto bisogna trovarlo, e a quel punto il prezzo sarà una questione secondaria per chi ha deciso di volersi permettere un viaggio nell’esotismo del pinot noir.

Wine Reporter

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